Nella terra di Aretusa – Miti e leggende siciliani (che odiano le donne)


Avete presente quella situazione in cui non sapete bene in che epoca state vivendo? Ecco, passeggiare per le strade di Siracusa vi trasmette proprio quella sensazione di tempo sospeso: sapete di essere nel 2020 ma vi aspettate di incontrare da un momento all’altro un dio che insegue una ninfa nuda, come se miti e leggende siciliani fossero pronti a prendere vita davanti ai vostri occhi da un momento all’altro.

In questa strana estate dal sapore di libertà vigilata, irrequieta come sono, non potevo restare ferma a godermi il mare di casa; così in un giorno qualsiasi di metà luglio ho preso il primo volo e sono partita per la Sicilia. All’improvviso e senza preavviso ho intrapreso un viaggio attraverso i miti e le leggende siciliani, alla scoperta di quello che resta degli antichi dei dimenticati dal mondo.

Il mio obiettivo, in questa rubrica, è soffiare sopra a quei lontani ricordi, a quei vecchi dei, spolverarli, lucidarli e tirarli fuori dal cassetto.

La Fonte Aretusa a Siracusa è il primo luogo di cui parleremo in questo articolo dedicato a miti e leggende siciliani

La Fonte Aretusa a Siracusa (Credits: Francesca Raffaghello)

Pochi mesi fa mi sono trovata a scoprire, un po’ per forza e un po’ per caso, quella terra che ha dato i natali a Pirandello e Camilleri e lì ho ritrovato miti e leggende siciliani che credevo dimenticati per sempre.

Alfeo e Aretusa  – Metamorfosi di una ninfa che non è riuscita a restare sola

In un normale sabato sera si è aperto davanti ai miei occhi un suggestivo tramonto sull’Ortigia – l’isola collegata alla città di Siracusa da due ponti – che colorava di verde-azzurro una pozza d’acqua (inspiegabilmente dolce!) abitata da papere e papiri. Era la fonte Aretusa.

La leggenda narra che Alfeo – figlio del dio Oceano – si fosse innamorato della ninfa Aretusa mentre quest’ultima faceva il bagno in mare, nuda. La creatura, come a volte accade anche alle donne, non gradiva le attenzioni del giovane dio e così, correndo attraverso l’isola di Ortigia e invocando l’aiuto di Artemide, venne trasformata in una fonte. Alfeo rimase ovviamente a bocca asciutta e, costernato per la perdita dell’amata, chiese aiuto a sua volta a Zeus che lo trasformò in fiume e fece sì che potesse scorrere nel Peloponneso – regione greca – e gettarsi nelle acque del mar Ionio, fino a tornare a ricongiungersi con l’amata fonte nei pressi di Siracusa.

Converrete con me che questa non abbia propriamente i tratti di una grande storia d’amore ma piuttosto quelli di una grande storia di maschilismo e stalking: la povera Ninfa è costretta a trascorrere il suo tempo eterno con uno spasimante che le piaceva così poco che, pur di liberarsene, aveva accettato di essere mutata in una fonte!

L’orecchio di Dionisio – “Stalkerare” qualcuno quando ancora non esisteva Instagram

Continuando a camminare per le vie della città ero certa di non aver esaurito i miei incontri “antichi” con miti e leggende siciliani. Infatti nella parte occidentale di Siracusa sorge l’area archeologica di Neapolis e intorno al teatro sorge un’area di pietra calcarea naturale adibita a carcere negli anni della Grecia classica.

Mentre passeggiavo per queste latomie – pietre tagliate, in senso stretto – giunsi a un’enorme grotta a forma di “s”, attraverso la quale potevo sentire distintamente le parole di chi si trovava nella parete di fondo. Entrai indossando gli occhiali da sole e non nego un po’ di infantile spavento nell’attraversare questa cavità sempre più buia: era l’Orecchio di Dionisio.

In sostanza la forma a “s” della grotta ricordava agli antichi la forma di un orecchio e Dionisio,  tiranno di Siracusa quando le latomie divennero carceri, era solito ascoltare le confidenze dei detenuti dall’esterno  grazie all’acustica perfetta della grotta.

Affascinata da questa storia decisi di approfondirla e scoprii che questo luogo divenne meta dei grand tour degli illuministi del ‘700 e venne addirittura citato dallo scrittore argentino Julio Cortázar ne Il gioco del mondo (Rayuela)

Anche in questo caso, però, nonostante l’idea dell’ingegnoso tiranno mi avesse stimolato un sorriso, restavo convinta che la privacy e il rispetto per l’altro non fossero argomenti che facevano presa sulla sensibilità dei popoli antichi.

