Genova e il cambio di rotta urbanistico – Tra incuria, buone intuizioni e patrimoni storici perduti


Sono nato e cresciuto a Genova, ma fino a pochi anni fa davo per scontata la mia città. Ho sempre camminato per le sue strade senza guardarmi veramente attorno, senza alzare lo sguardo, senza farmi domande sul suo aspetto.

Suppongo che sia normale, da ragazzi, sognare posti lontani e non interessarsi al luogo dove si vive. Anche se si tratta di una città millenaria con una storia sconfinata. Solo pochi anni fa ho iniziato a documentarmi, a fare il turista a casa mia, chiedendomi perché le tipiche case della zona del porto convivano con palazzoni di cemento armato. E ho scoperto eventi sconvolgenti.

L’urbanistica di Genova, tra centro storico e Porto antico

Genova ha uno dei centri storici più grandi e meglio conservati d’Italia, o almeno è così da quando è iniziata la sua riqualificazione a inizio anni Novanta, in occasione del cinquecentesimo anniversario della scoperta dell’America. E sì, Cristoforo Colombo era genovese.

Nel 1992, per chi lo ricorda, la città ha ospitato le celebrazioni di questo grande evento che ne ha in parte trasformato l’aspetto: a partire dalla costruzione dell’Acquario di Genova (allora il più grande in Europa) che ha incluso il recupero in chiave turistica dell’area del Porto antico, a cura del grande architetto Renzo Piano.

Il Porto Antico di Genova e l'Acquario, la vetrina turistica della nostra città

L’area del Porto Antico, con l’Acquario di Genova, come la conosciamo dal 1992 (Credits: Alessio Ottonello)

Due cose ricordo di quel periodo: che fino al ‘92 il Porto antico “non c’era” – o meglio, era una vasta zona dismessa chiusa da grandissimi cancelli – e il mio peluche di Gatto Cristoforo, la mascotte delle Colombiadi.

Caruggi e sicurezza: il cambio di rotta urbanistico dagli anni Ottanta a oggi

I miei genitori raccontavano che durante la loro gioventù i vicoli di Genova erano il corrispettivo italiano del Bronx degli stessi anni: un pericoloso e sporco concentrato di degrado e malavita. Fino alla fine degli anni Ottanta il centro storico faceva paura a chi lo attraversava senza viverci. Non era certo il luogo affascinante che conosciamo oggi, in cui perdersi alla ricerca di un locale all’aperto in cui fare aperitivo.

I carrugi, simbolo dell'urbanistica di Genova. In questa foto, Vico dietro il coro di San Cosimo

I carrugi, simbolo dell’urbanistica di Genova (Credits: Alessio Ottonello)

Possiamo quindi spingerci a dire che il “cambio di rotta” nella conservazione e riqualifica del tesoro urbanistico di Genova sia avvenuto allora. Prima, invece, la città è stata impunemente e ripetutamente sfigurata in nome di una falsa concezione di “progresso”.

Le bombe della Seconda guerra mondiale avevano segnato ferite profonde tra gli edifici di Genova: alcune possiamo vederle incredibilmente ancora oggi, a distanza di 75 anni, come nel caso delle rovine della chiesa di Santa Maria in Passione sulla collina di Castello, nel quartiere del Molo.

Con quell’estetica un po’ così, quell’architettura un po’ così

Nelle aree limitrofe, dagli anni Sessanta in poi, si è scelto di ricostruire con i discutibili canoni estetici del tempo: basti pensare al palazzo di Via Sottoripa 1A, un “dente finto” in cemento grigio incastonato nella splendida veduta di Piazza Caricamento.

Ma già prima i piani regolatori concepiti all’epoca del fascismo avevano stravolto alcune aree del centro. Se ormai la nostra vista tollera il “grattacielo” del Piacentini in Piazza Dante e fa un po’ più fatica con gli austeri palazzi in marmo in pieno stile Ventennio di Piazza della Vittoria – oggi sede di portici deserti, parcheggi costosi e uno skatepark spontaneo di tutto rispetto – il nostro gusto estetico si smarrisce tra le putrelle d’acciaio a vista e le opache vetrate anni Sessanta del quartiere di Portoria.

Dove oggi hanno sede il tribunale e la “city” meno affarosa d’Italia, fino al 1960 sorgeva uno dei più popolosi e autentici quartieri della Genova antica, coi suoi vicoli tortuosi che si inerpicavano fino all’Acquasola, chiuso nella cinta muraria medievale dalla oggi scomparsa Porta Aurea – un po’ come se avessero buttato giù Porta Soprana o Porta dei Vacca per collegare il centro ai quartieri collinari.

