Asteroid City – Il deserto animato di Wes Anderson


Asteroid City è l’undicesimo lungometraggio del regista texano Wes Anderson. Faccio subito una premessa: il mondo dei cinefili si divide in chi considera i film di Anderson come deliziosi e artistici tableaux, e chi invece eccentriche rotture di scatole.

Personalmente faccio parte del per il primo gruppo, anche se – a esser sincero – da qualche tempo non me la sento di dare completamente torto a chi prova sentimenti avversi.

Wes Anderson non lascia mia nulla al caso nella composizione dell'immagine di una scena!

L’affollata composizione di una scena di Asteroid City, in cui Wes Anderson non lascia nulla al caso (Credits: Universal pictures/Focus features)

Dopo i fasti di grandi pellicole come Rushmore, The Royal Tenenbaums e il mio preferito, The Grand Budapest Hotel, il cinema simmetrico, artificioso e un po’ cialtrone di Wes Anderson inizia a venirmi un po’ a noia. Il precedente The French Dispatch, uscito nel 2021, l’ho trovato poco ispirato e noiosissimo. Come di consueto furbetto, calcolato, ed eccentrico all’estremo.

Nemmeno il consueto ensemble di fantastici attori, ingaggiati per fare gli sciocchi, lo ha salvato ai miei occhi.

Il livello superficiale di Asteroid City

Questo nuovo film inizia con l’artificio di una trasmissione televisiva in bianco e nero presentata da Bryan Cranston, che descrive la produzione e la messa in scena di una pièce teatrale intitolata appunto Asteroid City, scritta da Edward Norton e diretta da Adrien Brody.

La pellicola si fa poi a colori e la scena si apre in un deserto in technicolor che fa da scenografia all’omonimo villaggetto, in un tripudio di dettagli anni Cinquanta dai motel alle auto. Asteroid City ospita per un paio di giorni un convegno di giovani astronomi e le loro famiglie, ma durante l’osservazione delle stelle tutti assistono a un incontro ravvicinato del terzo tipo.

Il governo americano decide di mettere in quarantena l’intero sito, intrappolando adulti e ragazzi nell’insolita location, lontani dalle proprie vite ma a stretto contatto con i rispettivi problemi.

Personaggi dentro e personaggi fuori la scena

Come nell’ormai consueto gioco di scatole cinesi, i personaggi di Wes Anderson entrano ed escono da un racconto che si fa concentrico. C’è il solito Jason Schwartzman, amico e storico collaboratore del regista davanti e dietro la macchina da presa fin dai tempi di Rushmore.

Stavolta è una sorta di protagonista barbuto che somiglia pericolosamente al comico Paolo Ruffini, nonostante ciò il suo il (doppio) ruolo di capriccioso attore e padre in lutto è il più completo e riuscito della pellicola.

Jason Schwarzman e Scarlett Johansson in una scena di Asteroid City

Jason Schwarzman che guarda Scarlett Johansson che guarda Jason Schwarzman attraverso la finestra di un bungalow (Credits: Universal pictures/Focus features)

Ad affiancarlo c’è Scarlett Johansson, ancora una volta musa e sogno erotico di un autore. Johansson interpreta un’attrice capricciosa fuori che tenta di coniugare la sua fama di diva alla condizione di madre single.

Lei e il padre vedovo entrano in confidenza, si parlano dalla finestra dei rispettivi bungalow, si avvicinano.

La premiata compagnia di Wes Anderson di talenti vecchie nuovi

Wes Anderson autore è a metà strada tra un architetto e un entomologo: gli piace costruire un set, versarci dentro una serie di personaggi bizzarri per un periodo di tempo, e mostrarci che succede.

Ci sono gli attori che interpretano scrittori, registi e attori fuori dalla rappresentazione, poi alcuni di questi ultimi si sdoppiano e interpretano i propri ruoli all’interno della finzione di Asteroid City. La “realtà” in bianco e nero di fuori si scontra col technicolor della finzione sul palco, si inseguono e completano.

Ogni cast del regista texano è in fondo come una compagnia teatrale, dove ogni star si nasconde dietro il proprio buffo ruolo, in mezzo a un collettivo di talenti. Ogni grande nome rinuncia al cachet astronomico pur di entrare in un gioco spiritoso ma intriso di esistenzialismo e interrogazioni sul significato della vita, tra mille divagazioni.

