Intervista a Bugo


Nuovi rimedi per la miopia. Nuove soluzioni al vivere umano.

«Dobbiamo rinnovarci. Dobbiamo trovare in noi stessi segnali di rinascita. Dobbiamo rischiare».
A distanza di tre anni da Contatti, Bugo è tornato con Nuovi rimedi per la miopia, un disco in cui analizza se stesso, ammette le sue debolezze e canta i suoi comportamenti miopi. Per liberarsene.
Per migliorarsi.
E per fare piccoli ma coraggiosi passi verso una vita più vivibile. E perché no, un mondo migliore.

Durante il viaggio che ha finalmente intrapreso per portare i rimedi in giro per l’Italia, farà tappa anche al Georg Best Club di Montereale di Cesena, lunedì 31 ottobre.

Un appuntamento imperdibile, considerando che è lui stesso ad invitarci (clicca qui).

Così, in attesa di ascoltarlo dal vivo tra lugubri spettri e zucche stregate la viglia di ognissanti, gli abbiamo posto qualche domanda.

 

Il nuovo tour è partito venerdì 21 ottobre. Com’è stato riprendere a suonare?

Meraviglioso.

Il tour di “Contatti” è finito nell’ottobre 2009 e in questi due anni non ho suonato dal vivo.
Mi sono dedicato al film (Missione di Pace, per cui Bugo ha scritto la colonna sonora e recitato una parte, ndr), ho allestito una mostra, mi sono trasferito all’estero (New Dehli, ndr), ho completato il nuovo album.
Tornare sul palco è stato bellissimo. Poi gruppo nuovo, canzoni nuove, scenografia nuova: fantastico.
Non vedo l’ora di continuare!

 

Il nome del tour è “Qualcosa di più importante”, un verso tratta da “Nonhotempo” la prima traccia del nuovo album. Perché hai deciso per questo nome?

Innanzitutto perché trovo orripilante “Nuovi Rimedi per la Miopia Tour”.
Quindi ho provato con le singole canzoni, ma non c’era nulla che mi soddisfacesse. Allora sono passato ai testi e ho detto «Qualcosa di più importante: sì!» perché per me suonare è davvero qualcosa di più importante. È un rimedio alla miopia.

Per noi musicisti suonare dal vivo è sempre fondamentale, ancora di più in questo periodo in cui si vendono pochi dischi.

 

Per te suonare è davvero «qualcosa di più importante», ma sappiamo che ti dedichi anche ad altre arti. Cosa ti danno, per esempio, le arti visive di differente?

Sono piani che spesso si intrecciano, perché quando ho idee per una mostra o una installazione l’ispirazione può provenire dal verso di una canzone, o viceversa.
Anche se è da poco che mi occupo concretamente di arte visiva e faccio mostre di arte contemporanea, non ho mai pensato alla musica come un mondo a se stante. Qualsiasi cosa può essere inglobata nel mondo dell’arte, in generale.

Cerco di destabilizzare sia l’arte visiva che quella musicale in modo positivo mischiando le carte. La mia linfa proviene dall’una e dall’altra.

Però non vorrei essere frainteso. I rischi che si corrono sono due: la chiusura e la confusione generata dall’eccessiva gamma di possibilità. Tutti parlano di contaminazione delle arti, per esempio, ma spesso vedo parecchia confusione nella fusione che ne deriva. Bisogna fare attenzione: quando si ha un’idea, il progetto dev’essere preciso e ben canalizzato in un settore, altrimenti si perde la coerenza del messaggio.

È un gioco tra le parti. Ora si può far tutto: anche chi non sa dipingere può fare una mostra. Maurizio Cattelan l’ha dimostrato e io lo adoro. Lui, ad esempio, è riuscito a canalizzare benissimo la sua forza. È quello che ho sempre cercato di fare, e che cerco di fare tutt’ora. Se si ha a disposizione un range di possibilità infinite, bisogna sapersi focalizzare esattamente su quello che si vuole dire, altrimenti ci si perde.

 

In Pieno Stile 2000”, una delle canzoni del nuovo disco, sembra essere percorsa da una vena critica nei confronti del periodo in cui stiamo vivendo.
Riprendendone il testo, perché consumarsi è in pieno stile 2000?

 

È una canzone molto personale, come tutto il disco.

Vivere la mia epoca – ossia il 2000, inteso come periodo, non come anno – mi consuma.
La vita contemporanea, con tutte le sue distrazioni mi fa perdere la direzione, mi deconcentra, mi destabilizza. Mi fa diventare miopie, venendo al titolo del disco.
Ci sono momenti che mi sento consumare, mi sento bloccato, fermo, ed è un aspetto della mia persona che ho voluto analizzare in questo disco in cui ho cercato di espormi totalmente.

D’altra parte quando si parla di se tessi bisogna essere spietati. È fondamentale mostrare degli aspetti che non vanno giù se li si vogliono superare veramente. È doloroso, ma liberatorio.
Infatti per me il disco è molto liberatorio.

