Essere stranieri nella propria città: costruire la città delle emozioni


Mentre in politica si discute se sia ancora accettabile parlare di destra e sinistra, quando si dice città centro e periferia diventano categorie desuete, inadatte a descrivere i nuovi processi di trasformazione. Trasformazione sociale, culturale ed economica che la sta rimodellando. Un discorso ove si impone, prepotentemente, l’effetto di quel fenomeno onnicomprensivo qual è la globalizzazione che va “a braccetto” con la compressione spazio-temporale e le nuove ondate di nomadismo urbano che ne ridisegnano il territorio.
La conseguenza è nelle orecchie di tutti quando si pronunciano e odono parole risentite, se non sprezzanti, verso quei “nuovi” gruppi di migranti che hanno riadattato a sé gli spazi urbani. La città si è trasformata in giustapposizione di comunità culturali autoescludenti. Ognuna con pratiche proprie che costruiscono nell’altro una rappresentazione sociale in cui la dimensione umana di chi è nuovo si cela dietro la maschera dell’”invasore”. Inizia una battaglia dalla posta in gioco rischiosa: lottare per conquistare, centimetro per centimetro, lembo a lembo, quel fazzoletto di terreno su cui imprimere un marchio che dice: «Questa è la mia terra», perché quella che si vive sta diventando terra d’altri che non sono come noi. Che fare?

Nasce a Bologna, presso l’Istituto Gramsci Emila-Romagna, l’Associazione Mappe Urbane: «[…] un laboratorio di ricerca sulle nuove geografie urbane con l’obiettivo di studiare forme di intervento culturale che sappiano approfondire la consapevolezza dei problemi del territorio metropolitano». Un gruppo interdisciplinare di studiosi – di etnografia, socioantropologia, urbanistica, architettura, sociologia, ecologia e del settore educativo – che lavora per elaborare: «[…] percorsi di “riscoperta dei luoghi” così da stimolare la partecipazione alla loro valorizzazione da parte di chi li abita e, quotidianamente, li attraversa».

Uno dei progetti, elaborato con la speranza di attrarre l’interesse di istituzioni pubbliche e private, di ricercatori, di professionisti, ma anche di semplici cittadini che vogliano: «[…] progettare una vita urbana sostenibile per le molte diversità che la costituiscono», è il geoblog Percorsi Emotivi. Prima ancora di Mappe Urbane nasce da Matilde Callari Galli con la consapevolezza che il paesaggio urbano muta continuamente in base agli affetti, agli stati d’animo e alle pratiche che si svolgono in esso. Si vuole così permettere ai cittadini bolognesi di “dialogare” con la loro città attraverso una mappa elettronica che la rappresenta inserendovi il ricordo, il pensiero, l’emozione che hanno vissuto o provato in un punto specifico (vicolo, ponte, piazza, monumento…). Si vuole capire come gli abitanti percepiscono i luoghi, che quotidianamente attraversano, riuscendo a rappresentare il territorio urbano in funzione delle emozioni di chi lo usa. Si vuole esplorare e comprendere il tessuto urbano attraverso un punto di vista tradizionalmente non indagato nelle analisi scientifiche sperando di arricchire e influenzare: «[…] il quadro di riferimento di pianificatori e decisori politici accanto e al di là delle usuali procedure di analisi e di urbanistica partecipata».

Dopo essersi registrati, l’inserimento dei post è organizzato in sei categorie ombrello – cosa ricordi, cosa siamo, cosa vorremmo, cos’hai scoperto, cosa ami, cosa temi – che permettono di includere molteplici sfumature emotive. Per non intaccare la genuinità dei contributi non viene applicato nessun intervento di editing andando così a creare un archivio in progressivo aggiornamento. Ogni utente è completamente libero d’inserire testi, video, immagini, file audio, libero di navigare tra i post scritti da altri, commentarli e, ad oggi, sono state elaborate, cinque mappe tematiche – i luoghi della memoria, la città dell’arte pubblica, la città della street art, la città delle acque, altrove in città.

In virtù della finalità del progetto si è cercato di circuire l’ostacolo del digital divide. Vi sono infatti soggetti ai margini della società che non riescono ad avere un punto d’accesso, un computer attraverso il quale navigare. Senza coinvolgerli, si prospetterebbe la realizzazione di una mappatura territoriale sempre parziale. Per questo, oltre a offrire una postazione di pubblico accesso all’interno dello Urban Center Bologna, si è iniziata una collaborazione con associazioni che, lavorando con migranti, con donne in situazioni di disagio, con i “senza fissa dimora”, con i centri sociali anziani, con le scuole, sono ben radicate, e hanno già un canale comunicativo privilegiato con tutte le forme di diversità presenti a Bologna le quali, usando lo spazio urbano, sono necessarie per il suo ripensamento.

Un progetto un po’ stano? Troppo poco pragmatico? Non dirmi che non ti sei mai sentito straniero nella tua città?

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