A Ruta do Camiño: sulla via di Santiago di Compostela


Un anno esatto fa dal momento in cui scrivo iniziavo con tre amici il Cammino di Santiago di Compostela, il terzo pellegrinaggio più importante del cristianesimo dopo quelli di Gerusalemme e di Roma. Al di là della sua importanza religiosa, il Cammino di Santiago è diventato parecchio di moda negli ultimi anni, se così si può dire. Sport, turismo, fede, esperienza particolare o un non meglio definito itinerario interiore: comunque lo si veda o lo si viva, il Cammino ha assunto un nuovo rilievo, ottenendo a pieno merito un posto d’onore nella classifica dei viaggi più frequentati d’Europa.

Nell’antichità erano tre i segni distintivi dei cristiani che si accingevano a un grande pellegrinaggio: la palma per chi andava verso Gerusalemme, la chiave di San Pietro per chi si recava sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo morti martiri a Roma, la conchiglia per chi percorreva la Ruta do Camiño (come si dice in Galego, il dialetto locale) a vistare la tomba di San Giacomo apostolo a Santiago. Da quando infatti la via per Gerusalemme si era fatta particolarmente pericolosa, le autorità ecclesiastiche caldeggiavano l’alternativo pellegrinaggio a Roma o in Spagna, sulle tre tombe note di apostoli.

La tradizione vuole che il corpo di San Giacomo fosse stato miracolosamente indicato in Galizia alla gente del luogo con una pioggia di stelle cadenti sopra il campo dove esso si trovava. Il luogo fu nominato per questo Campus Stellae, Campo della Stella, e la chiesa che lì sorse fu dedicata a San Giacomo del Campo della Stella, Santiago de Compostela.

Ecco quindi l’inventario del viaggio: conchiglia compostelana, raccolta magari sulle spiagge del nord della Spagna, portata perché utile a raccogliere acqua da bere, ma anche perché simbolo di rigenerazione. Oltre a quella il bordone, bastone per il sostegno e per l’autodifesa, e la bisaccia. E poi via, per le strade, i passi montani e i boschi del Cammino, a seguire una devozione o a compiere una penitenza per sé o per qualcun altro.

Oggi il bastone si può comprare in numerose tappe del Cammino, e così anche la conchiglia (al supermercato venduta al modico prezzo di 3 euro). Al posto della bisaccia, uno zaino Quechua da mettere in fila dietro quello degli altri davanti alla porta dell’ostello, una volta giunti alla tappa, per riservarsi un letto. Ma questi non sono che i corollari: la vera essenza del proprio Cammino la si decide prima della partenza. Quello che si ha in comune fra tutti, e non è poco, sono le marce, le vesciche e gli acciacchi, le sveglie prima dell’alba, le notti negli ostelli, la magia di un viaggio fatto a piedi, la soddisfazione di finirlo. Ma perché affrontare un viaggio del genere a piedi?

Lo si può certo fare anche solo per la semplice soddisfazione di macinare tanti chilometri con le proprie gambe, consci che questo porta comunque a una miriade di esperienze meravigliose alle quali non si può restare insensibili. L’entusiasmo dei partecipanti infatti non manca: più ci si avvicina a Santiago, più aumentano le scritte e le incisioni che raccontano la felicità della meta e del viaggio, che raccomandano di fare il Cammino e di farlo a piedi, che esprimono affetto e benevolenza verso gli altri viandanti e verso il mondo intero. Molte recitano i versi di Antonio Machado: «Caminante no hay camino | se hace camino al andar» («Camminante, non esiste una strada | la strada la si fa andando»). Già questo misto di vissuti ed emozioni è di per sé attraente e consigliabile, specie se unito a scopi turistici o sportivi.

Ad alcuni però può non bastare. Le esigenze spirituali, legate o no alla Fede, certo danno un incentivo e una nobiltà in più a tutta la faccenda, a patto di non scadere in frasi fatte come: “devo trovare me stesso”. Anche le frasi fatte però hanno la loro verità, se è vero che il viaggio assurge alla sua massima dignità quando ha a che fare con la profondità della persona che lo compie, o meglio con la sua essenzialità.

I pellegrini medievali lo avevano ben capito, fondendo l’intimità della loro esperienza religiosa col battere dei propri passi. D’altra parte, non è la stessa vita umana un passare? Recita sempre Machado nella stessa poesia: «Tutto passa e tutto resta, | ma a noi è proprio il passare, | passare segnando strade, | strade sul mare». Ora, che le vie che segniamo nella vita spariscano a un’ora dalla nostra morte o restino in eterno, in quanto uomini siamo comunque viaggiatori. Prenderne coscienza, facendo un viaggio nel viaggio, è – per così dire – sano.

Viaggiatori: ancora meglio, poi, se compagni di viaggio. Prendete un vostro amico o una vostra amica, mettetevi d’accordo e portate un altro amico a testa, e avrete una compagnia perfetta: e non è che una possibilità. Perché quindi fare un viaggio a piedi nel 2012, oltre che per sport o turismo? La devozione, la Fede o la ricerca interiore sono già sufficienti. Ma se volete metterci sopra una garanzia, in viaggio portatevi un’amicizia, e quelli che potrebbero rimanere vostri castelli per aria diventeranno concrete realtà indimenticabili, in cui restare coinvolti per davvero.

Dice lo hobbit Sam all’amico Frodo ne Il Signore degli anelli: «Credevo che i meravigliosi protagonisti delle leggende partissero in cerca di esse, perché le desideravano, essendo cose entusiasmanti che interrompevano la monotonia della vita, uno svago, un divertimento. Ma non accadeva così nei racconti veramente importanti, in quelli che rimangono nella mente. Improvvisamente la gente si trovava coinvolta, e quello, come dite voi, era il loro sentiero». Un sentiero per non tornare indietro: non come prima, almeno. Per chi vuole scommettere, passo dopo passo. Come dice Machado riferendosi al poeta che diviene pellegrino: «Golpe a golpe, verso a verso» («Colpo a colpo, verso a verso»), in una storia di quelle che si raccontano volentieri.

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