Un libro per l’integrazione – Intervista a Carola Astuni


83762Incontro Carola Astuni, l’autrice del libro “Pistaaaa! Un amore che rotola” per un the. È la prima volta che la vedo di persona, dopo i messaggi che ci siamo scambiate in queste settimane e nonostante la percezione che ho avuto è quella di una persona molto gentile, non so bene cosa aspettarmi. Di lei, in fondo, conosco solo il suo curriculum, e tanto basta per farmi sentire davvero minuscola. Classe 1991, Carola vive a Genova, dove ha studiato scienze della formazione primaria e attualmente lavora per un’associazione che gestisce tre centri di accoglienza: uno a Coronata, uno al San Martino e uno in Via del Campo. Appassionata di teatro, letteratura e fotografia, impegnata nel sociale e nella politica locale, è sin da ragazzina innamorata dell’Africa, e in particolare del Rwanda, dove ha deciso di andare per tre estati durante l’università, per insegnare di mattina in una scuola e fare volontariato in un ospedale nel pomeriggio.

«Come è stata la tua esperienza di volontariato laggiù? Oltre all’insegnamento andavate in un ospedale a seguire i bambini.»

«Sì, esatto. E’ stata un’esperienza bellissima. Devi immaginare anzitutto che parliamo di un ospedale per persone povere. Quelle ricche possono andare a curarsi nella capitale, che è a 40 km dal mio paese e lì i bambini possono stare anche mesi in ospedale perché non hanno cure o perché i loro genitori sono malati e non hanno altro posto dove lasciarli se non portarli con sé». Non sembra accorgersi di quel mio, ma io me ne accorgo subito, è evidente che ormai senta quel luogo parte di sé e la luce negli occhi non fa che rimarcarlo.

Le sorrido. È difficile riuscire a non entusiasmarsi ai suoi racconti. Dietro alle storie di cui parla ci sono sicuramente situazioni difficili, ma lei non ci si sofferma. Non perché non siano importanti, tutt’altro, ma perché non è quello il punto. Parla di modi di vivere che sono sicuramente condizionati da avvenimenti terribili ma si sofferma sulle persone, perché il punto è che stiamo parlando di persone, con la cultura e il loro carattere personale.

«Come ti è venuta l’idea per il tuo libro: “Pistaaaa! Un amore che rotola?”»

«Per caso. Stavo svolgendo un tirocinio in una classe di prima elementare e avevamo già parlato, nelle settimane precedenti, della diversità. Volevo un’idea diversa dal solito perché, guardando in giro, trovavo solo libri che parlavano di differenze di colori. C’è il bianco, il giallo, il nero. Ero stufa dei colori. E comunque ne avevamo già parlato con una storia d’amore tra un ghepardo e una pantera. Questa volta volevo qualcosa di diverso. Avevo letto una bellissima storia di un Elefante che voleva fare il ballerino. E non so come mi è venuta in mente l’idea delle forme. Cercavo delle forme che fossero diverse ma, al tempo stesso, che potessero coesistere che, anzi, fossero essenziali l’una per l’altra. Da qui, il pensiero dei birilli e delle palle da bowling è stato inspiegabile e immediato.»

«Nella tua storia, infatti, troviamo Stecchino, un birillo di quelli “tosti” che non cadono mai, e Priscilla, una palla da bowling rosa confetto».

«Esatto. Sono andata dai bambini con i disegni di questi due personaggi. Sono uscite le storie più strampalate. Poi quando mi sono laureata, in attesa di trovare lavoro, ho ripreso in mano l’idea. E in una settimana la storia era fatta. Ho cercato su internet un paio di editori, a Edicolors è piaciuta molto l’idea e così: eccoci qua!».

«Stecchino si innamora subito di Priscilla, e anche lei dopo poco cede al suo fascino. Gli amici di lui però non sono molto contenti di questo. C’è un punto in cui dicono: “Non create baraonda: tu sei alto, lei è tonda!”. A cui Stecchino risponde “Cari amici, io v’imploro! – per risposta dico loro – siate allegri per quel che sento perché è forte il sentimento”».

«Per gli amici di Stecchino non è facile accettare che lui si sia innamorato di qualcuno che è così diverso da loro».

«Quanto c’è di autobiografico?»