Ai tempi erano convinti che i grandi magazzini come La Rinascente avrebbero segnato il futuro dell’economia cittadina. Il tempo però non ha dato loro ragione e le vetrine svuotate dalle crisi del decennio scorso fanno soltanto tristezza ai passanti.

La triste fine del quartiere di Madre di Dio

Qui dove ora ci sono solo cemento e asfalto, una volta c'erano i carrugi più popolati

Il deprimente tracciato dell’attuale Via Madre di Dio (Credits: Alessio Ottonello)

Il più grande “crimine urbanistico” mai avvenuto a Genova però rimane quello del quartiere di Madre di Dio, sacrificato in nome della speculazione edilizia nel 1970.

Chi ha avuto la fortuna di percorrere quelle vie che dal centro scendevano verso il mare, appena fuori dalle mura medievali del Barbarossa, parla di un tipico borgo genovese forse anche più bello della famosa Boccadasse, coi panni stesi, il vociare chiassoso e i profumi delle botteghe di un autentico quartiere popolare. Ve l’abbiamo già citato una volta per parlare di fantasmi, se vi ricordate.

Purtroppo, con la scusa che vi fossero alcuni palazzi in cattivo stato – ancora a causa dei danni bellici – e soprattutto per il fatto che la maggior parte degli edifici fosse di proprietà della Chiesa (che ha intascato i fondi di enti esterni senza troppi scrupoli riguardo la povera gente che vi abitava) 50 anni fa l’intera area è stata espropriata, sgomberata e rasa al suolo.

Oggi soltanto l’immaginazione ci può aiutare e a ricostruire il diversissimo panorama che si poteva godere dall’alto del ponte di Carignano, che consiste in brutti giardinetti deserti – i famigerati Giardini Baltimora, detti “di plastica” – e in giganteschi mostri architettonici in stile brutalista che offendono l’occhio e un po’ anche il cuore.

Che fine ha fatto la casa di Niccolò Paganini?

La scomparsa del quartiere Madre di Dio è un tasto dolente. Specialmente se pensiamo che là dove oggi c’è un passaggio pedonale che nessuno utilizza potrebbe esserci un brulicante dedalo di frequentatissimi carrugi, e dove c’è uno spazio vuoto nel terrapieno che copre un infernale fossa di parcheggi dovremmo poter ammirare la casa natale di Niccolò Paganini – il genio del violino a cui Genova ha negato per troppo tempo il giusto tributo.

Invece nottetempo le ruspe, guidate dalla cecità degli speculatori edilizi, hanno raso al suolo anche quel segno di un vitale passato, negando alle nostre generazioni l’esperienza e il ricordo di una parte importante della nostra città. Non a caso, molto rimpianta da chi all’epoca già c’era.

Il vero cambio di rotta nell’urbanistica di Genova

Dagli anni Settanta però molte regole sono cambiate in termini di vincoli urbanistici e di conservazione dei beni culturali, a rassicurarci del fatto che oggi uno scempio simile non sarebbe più possibile.

Proprio la mancanza di cultura della tutela del patrimonio immobile storico è l’argomento di un articolo in cui mi sono imbattuto recentemente, che riguarda uno degli edifici più conosciuti di Genova: Palazzo San Giorgio.

Riportano gli annali del quotidiano cittadino Il secolo XIX che, nel lontano 1890, i redattori del giornale portarono avanti un’accesissima campagna per abbattere la parte posteriore del palazzo. Si trattava della porzione più antica, sede della prima banca d’Europa (se non del mondo) perché limitava la viabilità cittadina di carri e carrozze. Oggi ringraziamo il fatto che il giornale non fu ascoltato dalla municipalità e questo aneddoto ci può far sorridere, ma anche capire quanto la mancanza di cultura della conservazione potesse generare idee pericolose.

L’urbanistica di Genova e gli occhi del passante

Nei mesi scorsi, passando a piedi, ho visto crescere di giorno in giorno una nuova palazzina in costruzione, in una traversa della centrale Via San Vincenzo, miracolosamente progettata in modo da integrarsi, per stile e tonalità, tra i tipici alti caseggiati color pastello della zona.

Così il passante distratto che oggi imbocca la stradina non noterà che quella casa prima non c’era.

Parlare di urbanistica di Genova senza mostrare il porto non sarebbe possibile

Non potevamo concludere un articolo sull’urbanistica di Genova senza un’ultima occhiata al porto (Credits: Marco Frongia)

Questo significa che, nella conservazione e valorizzazione del nostro patrimonio urbanistico, se si vuole, un cambio di rotta rispetto al passato è possibile.

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