 

Veniamo a Missione di Pace, il film di Francesco Lagi che uscirà il 28 ottobre e che hai musicato per intero. Com’è stato per te scrivere una colonna sonora? Adattarsi ai temi del film, dare musica alle scene, interpretandone anche una parte…

Nel film sono un militare che canta canzoni, le mie canzoni.

Alcuni dei miei vecchi pezzi come “Ggell”, “Casalingo”, “Che Diritti ho su di Te” li ho utilizzati come base, “I Miei Occhi Vedono”, il singolo nuovo, è la canzone dei titoli di coda, mentre per i temi strumentali ho lavorato partendo da alcuni spezzoni di film che il regista mi mandava. Dei 15 temi composti nel film ne sono stati utilizzati 9 in base al montaggio definitivo. È stato un lavoro lungo, anche di confronto aperto col regista e ci sono voluti sei mesi per completarlo. Un tema lo avevo già composto per una vecchia canzone; è un vecchio giro di chitarra che non avevo mai utilizzato e che quando ho visto la scena, in cui poi è stato inserito, mi è subito tornato in mente. Così l’ho risuonato, l’ho riarrangiato e ha funzionato benissimo.
Quindi c’è tutto Bugo: il nuovo, il vecchio, l’inedito.

È stato bellissimo perché per la prima volta ho fatto il compositore di musica strumentale, che è inedito per me, e molto stimolante.

Spero di poter ripetere questa esperienza.

 

In una tua recente intervista ho letto che “C’è Crisi” era stata composta nel 2005, e doveva essere contenuta in “Sguardo Contemporaneo”. Invece è stata scartata per quell’album ed è finita in “Contatti”, del 2008.
Ma è ancora perfettamente attuale.

È vero, è attualissima.
Infatti con “Nuovi Rimedi per la Miopia” ho cambiato totalmente direzione perché non avevo più niente da dire di così forte per parlare dell’Italia e del mondo.
Cosa potevo ancora dire dopo “C’è Crisi” o “Nel Giro Giusto” di così analitico, graffiante ma ottimista sulla realtà?

Non potevo stare più su quella lunghezza d’onda, non avevo più idee. L’unico modo da essere umano per sopravvivere a questa situazione non era ripetere «viviamo in tempi bui» come dicono i Ministri – che io adoro. Allora mi sono chiesto «Bugo, ora è il momento di chiederti cosa non va in te, e cosa invece funziona».
È arrivato il momento di chiederci cosa possiamo cambiare in noi per migliorare il mondo, perché è troppo facile dire «qua non va bene, al telegiornale sono degli stronzi, Berlusconi non va bene» . Dobbiamo rinnovarci dentro, trovare in noi stessi segnali di rinascita. Perciò ho corso un rischio.

Un rischio vero, perché presento il mio nuovo disco con un singolo che parla d’amore. So che a molti miei vecchi fan non è piaciuto; non ho fatto un disco contro di loro, ma sono semplicemente stato onesto: credo nell’amore – mi sono appena sposato – quindi non posso dire che per me l’amore è una merda per compiacere, perché non è così.

Se avessi riproposto un altro disco come “Contatti”, mi sarei sentito totalmente ridicolo.
Ad esempio gli Zen Circus – che a me piacciono molto – sono stati bravissimi nella loro analisi con il loro nuovo disco Nati per Subire, ma io ho cercato di proporre uno step successivo. Io la penso esattamente come loro, tutti la pensano come loro. Ma sono stanco di atteggiamenti disfattisti, di vittimismo e di ironia distruttrice. Ora è chiaro che c’è crisi, e il discorso è un po’ delicato, ma piangersi addosso rischia di essere fine a se stesso.
Alcuni atteggiamenti positivi infastidiscono mentalità alternative. Invece si può essere originali parlando di “viva la vita” e “viva l’amore”. I Beatles l’hanno dimostrato, e io ci ho provato in questo disco.

É necessaria la volontà di rinnovare e migliorare le cose, anche partendo da un sorriso.
In caso contrario saremmo veramente nati per subire.

 

Un ringraziamento speciale a Francesco per il supporto tecnico.

5 Commenti

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    • Ilaria

      Non so se ho ben interpretato il tuo messaggio. Se così fosse, ti capisco.

      Quest’ultimo disco può non soddisfare, soprattutto se si è in qualche modo affezionati al Bugo di “Golia & Melchiorre”, o a quello di “Contatti”, e alla sua semplicità ricca di significato.
      La cosa che io apprezzo di più (oltre al contenuto, alcuni brani soprattutto) di “Nuovi rimedi per la miopia” è l’intenzione e il messaggio che ne scaturisce (elementi forse indipendenti dal talento, sprecato a tuo avviso).
      Questa intervista in primis, e altre chiacchierate extra, mi hanno permesso di capire che il disco è un’analisi personale di un Bugo innamorato su se stesso e su ciò che non va nei suoi comportamenti. Un esame volto a migliorarsi e un invito a fare lo stesso, per andare oltre la necessaria – ma a volte immobilizzante – presa di coscienza. «Per migliorare le cose, trovare in noi stessi segnali di rinascita, etc etc».

      Poi il modo in cui questo messaggio viene veicolato, il disco – a giudicare da come è stato accolto da molti – possono far pensare al talento sprecato.
      È così?

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