Se dormirci sopra aiuta: sonno e consolidamento della memoria


Il sonno ha davvero effetti positivi sulla memoria?
Quella che potrebbe sembrare solo una credenza popolare, diffusa già ai tempi del latino Quintiliano (Institutio Oratoria), ha attirato negli ultimi decenni le attenzioni di buona parte della comunità scientifica; in particolare, i contributi di diversi medici e psicologi ci consentono oggi un maggiore discernimento rispetto a tale questione. Ma procediamo con ordine.

I primi contributi scientifici riguardo al consolidamento della memoria vanno fatti risalire all’opera di Hermann Ebbinghaus, psicologo e filosofo tedesco della seconda metà del XIX secolo.

Egli, concentrando i suoi esperimenti prevalentemente su un unico soggetto – se stesso – identificò la cosiddetta “curva dell’oblio”, ossia la relazione negativa esistente tra la percentuale di informazioni ricordate (in questo caso costituite da sillabe prive di senso), e il tempo trascorso dallo studio delle stesse graficamente assimilabile ad un’iperbole. [In figura possiamo notare un esempio “classico” ed una serie di curve corrispondenti al diverso numero di visualizzazioni del materiale].

Successivamente, furono J.Jenkins e K.Dallenbach a riformulare le conclusioni di Ebbinghaus, riconsiderando i dati di cui sopra alla luce dell’alternanza sonno-veglia e notando come gli intervalli di tempo nei quali Ebbinghaus si era concesso qualche ora di riposo comportassero una minore perdita di informazioni.

Essi, inoltre, ricercarono un’ulteriore evidenza empirica effettuando un simile test su due studenti della Cornell University, e mostrando come l’oblio fosse inferiore ove il tempo compreso fra lo studio delle nozioni ed il richiamo delle stesse includesse una fase di riposo. [I risultati sono esemplificati nella figura a fianco]

In questo senso, un più significativo e recente esperimento è stato svolto nel marzo 2012 da due studiosi della Michigan State University, M. Fenn e D. Z. Hambrick. Per tale scopo è stato utilizzato un campione di 255 giovani inglesi, dal’età media di 19.4 anni, privi di qualunque sorta di problemi di memoria o disturbi nel sonno.
I partecipanti, divisi in due gruppi, sono stati sottoposti allo stesso test, costituito da due diverse fasi separate da un intervallo di 12 ore. Durante la prima fase, ad essi sono state mostrate, in ordine casuale, 48 coppie di nomi semanticamente correlati. Successivamente, le diverse parole sono state mostrate singolarmente, con la richiesta per i partecipanti di indicare quale fosse il nome ad esse correlato;quest’ultima parte è stata ripetuta fino ad ottenere da ogni giovane una percentuale di coppie correttamente individuate pari o superiore al 60%.

Trascorse le 12 ore, ai partecipanti sono nuovamente “somministrate” le singole parole, lasciando ad essi un’unica occasione di indovinare il nome corrispondente. Tuttavia, mentre per il primo gruppo (“wake condition”) le due fasi hanno avuto luogo alle 9 ed alle 21, per il secondo (“sleep condition”) l’esperimento ha avuto inizio alle 21, consentendo ai partecipanti di dormire un numero “regolare” di ore prima della seconda fase.

I risultati si sono rivelati sorprendenti: su un totale di 40 coppie di nomi, se per il primo gruppo la media di abbinamenti corretti fra le due fasi ha subito un incremento piuttosto marginale, passando da 29,9 a 30,6, per il secondo gruppo si è registrato un miglioramento di ben 4,4 (da 30 a 34,4).  Tale esperimento, pur nella sua intrinseca limitatezza, mostra chiaramente la potenzialità dell’effetto del sonno sul consolidamento della memoria.

Tuttavia, se fra gli studiosi negli anni si è raggiunto un consenso (quasi) unanime su tale punto, una coerente e globale spiegazione medico-scientifica del fenomeno è tuttora lungi dall’aversi. Le difficoltà sono determinate, in particolare, dalla natura del comportamento studiato. Nelle tipologie di esperimento analizzate, di fatti, è pressoché impossibile scindere il contributo apportato dal sonno o dalla veglia al consolidamento mnemonico.

Recentemente, nello stesso mese di marzo 2012, i ricercatori del “Picower Institute for Learning and memory” del MIT hanno mostrato come la stimolazione di piccoli gruppi di neuroni della regione ippocampale (nel caso specifico, attraverso la luce) possa richiamare un grande insieme di ricordi: tale regione del cervello è di fatti oggi ritenuta avere un ruolo preminente nel consolidamento della memoria. Altri esperimenti, effettuati anche su animali (ad esempio i ratti), hanno evidenziato come le interazioni dei neuroni della regione ippocampale avutesi durante l’esplorazione di spazi sconosciuti tendano a ripetersi durante il sonno.

Naturalmente, tale spiegazione costituisce solo un superficiale abbozzo. Ciò detto, l’evidenza empirica e l’esperienza personale dell’autore del presente articolo (per quanto limitata!) suggeriscono, ogniqualvolta ci si trovi di fronte ad un compito in classe o ad un esame richiedenti buona capacità mnemonica, qualche sana ora di sonno fra il ripasso finale e la prova.

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