Il telecomando della vita in mano a Tiziano Terzani


Nell’affrontare la scelta del libro del mese, ho pensato a un autore a cui sarebbe interessata la proposta dell’editoriale: prendere in mano il telecomando della vita e farne ciò che vuole.

Un’offerta sicuramente interessante, ma sin da subito ho dovuto escludere parecchi autori per non creare una vera e propria catastrofe naturale. V’immaginate di lasciare una cosa del genere nelle mani del signor Bukowski?

Se devo essere sincero fino in fondo, a me sarebbe piaciuto consegnarlo al filosofo naturalista H. D. Thoreau. Qualsiasi decisione avesse preso la stessa mente geniale che ha partorito Disobbedienza Civile, non poteva non trovarmi d’accordo.
Ma non mi fidavo dell’immaginazione dei narratori, né tantomeno di quella dei filosofi.

Così, in fine, ho deciso di lasciare questo fatidico telecomando a un uomo che ritengo un profondo conoscitore della vita. Nato in Occidente, trapiantato in Oriente, ha documentato, non senza slanci artistici, le condizioni umane di molti popoli, vivendo le loro stesse realtà. Così facendo, la scrittura di questo giornalista-scrittore è attraversata da quella genuina passione di chi crede in ciò che fa.

Tiziano Terzani si è spinto nel lontano oriente, dove ha trascorso più di trent’anni tra Singapore, Hong Kong, Pechino, Tokyo, Bangkok, Nuova Delhi. Attraverso i suoi articoli e libri, ha seguito l’offensiva dei vietnamiti del nord contro le truppe americane. A Saigon, è stato testimone della vittoria comunista sugli americani.

Nel 1977, scrive dell’olocausto cambogiano, in una terra prima in mano ai khmer rossi, poi invasa dai vietnamiti. Nel ’80 si dedica alla Cina distrutta dal Maoismo, e nel ’91 attraversa nove delle quindici repubbliche sovietiche per documentare la caduta dell’impero sovietico.

Uno dopo l’altro, Terzani ha visto i vari paesi dell’Asia liberarsi del giogo coloniale e mettere alla porta l’occidente e le sue proposte di “vite nove”, “moderne”. Fino ai primi anni ’90, questo è l’oriente che conosce, una terra che cerca nelle proprie tradizioni le soluzioni ai suoi problemi.

«Una delle prime cose che si notano entrando in Birmania è lo strano modo di guidare. In un’occasione, l’astrologo di fiducia di Ne Win, capo dello stato, gli disse che di lì a poco la destra si sarebbe improvvisamente sollevata. La tradizione birmana prevede che facendo accadere qualcosa di simile alla predizione, il destino potrebbe essere, in qualche modo, soddisfatto comunque. Così Ne Win ordinò che da quel momento si dovesse guidare a destra e non più a sinistra, come era stato dal tempo degli inglesi. L’intero paese fu sconvolto, ma con questa «sollevazione da destra» la profezia, a suo modo si esaudì e lui evitò la vera rivolta».

Il libro in cui si trova questa storia, insieme a tanti altri racconti sulle tradizioni dei popoli che Terzani ha incontrato sulla sua strada è Un indovino mi disse, pubblicato nel 1995, dalla casa editrice Longanesi, pp. 429, € 18,60.Purtroppo, nel 1993, anno in cui risalgono gli appunti che compongono il libro, della vecchia Asia è rimasto poco. Molte sono le descrizioni delle zone di verde inghiottite dall’asfalto. Ormai la modernizzazione non è più combattuta come al tempo dei colonizzatori: si è insinuata come un virus, dall’interno, e nessuno ha ancora trovato un antidoto.

Sfogliando le pagine, non è difficile respirare la grande amarezza con cui l’autore documenta questo momento storico. «Tutti dobbiamo chiederci – e sempre – se quel che stiamo facendo migliora e arricchisce la nostra esistenza. O abbiamo tutti, per una qualche innaturale deformazione, perso l’istinto per quel che la vita dovrebbe essere, e cioè soprattutto un’occasione di felicità?». Ma le risorse di questo libro non sono ancora esaurite, ci sarà ancora spazio per un inaspettato risvolto.Su consiglio di un indovino, Terzani, per l’intero anno 1993, sceglierà di viaggiare in modo particolare. Evento che trasporterà l’autore a un’analisi di livello ancora più profondo. Grazie alla quale scoprirà, tra le pieghe delle sue riflessioni, ancora una “nuova vita”. Questa volta non derivata dagli eventi in sé, ma dal modo in cui essi sono osservati.

Concludo tornando al nostro telecomando della vita, lasciato, per uno strano gioco, sul tavolinetto della “Turtle House”, la casa di Bangkok di Terzani. Me lo immagino quel signore, con la faccia serena, entrare nel suo piccolo salotto, vestito di bianco come sempre, con la barba lunga, come sempre. Sedersi a gambe incrociate sul tappeto cinese, prendere il telecomando appoggiato al basso tavolino di fronte a lui, mirare verso la televisione nella quale stanno scorrendo le immagini della costruzione del complesso residenziale più anonimo mai costruito in tutto il mondo, e premere il tasto STOP.

2 Commenti

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    • Davide Vichi

      Mi fa piacere che interessino anche a te i lavori di Terzani.
      Sono d’accordo con quello che dici, sia per quanto riguarda la personalità che per lo stile.
      Ciao e Grazie!

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