Piccolo esperimento interculturale


Come si sviluppa l’identità di un bambino, di un adolescente, che vive in un contesto multiculturale?

In Italia la presenza di minori stranieri si fa sempre più consistente. Si tratta di immigrati di seconda generazione. Con questo termine, la raccomandazione del consiglio d’Europa del 1984 designa ragazzi immigrati, nati nel paese dove i loro genitori sono emigrati, o che qui hanno vissuto parte della loro socializzazione.

Ho chiesto a sei bambini cinesi, immigrati di seconda generazione, di collaborare con me ad un esperimento.

Ho fatto loro dividere un foglio in due colonne, una colonna aveva il titolo “Cina”, l’altra “Italia”.

Ho dettato dei nomi, semplici ma significativi: mamma, babbo, casa, scuola, ecc… e ho indicato loro di scrivere un aggettivo corrispondente al nome nella casella “Cina” e un altro nella casella “Italia”.

Prendiamo un caso significativo. Accanto al nome “babbo” nella sotto colonna Cina si trovava l’aggettivo “buono” , mentre sotto la  colonna “Italia” l’aggettivo era “cinese”.

Risposta molto significativa. Infatti i giovani stranieri, in questo caso cinesi, vivono nel paese di arrivo a cavallo tra due mondi. Da una parte il mondo della famiglia, e dall’altra quello della società in cui crescono, a volte completamente differente.

Designare, in “Italia” il proprio padre come “cinese” significa che per il bambino questo padre in Italia svolge una funzione ben definita, quella di “essere cinese”.

Il mondo della famiglia si fa custode della cultura d’origine, e la tramanda alle generazioni successive; mentre quello della società è luogo “dell’altro” del diverso da sé.

Eppure i minori stranieri sono continuamente chiamati a rapportarsi con questo “mondo altro”, in primo luogo andando a scuola.

Nella fase di immaturità – ci dicono gli esperti- la struttura stessa della psiche umana ha bisogno di un orizzonte culturale di riferimento che sia quanto più integro ed unitario possibile.

Cosa avviene nei casi sopracitati?

I bambini e gli adolescenti si costruiscono progressive visioni di sintesi. Una visione di sintesi funziona in modo da contaminare gli elementi in conflitto e da loro una ri-sistemazione. In questo modo i giovani organizzano una propria visione del mondo sufficientemente coerente da sostenere lo sviluppo della loro identità personale.

«È solo una parte minoritaria di loro a trovare l’energia di reagire alla solitudine: la nostalgia del paese natale o la pressione dei valori familiari, castra ogni spirito di iniziativa, quindi molti scelgono di rimanere a casa a giocare con i solitari di carte sul computer oppure di rimanere al negozio della famiglia, aspettando solo che il tempo passi.

Il modello giovanile a cui questi ragazzi si ispirano è proprio il cliché del giovane cinese all’estero, figlio di famiglie cinesi immigrate con grande successo economico e che ha a disposizione beni e libertà che i suoi coetanei in patria non possono avere per motivi culturali ed economici. È un modello giovanile profondamente cinese che è diffuso anche in patria, in quelle città in cui i beni di consumo, i valori e le icone occidentali sono state già assimiliate e sintetizzate. L’evidente permanere degli orizzonti di riferimento cinesi per tutti questi giovani, fa sì che non si riscontri di norma un forte conflitto generazionale. Considerato il forte utilitarismo che caratterizza il flusso migratorio delle famiglie cinesi in Italia, riscontriamo un allineamento di vedute intergenerazionale su molti temi (il matrimonio, le aspettative lavorative, l’attaccamento all’identità di origine). Rimane comunque da augurarsi che i giovani cinesi non debbano continuare a pagare questa stabilità e consapevolezza del proprio ruolo nell’ambito del progetto migratorio, con l’alienazione dai contesti di socializzazione e con la solitudine.”

(da uno studio di Mondo Cinese, rivista scientifica di studi sulla Cina Contemporanea in Italia)

Gli studi definiscono l’incontro tra due culture diverse come destabilizzante, in quanto genera un disorientamento etico. L’adolescente che si vede imposte certe regole nel contesto familiare, scopre ben presto come molti valori (culturali, etici, politici) non siano gli stessi nella società del paese di arrivo. Questo porta a due soluzioni.

O i giovani reagiscono con l’indifferentismo, per cui la ricerca di un modello “più vero” degli altri è ritenuta insensata, inutile.

In altri casi sono attratti dagli integralismi etnici e religiosi, e la risposta è un adesione fideistica alla cultura e alla tradizione d’origine.

Il dialogo interculturale è quindi impossibile finché l’identità rimane instabile.

Il giovane deve lottare e attraversare i problemi legati al contesto multiculturale, e solo quando approda all’età adulta, diventa capace di far maturare questa esperienza.

Quando la propria persona diviene salda, è in grado di affrontare un dialogo tra orizzonti culturali differenti, e la sua stessa adesione religiosa, politica, culturale è vissuta in maniera più critica, ma per questo più profonda.

( I contenuti che fanno riferimento a studi pedagogici sono tratti dal libro il viaggio come metafora pedagogica della Prof. M.T.Moscato )

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