Sound of metal e la sordità – Accettare qualcosa che non potrà mai più aggiustarsi


Nel titolo che ho scelto per questa analisi, ho pensato all’insegnamento principale di Sound of metal, film che tratta della sordità e della conseguente accettazione della disabilità. Anche per questo motivo, il film di Darius Marder – che ha firmato anche la sceneggiatura insieme a Derek Cianfrance, autore del soggetto – avrebbe meritato, a mio avviso, maggiore popolarità.

Certo, ha vinto due Oscar, ma solamente tecnici: quello per il sonoro e quello per il montaggio, a fronte di sei nomination, ma ritengo che non se ne sia parlato abbastanza.

In questa analisi, cercherò di evidenziare i momenti principali che rendono Sound of metal meritevole di una visione.

Come Sound of metal introduce il tema della sordità

La sequenza iniziale di Sound of metal vede il protagonista (un giovane batterista metal interpretato da Riz Ahmed) mentre suona sul palco di un concerto insieme con la sua compagna. Tra frastornanti rullate e colpi sui piatti squillanti, viene introdotto impetuosamente il tema portante della sonorità e dell’udito in generale.

L’esplosione iniziale di tamburi pervade le nostre orecchie, come a volerci ricordare il fragore di un suono dionisiaco; a questa dimensione, per così dire, esplosiva, parallelamente si affianca una più contenuta, privata e domestica: il camper, dove i due ragazzi conducono una vita da giovani innamorati, mentre preparano amorevolmente una colazione. Il contrasto è davvero affascinante: sta a definire la curva del suono, come essa costantemente si dipani e cresca d’intensità nel quotidiano, per ridursi improvvisamente in un rapido alternarsi tra il silenzio e il caos.

Riz Ahmed e Olivia Cook in una scena di Sound of metal

Riz Ahmed e Olivia Cook in una scena di Sound of metal (Credits: Caviar)

Una riflessione è sorta spontaneamente: ho pensato al grado di sopportazione al rumore che l’uomo, diversamente da qualsiasi altro animale, è in grado di sostenere. Non a caso tutti sanno che la natura prospera nel silenzio, mentre l’uomo accetta di vivere in uno scombussolante frastuono di suoni, come in un concerto dal vivo.

La musica metal come corredo, non come tematica

Confesso che avrei ritenuto, dal principio, forse perché un po’ fuorviato dal titolo, che il tema principale di questa Sound of metal fosse appunto la cultura metal, a me del tutto sconosciuta: in realtà, a ben vedere, il genere metal è solo una componente di corredo. La trama si concentra sulla sordità che colpisce il giovane protagonista, che poco dopo i primi minuti iniziali è costretto a prendere coscienza di aver subito una grave lesione ai timpani, con compromissione quasi assoluta del senso dell’udito.

In una sequenza veramente toccante, l’incapacità e il dolore della perdita del protagonista si scontrano, in una violenta discussione, con lo sconcerto e la paura della sua compagna. La quale – come se fosse stata svegliata da un sonno di libertà e adolescenza – scopre improvvisamente il dolore, adulto, lancinante, che separa le persone. E ne rimane travolta.

I due si separano e inizia per l’uomo un percorso di consapevolezza della propria sordità, con il sostegno di una comunità condotta da uno di quei preti laici affascinanti e, talvolta, imperturbabili, che utilizza metodi drastici di sopravvivenza.

Sound of metal tra sordità, abbandono e forza di volontà

Un passo nella comunità di recupero corrisponde a un taglio netto con la vita precedente, un salto nella dimensione più intima della persona; significa confrontarsi con ciò che rimane, giacché qualcosa dentro il protagonista, ormai, è divenuto irrecuperabile.

Sound of metal e sordità: una scena con Paul Raci, che interpreta Joe

Paul Raci, che in Sound of metal interpreta Joe (Credits: Caviar)

La verità castrante dell’abbandono si scontra con la volontà e l’istinto di conservazione del protagonista, che disperatamente aspira a una via d’uscita, a un ritorno alla normalità.

La condizione infelice dell’uomo introduce un altro tema fondamentale del film, che è la resistenza a un lutto. Un lutto che può corrispondere a una perdita di un senso o di un arto, oppure all’abbandono di una persona che amiamo; il dovere che sentiamo dentro di riparare il vuoto che questa mancanza ci provoca, l’alternanza tra la rabbia, l’odio, il dolore e la necessità di trovare, a qualunque costo, un rimedio per colmare l’assenza.

L’accettazione del lutto secondo Darius Marder

E su quest’ultimo punto il grande interrogativo del titolo che ho scelto per questa recensione: è possibile riparare a una perdita?

Divenire sordi d’improvviso – e soprattutto da giovani – è come perdere per sempre un arto, che viene mozzato. La protesi, per quanto apparentemente risolutiva, è soltanto una sostituzione. La solitudine che un tale vuoto di rumori e di conversazione provoca è l’unico percorso percorribile? Le altre persone, più simili, possono colmarla?

Riz Ahmed, che interpreta un batterista colpito da sordità in Sound of metal

sordità in Sound of metal (Credits: Caviar)

Immaginate dunque di avere un amico, o la persona che amate, che improvvisamente, senza una spiegazione, decida di sparire per sempre dalla vostra vita, di ignorare ogni vostra richiesta di contatto. C’è un parallelismo evidente tra questo tema e il modo in cui Sound of metal parla di sordità.

Così è per la storia d’amore tra i due giovani componenti della band metal: lei, travolta dal dolore e dalla paura, decide di tornare indietro verso il proprio nido di affetti, nella speranza di sentirsi meno sola e di alleviare la colpa dell’abbandono; lui tenta disperatamente di mantenere un contatto con la persona amata, ma nel farlo soffre, perché abbandonato, e non si accorge di ciò che è cambiato. Per sempre.

Entrambi incapaci persino di trovare un compromesso e di venirsi incontro, di accettare un futuro di cui nessuno di loro è l’artefice.

Il finale di Sound of metal

Solo verso il finale, in una presa di coscienza derivata dalla consapevolezza e dal duro lavoro su se stesso, l’uomo si accorgerà che il distacco, inevitabile e silenzioso, rappresenta l’unica via di uscita per la sopravvivenza di entrambi.

Grande merito deve essere riservato al regista, Darius Marder, al suo film d’esordio: non era facile conferire pathos ad una storia che, già dai primi minuti, è costretta a confrontarsi con il suo principale coupe de théâtre: la perdita dell’udito da parte del protagonista.

Grande contributo del montaggio, che cadenza con ritmi serrati e improvvisi tagli la narrazione, conferendole un ritmo intenso. Bellissimi i primi piani, specie del volto del personaggio di Paul Raci. Quel maieutico Joe che aiuta i suoi discepoli della comunità a ritrovare se stessi e a conoscersi.

Un film che merita molte riflessioni e che si fissa nella mente, anche a mesi di distanza.

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