Cineconfronti – Papillon 1973 VS 2018


Papillon (1973) un film di Franklin J. Schaffner, con Steve McQueen (Henri “Papillon” Charrière) e Dustin Hoffman (Louis Dega)

Papillon (2018) un film di Michael Noer, con Charlie Hunnam ( Henri “Papillon” Charrière) e Rami Malek (Louis Dega)

Un modo alternativo ma efficace per contrastare il caldo estivo è quello di andare a rinchiudersi in una sala climatizzata e godersi un paio d’ore di pura evasione, quale occasione migliore poi se il film che sceglierete è il remake di un grande classico che, guarda caso, parla proprio di tentativi di evadere da penitenziari oltreoceano.

Papillon versione 2018 racconta, in maniera aggiornata al gusto narrativo e visivo dei nostri tempi, il calvario del prigioniero francese nelle esotiche prigioni della Guyana e le sue ormai mitiche fughe, traendo spunto sia dai libri autobiografici del vero Henri Charrière, che ha creato un caso letterario all’inizio degli anni ’70, sia dalla sceneggiatura della versione cinematografica portata sul grande schermo nel 1973 dal regista Franklin J. Schaffner (Patton, Il Pianeta delle Scimmie, I ragazzi venuti dal Brasile) con protagonisti Steve McQueen e Dustin Hoffman.

A 45 anni dall’uscita dell’originale, che all’epoca ha avuto grande successo soprattutto in Europa ed è considerato l’ultimo grande ruolo di McQueen prima della sua scomparsa, i coraggiosi che hanno accettato di interpretare i ruoli già indossati da due attori leggendari sono Charlie Hunnam e Rami Malek.

Charlie Hunnam mostra pettorali e tatuaggi

Il trentottenne britannico Hunnam, dopo il flop di King Arthur di Guy Ritchie, sembra voler scegliere la direzione di un certo cinema “old fashioned”, un po’ all’antica, senza clamore né troppi effetti speciali come la sua buona prova lo scorso anno col film Civiltà Perduta.

Il biondo protagonista ha la faccia tosta ed il fisico giusto per incarnare il ladro gentiluomo che sfida i propri carcerieri aguzzini senza temere di essere oscurato dal suo coprotagonista Rami Malek, ovvero Mr Robot in persona, la cui carriera è in ulteriore ascesa per l’imminente uscita dell’attesissimo biopic di Freddie Mercury intitolato Bohemian Rapsody.

Condannato ingiustamente per un omicidio che non ha commesso, lo scassinatore Henri, detto Papillon anche per via del vistoso tatuaggio a forma di farfalla che porta sul petto, viene deportato insieme a numerosi altri ergastolani verso le prigioni delle colonie sudamericane, tristemente note per le proibitive condizioni di prigionia.

il mito immortale di Steve McQueen sul set di Papillon

Durante il viaggio Papi fa conoscenza col ricco falsario Dega, un uomo fragile e schivo che viene preso di mira dagli altri detenuti a causa del denaro che si dice nasconda su di sé per corrompere le guardie.

Già nel prologo le due versioni cinematografiche presentano differenze sostanziali: l’originale iniziava con l’imbarco dei galeotti sulla nave, mentre il remake introduce un pizzico di glamour ed il lato romantico del protagonista, che viene incastrato per un crimine che non ha commesso.

Da questo punto della trama in poi, mentre il film del ’73 si prodigava in tempi dilatati e dialoghi descrittivi tra i tanti personaggi, il nuovo potrebbe essere reintitolato “una serie di crudeli eventi” perché tutti coloro che vediamo passare sullo schermo hanno in comune l’assenza di pietà tranne, beninteso, il protagonista ed il suo socio, compagno di sofferenze.

A prima vista la performance studiatissima e molto teatrale di Hoffman si mangiava quella più guascona di un, pur fascinosissimo, Steve McQueen mentre si nota subito che tra i due interpreti della nuova versione c’è più equilibrio.

