Il cambiamento e la psicoterapia – Chi l’ha detto che si deve resistere al dolore?


“Esiste per tutti il giorno Zero: è un momento in cui non si vince, non si perde, ma si riparte. Ci si allontana dalle persone che diventano ricordi, da quelle che non restano, da quelle che in fondo non ci sono mai state. Si chiama giorno zero perché quello che segue lo zero è sempre un inizio e negli inizi non si conosce la sconfitta”
Ambra Angiolini

Questo speciale per me è molto speciale e vorrei cominciare con una citazione. Non di filosofi, scrittori o influencer, ma di una donna famosa che recentemente si è vista mettere in pubblica piazza i suoi fallimenti sentimentali.

Il 2021 per me è stato un grande cambio di rotta. Finalmente mi specializzo, dopo quattro anni di weekend inesistenti e pianti frequenti. Ho comprato casa, dopo mesi di nottate in bianco e lotte con banche e agenzie. Ho finalmente trovato un ritmo al mio lavoro, con studi nuovi e nuovi progetti. Ma il cambio di rotta è stato soprattutto mentale e la frase di Ambra Angiolini di sicuro risuona.

Il cambiamento secondo la psicoterapia

Il cambiamento è la base del lavoro di uno psicologo. Vi chiederete se anche noi psicologi dobbiamo andare in terapia e la risposta è… sì, se vuoi fare un buon lavoro.

Ho iniziato a lavorare nel 2016, con grandi colpi di fortuna ma anche con un evidente entusiasmo e voglia di mettermi alla prova. Ma era anche un periodo di difficoltà, crisi familiari, solitudine e tristezza. È lì che è cominciato il mio viaggio nella psicoterapia.

Cambiamento e psicoterapia

Lo studio è il luogo in cui psicoterapia e cambiamento possono incontrarsi (Foto: Oliver Kepka da Pixabay)

Per questo speciale di Discorsivo, vorrei quindi parlarvi del mio cambio di rotta, della mia psicoterapia.

C’è chi va in terapia perché soffre di ansia, oppure di depressione. C’è chi ci va perché è in crisi su alcune decisioni di vita, oppure per problemi relazionali e amorosi. Altri vanno per conoscere se stessi. Io ci sono andata perché volevo far pace con me stessa e con la mia storia. No, non vi dirò di cosa si tratta, lascerò alla vostra immaginazione. Fatto sta che la mia motivazione è forse simile a tante altre: la non accettazione.

L’equazione della sofferenza

L’approccio della mindfulness (per chi non la conoscesse, qui un approfondimento) mi ha insegnato che la sofferenza è un’equazione. Lo sapevo che la matematica alla fine avrebbe aiutato!

Comunque, la sofferenza è il risultato della moltiplicazione tra dolore e resistenza (s = d * r).

In sostanza, soffro non perché c’è il dolore, che in fondo è parte della vita: soffro perché resisto al dolore. Se il dolore è uguale a 1, più resisto più sarà la sofferenza. Se la resistenza è uguale a zero, anche la sofferenza sarà uguale a zero. Il dolore? Quello resta, ma lo accettiamo e ci facciamo pace.

Il cambiamento in psicoterapia porta sempre con sé una certa dose di dolore

Il cambiamento in psicoterapia porta sempre con sé una certa dose di dolore (Credits: Erik Ward su Unsplash)

Vi chiederete in che modo chi soffre di ansia e panico resista al dolore. Beh, per chi non riesce a tollerare l’incertezza e la possibilità, seppur remota, che le cose possano anche andare male, l’ansia è un modo per controllare, per resistere all’incertezza. È difficile per gli ansiosi pensare “beh, non so come andrà e va bene così”, giusto?

Stessa cosa per chi soffre di depressione, disturbi ossessivo-compulsivi o fobie varie.

“Se deve succedere, succede”

Chiaramente la mia intenzione non è di generalizzare, né di comunicare il messaggio che i disturbi psicologici siano frutto di una mancanza di volontà, né – per la carità – che accettare il dolore voglia dire essere passivi e farsi andare bene tutto.

Accettare il dolore senza resistervi vuol dire accettare che la vita è fatta anche di eventi negativi, perdite, fallimenti, malattie. Vuol dire accettare che ci sono cose che accadono e basta e che tutto il controllo, la preparazione, il rimuginarci sopra o i rimpianti non cambieranno le cose. Se deve succedere, succede.

Questo concetto per me è stato illuminante, perché è quello che permette il vero cambio di rotta. Dove concentro le mie energie? Nel cercare di cambiare quello che non posso cambiare, rimanendo quindi bloccata nel passato o nella paura del futuro? Oppure accetto che le cose accadono anche nonostante i nostri sforzi e dirigo le energie in quel che posso realmente fare?

L’ansia del cambiamento e la mia psicoterapia: com’è andata a finire

Ho iniziato la terapia nel 2016, con diverse interruzioni e riprese, ma è solo nel 2021 che ho realmente, visceralmente capito che tutti i miei sforzi non avrebbero cambiato nulla. Che non dipende tutto da me. Che gli altri sono liberi di agire e scegliere come vogliono, e che io non glielo posso impedire. E che forse anche io sono libera di scegliere, attivamente, di lasciar andare e proseguire per il mio cammino.

Vedete come è fondamentale la terapia? Per me, è stato un toccasana anche nel lavoro: io, con quel grande senso di responsabilità e forse anche la presunzione di pensare che il risultato di un percorso psicologico dipenda solo ed esclusivamente dalla mia bravura e dalle mie azioni.

Il cambiamento implica una scelta, prendere una direzione diversa

Il cambiamento nella psicoterapia può essere rappresentato da un bivio (Foto: Javier Allegue Barros su Unsplash)

La terapia è servita anche per capire che ci sono persone che non vogliono essere aiutate. Che tutti i miei sforzi sono inutili se davanti ho una persona che non vuole cambiare. A quel punto, è colpa mia? Sono io che ho lavorato male? Forse, ma nelle relazioni si è in due.

E a quel punto che si fa? Tormento quella persona cercando di convincerla a cambiare oppure accetto e dirigo i miei sforzi su chi realmente chiede aiuto per trovare una soluzione?

A voi la risposta.

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