
Aleksej Apuchtin – La voce dimenticata tra i romanzieri russi
Come ho conosciuto Aleksej Apuchtin, questo autore che viene annoverato assai di rado tra i classici romanzieri russi? Ignorando un buon consiglio. Chi non conosce il detto “non giudicare un libro dalla copertina”? Ci sarà capitato di sentirlo molte volte, durante la nostra vita. Probabilmente lo abbiamo usato anche noi, spesso e volentieri riferendoci a un fatto o una persona, piuttosto che a un vero libro.
Trovo questo frammento di saggezza popolare logicamente e moralmente impeccabile, eppure io non posso farci niente: ho sempre giudicato i libri (i veri libri!) dalla copertina. Non posso davvero farne a meno: sono irrimediabilmente attratta dai libretti piccoli che hanno un che di antico.
Quindi ho conosciuto Aleksej Apuchtin per questo motivo. La Sellerio ha deciso di pubblicare le sue due maggiori opere di prosa in volumetti irresistibili, e io non potevo certo lasciarli in libreria!
Amavo già la letteratura russa, e questa passione era nata in un contesto molto simile. Avevo trovato in casa un grazioso libretto che, vista la sua bellezza, non potevo non leggere. Era La figlia del capitano di Aleksandr Puškin, e me ne sono innamorata fin dalla prima riga!

(Credits: Rita Cappelli)
Il cambio di rotta dei romanzieri russi
Ma con un tema come quello del cambio di rotta, tema dell’inaspettato e dello stravolgimento, non si può parlare del grande Puškin. Parliamo invece di un suo sincero ammiratore, il meno noto Aleksej Apuchtin, nato nel 1840 da una famiglia nobile ormai in decadenza.
Acuto osservatore dell’affettazione dell’alta società pietroburghese, Apuchtin si accorge ben presto che c’è un copione ben preciso da seguire per stare al gioco: indossare un bel vestito, atteggiarsi in modo appropriato e parlare di buoni sentimenti.
Non per nulla si affeziona al tema della vita come evento scenico, che accompagnerà sempre tanto la sua poesia quanto la sua prosa. E per questo possiamo permetterci di considerarlo un po’ come il Pirandello russo.

(Credits: Rita Cappelli)
Quando era giovanissimo, viene pubblicato un suo ciclo di poesie su una rivista molto importante (il Sovremennik), e il suo destino pare essere quello di un enorme successo. E invece, negli anni successivi, la letteratura russa vive un vero cambio di rotta.
Il Paese si trasforma sotto le riforme di Alessandro II, e i temi della letteratura inseguono sempre più il pensiero utilitarista, il socialismo, la scienza. Aleksej Apuchtin, invece, rimane fedele a temi di stampo più psicologico e introspettivo, e le sue opere vengono accolte con sdegno dalla critica, tanto che per più di vent’anni non pubblica nulla.
Per fortuna, nell’ultimo decennio della sua vita conosce finalmente un nuovo, meritato successo, e negli ultimissimi anni si dedica alla prosa con ottimi risultati, regalando al mondo L’archivio della contessa D** e Il diario di Pavlik Dol’skij, apprezzatissimi anche dai romanzieri russi più rinomati.
Ho già ammesso di aver comprato questi libri solo per il loro delizioso aspetto, ma le copertine non mi hanno affatto illusa. Anzi, nascondevano due miniere d’oro, due romanzi arguti e brillanti che mi sono rimasti nel cuore.
Il dono della sintesi non è cosa per russi

(Credits: Sellerio Editore)
Per certi versi, la lettura è anche più gradevole dei mitici Tolstoj, Pasternak, Bulgakov… Autori favolosi che hanno dato vita a storie ricchissime, rappresentando con maestria non solo l’essenza della Russia della loro epoca, ma anche le labirintiche pieghe senza tempo dell’animo umano.
Ma questi romanzieri russi hanno un grande problema. Spesso e volentieri, infatti, mancano completamente del senso della misura!
Chi ha letto Il dottor Zivago, si ricorderà che la storia comincia circa a pagina 65, dopo aver presentato l’interminabile sfilza di personaggi che popoleranno le pagine di questo tomo, confondendo abbondantemente il povero lettore.
In Anna Karenina, invece, si alternano pagine di intriganti vicissitudini a infinite digressioni sul lavoro nei campi – che può avere tutto il fascino del mondo, però alla settima facciata comincia a stancare…
Invece lo stile della prosa di Aleksej Apuchtin è minimale e prezioso: ogni pagina tira l’altra, e i piccoli libri finiscono presto… ma riescono a dire comunque tutto quello che occorre!
I cambi di rotta dei personaggi di Aleksej Apuchtin

(Credits: Sellerio Editore)
Ne Il diario di Pavlik Dol’skij, il protagonista, Pavel, si rende conto di non essere più giovane come credeva, e decide quindi di tirare le somme della propria vita.
Nel suo diario, ripercorre gli avvenimenti passati con una consapevolezza nuova, ma ancora un po’ confusa, che influenza e complica anche il suo presente finché non riesce a sbrogliare la matassa della propria vita e cambiare completamente rotta.
L’archivio della contessa D**, invece, è un romanzo epistolare che raccoglie tutte le lettere, i biglietti, i telegrammi ricevuti da una donna (la contessa D**) che il lettore impara a conoscere solo grazie alle voci degli altri.
Tutti i messaggi che compongono l’archivio, formano mano a mano un’immagine sempre più articolata e complessa (e spesso contraddittoria) della contessa. E qui si vede tutta la potenza della critica di Apuchtin all’ipocrisia della buona società.
In questa storia non sarà l’assente protagonista a cambiare rotta, ma un altro personaggio. Qualcuno che, a dire il vero, avrebbe volentieri proseguito per la sua strada, ma che viene costretto a un brusco arresto. Ma sarà grazie a questo che capirà l’artificioso “giuoco delle parti” in cui tutti sono impelagati, e da cui deciderà di allontanarsi e cambiare rotta.
Forse questa è stata anche la scelta del sornione, ironico Aleksej Apuchtin, che ha sempre preferito osservare, invece di lanciarsi sul palcoscenico. E probabilmente viene spesso dimenticato proprio per questo.
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