Dustin Hoffman è Louis Dega

Forse è anche una questione di affiatamento tra gli attori, pare infatti che nonostante il professionismo che mantenevano sul set, non sempre i due interpreti originali andassero d’accordo, probabilmente non aiutavano nemmeno i modi ed i vezzi che che Hoffman adottava per il ruolo di Dega, che si dice fossero ispirati a quelli dello sceneggiatore Dalton Trumbo, uno le cui vicende personali e professionali sono state talmente controverse ed incredibili da meritarsi innumerevoli libri ed un film tutto loro, candidato al premio Oscar, con protagonista Bryan Cranston (L’Ultima Parola, la vera storia di Dalton Trumbo, 2015)

In entrambe le versioni però assistiamo a interpretazioni convincenti e credibili ed i nuovi protagonisti non sfigurano nel confronto diretto coi loro predecessori, se in alcuni punti Hunnam sembra voler fare un po’ troppo il McQueen, che invece era disinvolto di natura, Malek è già a suo agio coi personaggi sopra le righe ed il suo Dega è molto più presente sullo schermo di quello di Hoffman.

anche Rami Malek è Louis Dega

Le due pellicole, com’è comprensibile visto che appartengono ad epoche diverse, si esprimono con ritmi e linguaggi visivi caratteristici del loro tempo e quindi, anche se può sembrare un film d’avventura tradizionale, il nuovo Papillon ha scene più concentrate e veloci rispetto alla narrazione più dilatata dell’originale ed è anche più ricercatamente di ambientazione anni ’30.

Sembra che il regista danese Michael Noer, alla prima prova internazionale con un film ad alto budget, non abbia disdegnato l’inserimento di qualche elemento splatter in più, per mostrare meglio la crudeltà degli aguzzini, mentre nel vecchio si vede chiaramente che il sangue è vernice rossa.

La prigione della nuova versione è molto più spaventosa ed isolata, non vi è un villaggio adiacente, popolato e pittoresco, così come l’Isola del Diavolo sembra davvero un luogo da cui non si possa fuggire.

il set maltese della versione 2018

La differenza nelle suggestioni che il pubblico trae dagli ambienti è dovuta sicuramente alla scelta di location lontane dai luoghi del Papillon del 1973: anziché l’esotismo di Giamaica e Venezuela, la produzione ha preferito alcuni luoghi più claustrofobici nel vecchio continente, tra Serbia, Montenegro e Malta.

Nonostante le differenze stilistiche, però, tante scene del nuovo film sono proprio copiate pari pari dal classico ed alcuni dialoghi sono riproposti parola per parola: chiamiamoli se volete omaggi.

Aggiornato secondo il gusto contemporaneo è anche il rapporto di marcata interdipendenza tra i due protagonisti, quello che potremmo definire “bromance”: Henri non tradisce mai nemmeno col pensiero la lealtà verso il proprio socio, ma anzi sfida il direttore del carcere utilizzando il voto del silenzio.

i due affiatati protagonisti del remake

Un altro bel tocco che i produttori hanno saputo inserire al momento giusto è la proiezione del film King Kong del 1933, al posto del concerto di musica classica, come espediente per mettere in atto un piano di fuga; anche se nel vecchio film l’evasione era molto meno elaborata e tragica, forse una volta bastava dare una botta in testa alla guardia!

Se la trama dell’originale si perde un po’ in una serie di lungaggini romanzesche, che comprendono l’incontro con una tribù di selvaggi, il nuovo non risparmia i brividi di una drammatica traversata in barca che culmina in un naufragio forse un po’ esagerato.

Basta saper fare una giusta sintesi tra gli ingredienti delle due visioni ed ecco che si arriva al famoso finale, emozionante e liberatorio in entrambi i casi, ma nel remake si prosegue ancora un po’ con un epilogo che spiega e giustifica l’aspetto letterario di tutta vicenda, tratta dalle memorie dell’ex latitante; nel primo film vengono mostrate le immagini del vero penitenziario-lager ormai abbandonato, ma le considerazioni finali vengono affidate ad una voce fuori campo.

Sia che vogliate rispolverare un classico degli anni ’70, magari in formato in alta definizione, o che invece vogliate andare al cinema a verificare l’efficacia della nuova versione, Papillon è ideale come visione estiva, perché ha il sapore di quel cinema tradizionale d’avventura che sa emozionare con la forza della storia che racconta.

+ Non ci sono commenti

Aggiungi