Ieri e oggi contro i muri dell’ignoranza


«Saruman ritiene che soltanto un grande potere
riesca a tenere il male sotto scacco.
Ma non è ciò che ho scoperto io.
Ho scoperto che sono le piccole cose…
le azioni quotidiane della gente comune
che tengono a bada l’oscurità.
Semplici atti di gentilezza e amore.
»

[dal film “Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato”]

In questo Speciale Magazine 2019 intitolato “Giù i Muri” abbiamo visto che esistono ancora tantissimi muri nel mondo. Che siano fisici o mentali, imposti o creati da noi stessi, dobbiamo essere consapevoli che i muri che ci troviamo davanti non sono né eterni né definitivi e che, se vogliamo, possiamo cercare di fare qualcosa affinché le cose cambino.

Alcune volte questi cambiamenti sono talmente piccoli all’apparenza da essere quasi invisibili; altre volte la società invece di avanzare sembra fare un passo indietro e quei muri, fatti crollare con enorme fatica, sembrano incutere ancora troppo timore.

Helen Hulik nella sua battaglia contro i muri dell'ottus
Helen Hulik

Nello stesso giorno della caduta del Muro di Berlino, ma del 1938, a Los Angeles, una giovane insegnante di 28 anni di nome Helen Hulick viene convocata dal tribunale per testimoniare in merito a un furto con scasso avvenuto nella sua abitazione. Helen si presenta in aula con tranquillità, ma si ritrova contro lo sdegno di un giudice conservatore che, dopo aver notato che la ragazza indossava dei pantaloni, le chiede di tornare il giorno dopo con un abbigliamento più femminile per non “dare scandalo“.

Dite al giudice che farò valere i miei diritti. Se mi ordina di mettermi un vestito, non lo farò. Mi piacciono i pantaloni. Sono comodi” dichiara ai giornalisti del L.A. Times una volta uscita dalla sala.

La scena si ripropone nuovamente più volte e la Hulik viene anche condannata a cinque giorni di prigione. Fortunatamente il suo avvocato, William Katz, che credeva fermamente in lei, porta la questione in Corte d’Appello, la quale sancisce il diritto di Helen, come di ogni donna, a indossare i pantaloni anche in tribunale.

Se ieri erano i pantaloni, oggi ciò per cui stiamo lottando è il diritto delle donne di indossare (o non indossare) qualunque tipo di indumento senza essere giudicate o, ancora peggio, molestate in alcun modo. Pagine come “Abbatto i Muri“, che non porta a caso questo nome, raccolgono ogni giorno testimonianze di ragazze e di donne che si sentono minacciate da una società che, come il giudice della Hulik, le vuole pacate e sottomesse. Queste storie, spesso anonime, raccontano il desiderio di cambiare le cose, la paura di sentirsi impotenti, l’acquisizione della consapevolezza che anche se “è sempre stato così” nella mentalità comune, questo non vuol dire che sia giusto.

La pagina facebook di abbatto i muri  lotta per i diritti delle donne
La pagina Facebook Abbatto i Muri

Essere donna, al giorno d’oggi, non è affatto semplice, e la sensazione di dover abbattere muri in ogni contesto – dal lavoro, alla famiglia, alla cura di se stesse – è estenuante.

Ma se essere donna non è semplice, avere la pelle di un colore diverso rispetto alla maggior parte della popolazione è davvero complicato.

Rosa Parks nella sua lotta contro i muri del razzismo
Rosa Parks

In Alabama, ventisette anni dopo la storia di Helen Hulik, una donna di quarantadue anni sta tornando a casa con l’autobus dopo un’intensa giornata di lavoro. Il suo nome è Rosa Parks e il suo atto di ribellione è ormai una storia nota: nel Sud degli Stati Uniti la legge dichiarava che i posti in fondo al bus sono per i neri, quelli davanti per i bianchi e quelli al centro misti; se, però, l’autobus è pieno, i neri seduti al centro devono alzarsi e lasciare il posto ai bianchi. Quando l’autista intima a Rosa di alzarsi per lasciare il posto a un altro passeggero la donna risponde con un semplice e potente “no”.

Una storia antica e legata al suo tempo? Purtroppo no.

Il 14 novembre 2019 a Genova una scolaresca delle elementari sta rientrando in autobus da una gita a teatro. Uno dei bambini, straniero, si siede accanto a una signora sui cinquant’anni che, subito, lo guarda con sdegno e sbuffa. “Non pagano nemmeno il biglietto” borbotta infastidita e, quando le maestre, stizzite, le fanno notare che tutti i bambini hanno il biglietto aggiunge “Me lo potete togliere?“.

Le maestre la guardano incredule. Lo ha detto davvero? Si domandano. Sì, lo ha detto davvero. Non nel 1955, non in Alabama. Siamo nel 2019 e siamo a Genova.

Si sposti lei. Da qui il bambino non si muove” ribadisce a muso duro Cinzia Pennati, una delle maestre, che racconterà poi l’accaduto sul suo blog SOSdonne, dove da anni si impegna in iniziative contro la violenza sulle donne. La priorità sua e delle sue colleghe è proteggere quei bambini che, nonostante la giovane età, percepiscono fin troppo della cattiveria del mondo.

Subito gli altri bambini circondano il loro amichetto quasi a volerlo proteggere e, mentre scende dal bus, la signora ha il coraggio di aggiungere in direzione della maestra che l’aveva affrontata “Tu non mi fai paura“.

No, lei non ha paura di noi ma noi siamo un po’ spaventati dalla sua ignoranza e dal razzismo dilagante che oggi sembra quasi legittimo nella mente contorta di queste persone.

Ieri come oggi c’è ancora tanto, troppo da fare. Troppi muri da smantellare e, talvolta, sembra che più che un muro si stia combattendo contro i mulini a vento.

Forse è vero. Forse ci sono muri che fanno più in fretta ad essere ricostruiti che abbattuti. Forse stiamo lottando contro muri all’apparenza indistruttibili. Le persone che raccolgono storie e pensieri di rivalsa, le maestre che difendono i propri ragazzi a spada tratta davanti ad ogni ingiustizia, tutti noi che sogniamo un mondo migliore e che cerchiamo di renderlo tale. Forse siamo solo Hobbit che si sono ritrovati in una storia più grande di loro, a combattere contro un nemico che spaventerebbe persino i personaggi più forti. Ma quale che sia il nemico contro cui combattiamo una cosa è certa: lo stiamo facendo insieme.

E questo vale più di qualunque anello del potere.

+ There are no comments

Aggiungi