«Moltissimo. Kassim, il mio fidanzato, è un insegnante del Rwanda. L’ho conosciuto quando sono stata laggiù la prima volta e quando ci siamo innamorati non è stato facile. Io me ne frego, come faccio dire a Stecchino alla fine “Siamo diversi, questo è vero, e ne vado proprio fiero!”. Sono orgogliosa di averlo al mio fianco perché è una persona meravigliosa. Mi sono innamorata di lui quando l’ho visto insegnare. E’ anche proprio per la mia esperienza personale che non volevo trattare della diversità parlando dei colori, sono stanca dei colori. 12349440_10153772328888151_1854776946_oQuando sono con Kassim mi dimentico di essere bianca o che lui è nero. Me ne accorgo, che so, quando li poggio la mano sulla guancia e allora penso “cavolo, sono davvero bianchissima”. Sono consapevole che non è una storia facile. Ma non per il colore della nostra pelle. La cosa che mi rende più triste, della nostra storia, è che non posso, ad esempio, andare a prendere un gelato con lui. Se abitasse in Europa sarebbe diverso, prenderei un aereo e potremmo raggiungerci ovunque e andare a prendere un gelato. Andare in Ruanda non è così semplice o, meglio, per noi andare lì può anche essere facile, basta informarsi su internet su come ottenere i visti. Per lui invece uscire è un caos. Se ci va bene ci vuole almeno un mese per ottenere un visto turistico, ma possono anche volerci mesi. Quest’anno siamo stati fortunati perché lui è riuscito a venire qui per la mia laurea, è stato un giorno bellissimo per me, sia per il giorno in sé sia perché ho potuto condividerlo con lui. La mia grande fortuna è avere il supporto incondizionato dei miei genitori. Quando mio padre ha visto per la prima volta Kassim in aeroporto gli ci sono voluti meno di cinque minuti per innamorarsi di lui. Ora si mandano addirittura messaggi su whatsapp commentando le partite».

Nei suoi occhi riesco a leggere milioni di sfumature differenti. Tristezza per la lontananza, e per tutte le difficoltà che Kassim deve incontrare per venire qui a trovarla ma anche per quelle che, purtroppo troppo spesso, incontra anche qui una volta arrivato. Amore, incondizionato, per una persona speciale che l’ha conquistata con piccoli gesti e frasi gentili. Consapevolezza, che un amore del genere si incontra una sola volta nella vita e che vale davvero la pena lottare per poterlo vivere fino in fondo.

«A proposito di cellulari. C’è un tuo post davvero molto tenero su facebook dove parli dei ragazzi del centro dove lavori. Scrivi del loro primo giorno di scuola, della sensazione di orgoglio materno che hai provato e dei consigli che hai dato loro: “salutate in italiano, spegnete i cellulari e fatevi nuovi amici”».

«Ancora non riesco a capacitarmi del fatto che la gente si stupisca che abbiano viaggiato su dei barconi ma che abbiano il cellulare. Prima di tutto bisogna capire che i cellulari laggiù non costano nulla. Un Iphone cinese lo puoi comprare con l’equivalente di venti dollari. Ma poi, voglio dire, se tu dovessi scappare da casa tua, la prima cosa che porteresti via non è il tuo cellulare? Nel nostro cellulare c’è tutta la nostra vita. Foto, contatti, mezzi per comunicare con le persone che amiamo”.

«C’è una frase che hai scritto tempo fa che mi ha colpita molto. “Come si può restare indifferenti ad un uomo, un padre, con la famiglia lontana, che si mette il “vestito buono” per sedersi fra i banchi, per imparare una lingua nuova e rendere fiera la sua bambina?” Che storie hanno i ragazzi che arrivano nei centri in cui lavori e cosa si aspettano di trovare?»

12348401_10153772333673151_1860894054_n «Tra le più disparate. Ci sono persone analfabete, ma poche, ma ci sono anche persone con una cultura elevata. C’è ad esempio un ragazzo che lavorava come ingegnere per l’Eni. Anche sulle aspettative c’è moltissima differenza. Ciò che ho notato è che la maggior parte sono molto umili, anche chi ha una cultura elevata, chi aveva un buon lavoro a casa ed è venuto qui perché vorrebbe una vita migliore, si rende conto delle difficoltà di adattamento perché non conosce la nostra lingua e la nostra cultura. E così si impegnano, studiano, cercano di integrarsi. Certo, ci sono anche ragazzi che prendono strade sbagliate pur di avere successo. Che iniziano a frequentare cattive compagnie e si perdono. Ma quelli ci sono ovunque».

«Quanto ti ha aiutato la tua esperienza in Ruanda nel lavoro che fai con loro?»

«Moltissimo. Devi capire che sono persone molto diffidenti. Gentili, disponibili, ma comunque diffidenti. Temono sempre che tu sia gentile con loro per qualche ragione. Quando poi scoprono che sono stata in Rwanda e che ho un fidanzato africano capiscono che il mio interessamento nei loro confronti è sincero, che non li giudico. E allora vedo che la loro espressione cambia. E iniziano finalmente ad accettarmi».

Guardo l’orologio, sono già le otto passate. Sono totalmente rapita da questa ragazza così giovane ma già così matura. Potrei passare ore a sentirla parlare, è magnetica. Riprendo in mano il suo libro, osservo i disegni, le rime, i messaggi così semplici da colpire dritto al cuore, come una palla da bowling rosa confetto, lanciata contro i birilli della diffidenza, della paura, dell’ignoranza, in una partita che non possiamo permetterci di perdere.

Insieme contro la discriminazione

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