Medicina difensiva


Secondo una definizione ormai datata (1994), ma ancora esplicativa, dell’ Office Technology Assessment, la Medicina Difensiva è «un atteggiamento dei medici caratterizzato dal prescrivere test, trattamenti o visite, o dall’evitare pazienti o trattamenti ad alto rischio, primariamente (ma non necessariamente in modo esclusivo) allo scopo di ridurre la propria esposizione al rischio di accuse di malasanità».

Si può distinguere una medicina difensiva attiva da una medicina difensiva passiva. La prima si verifica quando un medico prescrive un numero eccessivo di esami di laboratorio, radiologici o di altra natura, una serie di farmaci inutili o in eccesso, o ricorre a pratiche diagnostiche o terapeutiche invasive e non giustificate solo per tutelarsi sul piano medico-legale. La medicina difensiva passiva consiste, invece, nell’evitare qualsiasi procedura diagnostica o terapeutica utile al malato ma considerata rischiosa.

Per comprendere l’entità dell’impatto sociale, etico ed economico di questo fenomeno possiamo affidarci a uno studio realizzato, dall’Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Roma; lo studio, «coordinato e illustrato da Aldo Piperno, Ordinario di Sociologia dei Fenomeni Economici e del Lavoro presso l’Università Federico II di Napoli, si pone l’obiettivo di evidenziare e quantificare le dimensioni sul territorio nazionale della medicina difensiva [..]. Un fenomeno in crescita che ha una rilevante incidenza economica sulla sanità pubblica e sulla spesa privata, con presumibili ricadute negative anche sulle liste d’attesa».

La raccolta dei dati, realizzata tra il 2009 e il 2010, indaga, con un apposito sondaggio e criteri statistici, un campione probabilistico di 2.783 unità, stratificato per classe d’età e area geografica, rappresentativo di tutti i medici italiani (esclusi gli odontoiatri) fino a 70 anni di età, attivi in tutti i ruoli (ospedali, case di cura, medicina di base) nel settore pubblico e in quello privato.

Il fenomeno della medicina difensiva si distribuisce diversamente, in base all’età (più accentuato nei giovani medici), alla specializzazione (più accentuato in medicina interna, nefrologia, urologia, neurologia, neurochirurgia, ortopedia, ostetricia, ginecologia, medicina d’urgenza,cardiologia) e alla localizzazione geografica (accentuato tra i residenti nelle regioni del Sud e delle Isole).

Come commenta il Medico Legale Genovese: «gli effetti economici del fenomeno risultano amplificati dalla difficoltà nel reperimento di risorse da destinare alla sanità in questo particolare contesto politico-economico. Studi recenti dimostrano che la Medicina difensiva incide per il 10% sul totale della spesa sanitaria».

La tendenza dei medici ad avere un atteggiamento difensivo nell’esercizio della proprio professione deriva, probabilmente, dal crescente numero di azioni legali compiute nei loro confronti negli ultimi anni. La figura paternalista del medico è tramontata, e, con l’avvento di internet, il paziente ha un grado di informazione sulla propria patologia e sulle tecniche diagnostiche e terapeutiche ad essa connesse che gli permette di scegliere il medico o le strutture da cui farsi assistere. Anzi, si può dire che oggi il rapporto medico-paziente si sia trasformato da paternalista a contrattuale: le due parti discutono e insieme, “contrattano” l’iter diagnostico-teraputico che deve tener conto delle esigenze particolari del paziente.

Tuttavia se l’equilibrio tra il diritto del paziente a tutelarsi civilmente e penalmente rispetto agli errori del medico e la libertà d’azione del professionista risulta sbilanciato, allora il medico inizierà a vedere il paziente non solo come una persona da curare e capire, ma come un potenziale richiedente danni.

Uno scenario di questo tipo mette a dura prova la fiducia e la serenità che devono essere sempre alla base del rapporto medico-paziente. Per dirla con le parole del Guardian: «the cry is that doctors now have one eye on the law courts instead of both eyes on the patient».

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