In fondo le trame dei film di Anderson includono tutte personaggi pieni di rimpianti, che si trovano all’improvviso di fronte a un evento inaspettato. E di solito interrompono l’azione per fare qualcosa di ridicolo!

Asteroid City: la locandina italiana con tutto il cast raggruppato

Il poster italiano corale di Asteroid City (Credits: Universal pictures/Focus features)

La scena sembra sempre un caos controllato, con cammei sfuggenti ma comunque spassosi (come quello invisibile di Jeff Goldblum) e nel mentre va e viene un attore gigante come Tom Hanks, qui nel ruolo del suocero e nonno burbero.

Il cast di Asteroid City

Oltre ai notevoli nomi già citati, Asteroid City impiega tanti talenti di ieri e di oggi: Jeffrey Wright, Tilda Swinton, Steve Carrell, Maya Hawke e persino Matt Dillon, tutti a bordo di una trasognata carovana che non porta da nessuna parte.

Forse ispirato dagli anni appena trascorsi, Anderson chiude i personaggi di questo film in quarantena, e poi ognuno riprende la propria strada. In un artificio stilizzato, senza cuore e senza senso come a volte sa essere la vita.

I detrattori potranno vederlo, non a torto, come un ennesimo esercizio di stile… ma che stile!

Note tecniche di uno stile inconfondibile

Se in Asteroid City l’intreccio è inerte, senza alcun coinvolgimento emotivo evidente, la regia si concede un po’ più di dinamismo rispetto ad altri suoi film. Il tutto, però, mantenendo sempre lo sguardo clinico concentrato sulla composizione dell’immagine.

Il consueto uso massiccio dello split screen e i movimenti di macchina laterali si adattano bene allo stile retrò ricercato e ai colori pastello del villaggio desertico. Il rosso della sabbia, l’azzurro del cielo e il bianco dei nuvoloni hanno una qualità pittorica, quasi da cartone animato.

Il cast di Asteroid City

Il cast di Asteroid City (Credits: Universal pictures/Focus features)

A riempire questa scenografia incantata non mancano alcune incursioni di animazioni in stop motion, aliene come omini verdi scesi dal cielo. Anderson è tecnicamente ineccepibile in ogni minimo dettaglio, persino feticista quando si tratta di inanellare particolari buffi come cartelli esplicativi assurdi e distributori automatici che vendono certificati di proprietà di terreni!

Wes Anderson vattelapesca, come J.D. Salinger

Wes Anderson è ormai un genere cinematografico a sé. Per quanto inevitabilmente un po’ prevedibile, chi va a vedere un suo film sa cosa aspettarsi, ed è quello che forse cerca. Possiamo considerarlo un autore brillante rimasto intrappolato nella propria estetica? Film dopo film, sia che mi delizi sia che mi tedi, non percepisco una vera evoluzione, come se mancasse di ambizione o se gli bastasse così.

Jason Schwarzman e Tom Hanks in scena

Vedovo e suocero a confronto, tra di loro il deserto (Credits: Universal pictures/Focus features)

Da qualche parte ho letto che questo autore crea “mondi (im)perfetti popolati da personaggi affetti da un male di vivere, percepito e descritto come in molta letteratura contemporanea americana”. Ora comprendo che parte della fascinazione del sottoscritto per il suo metodo comunicativo sta nel richiamare consapevolmente lo stile narrativo immediato e sfacciato di Il giovane Holden di J.D. Salinger.

A maggior ragione, quindi, secondo me Anderson funziona davvero quando (oltre alla confezione) ha l’intrigo, l’avventura scavezzacollo e un po’ cialtrona. Come in The Grand Budapest Hotel o in Fantastic Mr. Fox.

Grande e piccolo schermo: Asteroid City in sala, i corti su Netflix a casa

Asteroid City esce al cinema in Italia in contemporanea con i corti realizzati da Wes Anderson in esclusiva per Netflix. Sono quattro, tratti da racconti di Roald Dahl e con protagonista nientemeno che Benedict Cumberbatch: La meravigliosa storia di Henry Sugar, Il cigno, Derattizzazione e Veleno.

A significare che, nonostante tutto, il pubblico non si è ancora stancato di entrare nella stanza dei giochi di Wes Anderson!

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