Arabia Saudita: ultimatum a Skype, Viber e Whatsapp


A fine marzo le autorità del Golfo hanno minacciato di vietare le applicazioni di messaggistica, come Skype, WhatsApp e Viber.

Un severo ultimatum indirizzato alle Telco locali in Arabia Saudita: una settimana di tempo per l’adozione di specifici requisiti tecnici ordinati dalla Commissione locale sulle Comunicazioni e l’IT. Il governo saudita ha chiesto infatti un maggior controllo sulle conversazioni in tempo reale degli utenti.Skype-Icons-Spotted-in-Latest-BlackBerry-10-Dev-Alpha-OS-Build-21

La Commissione, secondo il sito di Al-Arabiya, si è ufficialmente rivolta ai principali operatori di telecomunicazioni per trovare un accordo per l’implementazione di alcuni filtri volti alla sorveglianza delle comunicazioni online. Ribadita l’impossibilità di effettuare questo tipo di controllo da parte delle aziende, la Commissione ha dichiarato che prenderà in considerazione delle procedure per bloccarle completamente.

Il “cane da guardia” delle telecomunicazioni saudita aveva affrontato un caso simile nella primavera del 2010, quando aveva dichiarato all’azienda canadese Research In Motion l’intenzione di procedere con le attività di monitoraggio e sospensione del servizio di messaggistica BlackBerry Messenger. Anche in quel caso, le autorità avevano paventato il blocco definitivo del servizio.

viberAlla base di tali provvedimenti sembra esserci di una questione urgente di sicurezza nazionale. Ed effettivamente questa è una strategia che ha tutta l’aria di essere stata adottata per stroncare la proliferazione di opinioni legate al dissenso politico. I canali di messaggistica e i social network costituiscono infatti una fonte di preoccupazione per un Paese ultra-conservatore come l’Arabia Saudita: il governo ha sempre osservato con attenzione la loro crescente popolarità, estendendo in tutta risposta le restrizioni della libertà di espressione.

Lo scorso febbraio, il ministro alla Cultura Abdul Aziz Khoja aveva già parlato di «pericolosità di social network  come Twitter», annunciando una forte ondata censoria tra gli account arabi.

A gennaio cinquecento intellettuali hanno firmato una petizione per liberare il blogger Turki al-Hamad, in carcere dal 24 dicembre 2012 con l’accusa di insulti contro Maometto e la casa reale. Su Twitter, l’attivista aveva criticato la monarchia per la sua interpretazione troppo rigida dell’Islam.

L’esplosione dei social network ha costretto il ministero degli Interni ad aumentare il controllo su internet. Facebook, Twitter e i blog sono diventati uno dei principali strumenti di critica al rigido governo sunnita, che proibisce qualsiasi comportamento non conforme alla sharia, la legge islamica. Il caso più grave riguarda l’attivista Raif Badawi, arrestato nel giugno 2012 a Jeddah con l’accusa di apostasia, per la quale rischia la pena di morte. Il 7 maggio l’uomo aveva lanciato attraverso il suo sito web “la giornata del liberalismo”, invitando tutti i cittadini a protestare contro la dittatura religiosa.

Ad oggi Al-Arabiya fa sapere che Skype, Viber e Whatsapp sono perfettamente funzionanti, ma la Commissione sottolinea che «adotterà le misure adeguate, in caso di mancato rispetto delle normative saudite». Misure che prevedono tra l’altro la possibilità per le autorità di monitorare il traffico generato da applicazioni software dedicate alla messaggistica.

whatsapplogoAlle Telco, invece, spetta nuovamente il delicato compito di trovare un accordo con i fornitori di servizi VoIP e IM per l’implementazione di filtri e standard tecnologici per sorvegliare le comunicazioni private dei cittadini sauditi. In caso di risposta negativa, la commissione locale potrebbe bloccare direttamente i vari client coinvolti.

«Le persone sanno che non sarebbe un grande problema, anche se queste applicazioni venissero bloccate», ha spiegato Eman Al-Nafjan, uno dei blogger più importanti dell’Arabia Saudita. «La preoccupazione vera nascerà se si deciderà di vietare internet o se il governo smetterà di fornire i servizi internet. Fino a quando ci sarà internet, non ci sarà modo di porre restrizioni alla libertà di parola».

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