Millennials e lavoro, un rapporto difficile


Quello tra millennials e lavoro è un rapporto difficile, perché tanti ragazzi e ragazze nati tra il 1980 e il 2000 si sono affacciati sul mercato professionale negli anni della crisi economica. Ma la Generazione Y sta dimostrando attitudini e modalità peculiari nell’approccio all’attività lavorativa: proviamo quindi a conoscerle più da vicino insieme alle condizioni in cui si trovano a lavorare oggi i millennials.Millennials e lavoro /1

Millennials e lavoro: quando la laurea non basta

Il recente rapporto Ocse Strategia nazionale per le competenze dell’Italia ha tracciato l’ennesimo quadro impietoso sul mercato del lavoro nel nostro Paese. «Solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato, rispetto a una media Ocse del 30%», riporta il Sole24Ore, e «gli italiani laureati hanno, in media, un più basso tasso di competenze».

Nel nostro Paese, dunque, i giovani studiano meno e peggio rispetto agli altri Stati. Pigrizia? Difficoltà di accesso all’Università? Sicuramente ciascuno di questi fattori ha la sua parte. Ma un dato più di ogni altro dovrebbe far riflettere.

«Si osservano numerosi casi in cui i lavoratori hanno competenze superiori rispetto a quelle richieste dalla loro mansione, cosa che riflette la bassa domanda di competenze in Italia. I lavoratori con competenze in eccesso (11,7%) e sovra-qualificati (18%) rappresentano una parte sostanziale della forza lavoro italiana. Inoltre, circa il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato ai propri studi».

È facile immaginare come questa statistica riguardi in particolare i lavoratori più giovani, mediamente più qualificati in quanto a titoli di studio. Diventa quindi più facile capire come mai in tanti abbandonano l’Università o non la cominciano neanche: di fronte a un mercato del lavoro che non richiede competenze, perché investire tempo ed energie per svilupparle?

Millennials e lavoro: unica certezza la precarità

Il fenomeno dello skills mismatch riguarda tutti i settori dell’economia italiana, tradizionalmente fondata su aziende a gestione familiare che spesso mancano di competenze al vertice quindi non ne ricercano alla base. Ma non è l’unico ostacolo sulla strada dei millennials.

Un’altra costante fin troppo nota a chi ha cominciato a lavorare nell’ultimo decennio è la precarietà. «Secondo un sondaggio realizzato dall’Eurispes», che ogni anno pubblica un approfondito rapporto socio-economico sull’Italia, «quasi la metà dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha un lavoro precario (48,7%)».

E non è tutto. «Un terzo di chi ha un’occupazione dichiara di essere pagato in modo irregolare, il 38,5% di avere una scarsa copertura previdenziale e assicurativa. Per il 64% degli intervistatiriporta ancora Todayè difficile arrivare alla fine del mese, tanto che tre su dieci sono costretti a chiedere aiuto alla famiglia. Il risultato è che oltre la metà, ovvero il 55,4%, andrebbe a vivere in un altro Paese».

La flessibilizzazione del lavoro messa in atto dal Governo Renzi con il Jobs Act ha raccolto il plauso dell’Ocse per i suoi effetti positivi a vantaggio delle imprese. Ma la stessa organizzazione mette in guardia sui rischi che la precarietà porta con sé per i lavoratori più giovani.

La pensione, in particolare, potrebbe trasformarsi in un miraggio per i millennials, soprattutto in un Paese come l’Italia in cui il sistema previdenziale stabilisce «un forte legame tra redditi percepiti e pensione ricevuta».

La disuguaglianza di stipendio che si ripercuote sulla pensione è un rischio è assolutamente concreto: dalla metà degli anni Ottanta a oggi, infatti, il reddito delle persone tra 60 e 64 anni è cresciuto del 25 per cento in più rispetto a quello dei 30-34enni, contro una media Ocse del 13%, che nei paesi anglosassoni arriva addirittura a capovolgersi a sfavore degli anziani.

Millennials e lavoro: alla ricerca di nuove strade

In questo scenario a dir poco scoraggiante, i millennials vengono spesso dipinti come scansafatiche. Dai “bamboccioni” di Padoa-Schioppa agli “sfigati” di Poletti, passando per i “choosy” di Elsa Fornero, le gaffe ministeriali su questo argomento restano tra le più famigerate di sempre.

Ma i dati dicono qualcosa di diverso. È vero, i giovani sono «poco coinvolti e sempre in cerca di nuovi stimoli», scrive Repubblica citando una ricerca canadese. «Solo il 29% di loro dice di essere coinvolto dal proprio impiego, il 60% cambierebbe lavoro in vista di nuove offerte e il 21% dei millennials lo ha già fatto negli ultimi anni».

Come vivere diversamente la propria situazione lavorativa, del resto, quando hai un contratto precario, sei sottopagato, le tue competenze non sono valorizzate o sei impiegato in un ambito diverso da quello per cui hai studiato?

Alla prova dei fatti, la Generazione Y sta dimostrando una grande capacità di adattamento, con buona pace di certe dichiarazioni ministeriali. Probabilmente si tratta di una reazione necessaria nel contesto attuale, se è vero che la quantità di ore lavorate in media da un milennial è stimata in 43 a settimana.

Ma la capacità di adattamento deriva anche dall’approccio diverso al lavoro da parte dei giovani, che non si limitano a subire la situazione ma provano a percorrere nuove strade. In Italia – scrive BitMAT riportando uno studio del Politecnico di Milano – ci sono 350mila smart workers, «lavoratori dipendenti liberi di scegliere le proprie modalità di lavoro in termini di luogo, orario e strumenti».

Una scelta particolarmente diffusa tra i più giovani, che porta maggior soddisfazione e organizzazione, spazio per sviluppare le digital soft skills e un incremento medio di produttività stimato nel 15%. Questo senza considerare i tanti che scelgono di lavorare in proprio, creando startup innovative o districandosi tra le insidie della partita IVA.

Come si vede, il rapporto tra millennials e lavoro non è semplice. Per gli ostacoli di natura economica, ma anche nel senso che non si può banalizzare l’approccio di una generazione intera al mondo del lavoro con un’analisi superficiale, o peggio con una battuta da bar.

Considerando il contesto generale e il fatto che i più giovani non hanno ancora compiuto 18 anni, è fisiologico che la Generazione Y sia ancora alla ricerca della propria strada. Una strada sicuramente difficile, probabilmente diversa rispetto a quella delle generazioni precedenti. Ma non necessariamente peggiore.

+ There are no comments

Aggiungi