Tempio di Apollo a Siracusa

Tempio di Apollo a Siracusa (Credits: Francesca Raffaghello)

Scilla e Cariddi tra miti e leggende siciliani

Proprio quando pensavo che gli echi del passato si stessero riducendo alle anfore e alle àncore tirate su dal mare salii su un pullman pronta a imbarcarmi su un aliscafo che mi avrebbe portata alle isole Eolie. Un po’ a causa del fatto che stavo viaggiando nell’ora più calda, un po’ per la noia del viaggio, mi trovai a guardare fuori dal finestrino con un occhio aperto e uno chiuso e mi resi conto che alla mia destra si apriva lo stretto di Messina. Non potei fare a meno di notare come le rocce che cadevano a strapiombo sul mare ricordassero quei due mostri dai quali doveva guardarsi Ulisse sulla strada di ritorno a Itaca: Scilla (Colei che dilania) e Cariddi (Colei che risucchia).

Due nomi rassicuranti per due creature che un tempo erano state ninfe e poi erano state punite da Zeus e trasformate in orribili mostri. Cariddi l’ingorda che si nutrì dei buoi di Eracle e dei gorghi di acqua e navi e Scilla, una giovane e bella ninfa che si innamorò ricambiata di Glauco pescatore semi-dio. 

L’uomo – nel quadro mitologico, stranamente fedele all’amata ninfa – respinse le attenzioni di Circe che, adirata, tramutò Scilla – del tutto innocente ed estranea alla faccenda- in un orrendo mostro marino. Le mie convinzioni sul maschilismo preponderante nella mitologia antica non facevano che rafforzarsi ad ogni passo attraverso la Sicilia.

Tra miti e leggende siciliani non poteva mancare quello di Vulcano. La leggenda dell'officina di Efesto nel suo Cratere

Il Cratere di Vulcano (Credits: Francesca Raffaghello)

Le isole Eolie, amate da Efesto ed Eolo

Arrivata sull’isola di Lipari scoprii un arcipelago privo di turismo di massa e ricco dei miei amati “echi” dell’antico. Per la cronaca le isole Eolie sono sette – Lipari, Panarea, Stromboli, Salina, Alicudi e Filicudi – e sono tutte isole vulcaniche. Una mattina, da amante della montagna e del trekking, decisi di salire al cratere di Vulcano, che non erutta da 1890 ma è tutt’oggi in attività.

Anticamente era la sede – l’officina, come dicono gli eoliani – del dio Efesto, marito poco amato di Venere, che forgiava le saette per Zeus mentre sua moglie amoreggiava con il dio Marte. Ci sono decisamente posti peggiori in cui essere traditi dal coniuge e forse il dio scelse questo piccolo paradiso terrestre proprio perché fu tra i primi a rendersene conto. Non solo Efesto – che per i latini divenne Vulcano – abitò sulle isole Eolie tradendo l’Olimpo, ma anche Eolo stesso, che diede il nome all’intero arcipelago: la leggenda non specifica se visse sull’isola di Stromboli o su quella di Lipari o forse, vista la bellezza della natura, su entrambe.

Ulisse e la sua poca voglia di tornare a Itaca

Secondo Omero, Ulisse restò da Eolo un mese e il dio, per ingraziargli gli dei durante il viaggio di ritorno rinchiuse in un sacco tutti i venti contrari in modo da garantire all’eroe un sereno ritorno a Itaca.

Ulisse fece vela verso la sua isola e restò al timone finché non vide le coste della sua patria: a quel punto si addormentò. I compagni di Odisseo – invidiosi e sospettosi riguardo il contenuto del sacco che il loro re aveva ricevuto – colsero l’attimo e lo aprirono e si ritrovarono a fronteggiare una tempesta che li allontanò drasticamente e per sempre da Itaca.

Questo è quello che la leggenda e il testo omerico raccontano sulla sorte di Odisseo, ma penso che nel suo lungo peregrinare per il Mediterraneo ci fosse qualcosa di volontario, che ad ogni tempesta si svegliasse dentro di lui un sentimento di riconoscenza per poter viaggiare ancora e conoscere ancora popoli e dei. Sempre troppo in ritardo per poter tornare a casa per tempo.

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