Workers buyout: se i dipendenti rilevano l’impresa. Rilanciandola


Ci sono aziende che chiudono i battenti. Ci sono migliaia di lavoratori che, da un giorno all’altro, perdono l’impiego cui avevano dedicato anni di sacrifici. Ma c’è anche chi di fronte alle difficoltà non si rassegna, convinto che la forza del gruppo possa battere la crisi, che facendo squadra e valorizzando un patrimonio condiviso di competenze e conoscenze sia possibile risalire la china. È questo lo spirito che anima le tante – e sempre più numerose – iniziative di workers buyout che nell’ultimo biennio hanno permesso di salvare decine di posti di lavoro.

È il caso della Greslab di Scandiano (Re), azienda del settore ceramico rinata come cooperativa sulle ceneri di una società di capitali entrata in liquidazione nel 2008, Ceramica Magica. Artefici di questa “risurrezione” 41 ex dipendenti, messisi in gioco dopo 14 mesi di fermo totale degli impianti e circa due anni di cassa integrazione. «L’unica alternativa sarebbe stata la disoccupazione» spiega il fuochista e consigliere d’amministrazione Luca Bellei al microfono di Repubblica Tv.

Di qui la soluzione: «Abbiamo tutti riscattato la nostra mobilità e l’abbiamo versata come capitale sociale». Quattordici mila euro ciascuno, che insieme alle risorse messe a disposizione da Coopfond e Cfi hanno reso possibile la riaccensione delle linee produttive. Con risultati lusinghieri: bilancio in pareggio dopo soli sette mesi di attività e la prospettiva concreta di poter dividere gli utili tra i soci già alla fine del 2012.

Ma come funziona, nel concreto, il workers buyout? Quando il ciclo economico non conosce andamenti particolari, il ricorso a questo tipo di operazione avviene per lo più per risolvere problemi di ricambio generazionale, spesso all’interno di singoli rami di un’azienda. Dall’esplosione della crisi economica globale nel 2009, invece, iniziative di workers buyout hanno interessato sempre più spesso aziende entrate in liquidazione: i lavoratori si propongono di riunirsi in cooperativa e di prendere in affitto o acquisire la società per cui lavoravano investendo i propri risparmi e l’indennità di mobilità, in genere con il sostegno di organismi finanziari che partecipano alla costituzione del capitale e forniscono supporto nell’individuazione di linee di indirizzo efficaci ai fini della buona riuscita dell’iniziativa imprenditoriale.

«All’origine di ogni operazione di workers buyout – spiega Aldo Soldi, direttore generale di Coopfond, proprio in relazione alla vicenda Greslab – c’è il fallimento di una società di capitali, fallimento che può avere cause diverse: scelte sbagliate da parte dell’imprenditore, una diversificazione produttiva che non paga, investimenti eccessivi in un momento di mercato asfittico. Quella che potrebbe essere la parola “fine” può diventare, però, l’occasione di un nuovo inizio. Ad alcune condizioni: la principale è la determinazione dei dipendenti che scelgono di riunirsi in cooperativa per rilevare l’azienda».

Determinazione, volontà, spirito di iniziativa: sono le parole chiave di un’altra vicenda di workers buyout, quella della Sourceland di Bari, realtà nata meno di due anni fa che in breve tempo ha saputo ritagliarsi un ruolo di primo piano nel settore del facility management, delle consulenze aziendali e anche della gestione di progetti di valorizzazione ambientale. Con una peculiarità: i 14 soci provengono da incarichi dirigenziali svolti per diverso tempo all’interno di una grande holding del Mezzogiorno entrata in una fase di difficoltà a causa della recessione economica.

«Abbiamo iniziato costruendo un laboratorio – ha raccontato il project manager e consigliere d’amministrazione Vitandrea Marzano nel corso di un’intervista rilasciata per Legacoop Informazioni a Genova lo scorso 21 settembre in occasione del Welcome Day dedicato alle neoassociate Legacoop – e valorizzando le nostre competenze, in particolare quelle dei più giovani, per non subire la crisi finanziaria del gruppo e dare vita a una realtà cooperativa interna che col tempo si è svincolata, diventando infine completamente autonoma».

Un’intraprendenza che nelle parole di Marzano si carica anche di un significato simbolico: «Avevamo creato una squadra, erano più di tre anni che lavoravamo tutti insieme, e quando l’azienda è entrata in ristrutturazione abbiamo deciso di organizzarci. La nostra è un’esperienza in cui il capitale umano, in un momento di crisi, non si disperde, ma al contrario fa impresa e diventa responsabile del proprio futuro».

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