I trentanove gatti di Paul Gallico


Io sono il Gatto.

 Io sono onorevole.

 Io ho orgoglio.

 Io ho dignità.

 E ho il ricordo.

 Poiché sono più vecchio di te.

Sono più vecchio delle tue Divinità:

 gli Dèi degli alberi,

gli Dèi delle pietre,

gli Dèi del lampo

e del tuono

e del sole

e il tuo Dio dell’amore.

 Anch’io so amare

 ma solo con metà del cuore

 e questa io ti offro.

Accetta quanto posso darti

poiché se ti dessi tutto

 non riuscirei a sopportare

 il tuo inevitabile tradimento.

Rimaniamo

onorevoli amici.

 

Paul Gallico ci delizia con questa poesia dedicata al felino per eccellenza, di cui ha allevato trentanove esemplari: il gatto.

Straordinario è lo scontro di sensazioni suscitate nello scrittore dall’animale:  egli si dichiara completamente succube, dipendente, innamorato del gatto, è consapevole della schiavitù morale sotto la quale è mantenuto dal suo compagno, anzi, dalla sua compagna Kitty.  Nella sua opera (una delle innumerevoli dedicate al felino) “Il mio boss: il gatto” Gallico scrive “I gatti sono, ovviamente, dei poco di buono. Sono imbroglioni e accattoni, bari e adulatori spudorati. Hanno un’infinità di programmi, piani e contropiani, stratagemmi e trucchi, proprio come i truffatori. Sanno capire la tua personalità meglio di uno psichiatra da cinquanta dollari l’ora e quanta benzina gettare sul fuoco per riuscire a piegarvi. Sono nettamente più intelligenti di me, e questa è una delle ragioni per cui li amo. […]I gatti rappresentano, inoltre, una buona preparazione al matrimonio, dato che vi insegnano a stare al vostro posto. La prima cosa che fa Kitty, infatti, è organizzare casa vostra in maniera adeguata. Alle sue esigenze, naturalmente. Mangia quando vuole, esce a suo piacimento, rientrando se e quando decide di farlo.
Richiede la vostra attenzione quando la ritiene opportuna e vi fa capire chiaramente che vuole essere lasciata in pace quando ha altro per la testa. É gelosa: vi impedirà di accarezzare altre rappresentanti del suo sesso, bipedi o quadrupedi che siano, e di dimostrare loro le vostre premure.
Si altera se tornate tardi la sera o se vi assentate per ragioni di lavoro.
Ma quando lei decide di stare fuori due notti di fila, non è affar vostro sapere dove sia stata o che cosa abbia combinato. O vi fidate di lei o non vi fidate.[…] Non avevamo messo piede nell’appartamento nemmeno da dieci minuti che Limpy aveva già catturato un topo o, più probabilmente l’unico topo, e lo aveva già deposto ai nostri piedi. Per lei un topo morto era un bel colpo, una pacchia, una gran festa. Eppure, lo aveva regalato a noi. Come considerare tale atto, un modo per ripagarvi dell’ospitalità, una forma di ringraziamento o un gesto che significa «Ecco qui, guarda: è la cosa più importante che so fare. Prendila, perché tu mi piaci» ? Potete insegnare a un cane a recuperare la selvaggina, ma solo un gatto vi porterà spontaneamente la sua preda, offrendovela in dono. Ma com’è che Kitty non si comporta da predatrice qual è e sembra invece un essere umano bene educato? Non so proprio rispondere a tale domanda. Il punto è, tuttavia, che lo fa e vi rende per sempre suoi schiavi. Dopo che vi avrà fatto omaggio di un topo, non sarete più gli stessi: avrà il potere di trattarvi come uno zerbino. E, sicuramente, lo farà.

Quanti di voi posseggano un gatto o anche più, si riconosceranno in tali parole perché è un dato di fatto: decidendo di convivere con questa straordinaria creatura, firmerete automaticamente un patto invisibile in cui perderete completamente la vostra indipendenza e autonomia, diventerete lunatici e apprensivi, imparerete a parlare in un linguaggio incomprensibile e con voce camuffata, quasi voleste nascondere la vostra subordinazione trattando il gatto come un essere cerebralmente inferiore e sprovveduto. Mentirete a voi stessi, ma sarà una bugia meravigliosa in cui imparerete che “Gli occhi di un gatto sono finestre che ci permettono di vedere dentro un altro mondo.”

 

Dal canto mio non mi resta che citare Barbara Holland:

 

Uno scrittore senza un gatto è inconcepibile. Certo è una scelta perversa, poiché sarebbe più semplice scrivere con un bufalo nella stanza piuttosto che con un gatto. Si accucciano tra i vostri appunti, mordicchiano le penne e camminano sui tasti della macchina da scrivere”. E la mia Mietta, che è qui sulle mie ginocchia, può confermare ogni singola parola di ciò che è stato detto.

2 Comments

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  1. Marina Alberghini

    Io ho scritto quasi 40 libri sul gatto nella Cultura ed ho ancora tutto da imparare su questa meravigliosa creatura che certamente non è di questa terra!

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