Aspettando gli Oscar – Vice L’Uomo nell’Ombra


Un film di Adam McKay, con Christian Bale, Amy Adams, Steve Carrell, Sam Rockwell, Tyler Perry, Jesse Plemons.

«Mentre il mondo diventa sempre più complicato, tendiamo a focalizzarci sulle cose che sono proprio lì davanti a noi, ignorando le immense forze che cambiano e ridefiniscono le nostre vite.»

L’ambiguità in cui versa tutto il contesto di questo film e del suo protagonista è espressa fin dal titolo Vice: dovrebbe significare vicepresidente, perché è il ruolo che Dick Cheney ha ricoperto nell’amministrazione di George W. Bush, ma in realtà sta per “vizio”, ovvero moralmente sbagliato.

E questa definizione bifronte da sola ci basterebbe per spiegare l’intera storia.

Il camaleontico Christian Bale ci ha ormai abituato a repentini stravolgimenti del suo fisico per esigenze di ruolo, passando dall’essere possente e muscoloso per film come American Psycho o la trilogia de Il Cavaliere Oscuro, a magrissimo per L’Uomo Senza Sonno, poi panciuto in American Hustle e adesso gonfio ed irriconoscibile per interpretare il più macchiavellico dei vicepresidenti americani.

Christian Bale e Amy Adams sono Dick Cheney e sua moglie Lynne

Christian Bale e Amy Adams sono Dick Cheney e sua moglie Lynne

A metà strada tra House of Cards ma basato su una storia vera, con una coppia protagonista che sembra uscita da Macbeth, tanto che in una scena di fantasia si mette a parlare alla maniera dei personaggi di Shakespeare, e il pesante make up come quello che ha portato fortuna lo scorso anno al Churchill di Gary Oldman nel biopic L’Ora Più Buia, facendolo vincere l’Oscar come miglior attore protagonista.

Lo stesso premio per cui Bale, imbottito e trasformatissimo, ha già conquistato la nomination con questa interpretazione e per alcuni ha già la vittoria in tasca.

Vice non risparmia un giudizio feroce sul suo protagonista e lo fa mostrandoci solo i fatti: già dalla prima scena, quel fatidico 11 settembre 2001 che ha cambiato gli equilibri del mondo, vediamo Dick Cheney approfittare della situazione di massima emergenza per impartire ordini al posto del presidente.

Nell’incertezza generale il vicepresidente ha visto un’opportunità, quella di assumere il potere in maniera occulta ed imporre la propria linea senza che l’America lo capisse, anzi oggi tanti nemmeno conoscono il suo nome.

Cheney alle prime armi entra già nella Casa Bianca di Nixon

Cheney alle prime armi entra già nella Casa Bianca di Nixon

Il film ha bisogno di gettare le basi della storia e allora ricorre ad un classico flashback sugli anni della giovinezza scapestrata del protagonista, riportato sulla via maestra dalla forza della fidanzata e poi moglie Lynne (Amy Adams), che lo sprona a diventare qualcuno.

Le tappe della formazione politica sono trattate un po’ sbrigativamente, dapprima come lacchè di Donald Rumsfeld (Steve Carrell) al servizio di Nixon poi, dopo le sue dimissioni, come capo dello staff del presidente Ford.

Sappiamo che questa prima ora funge soltanto da antipasto a ciò che succede dal 2000 in poi ed il film non fa niente per dimostrare il contrario, ci fa capire l’intraprendenza strisciante e la silenziosa spregiudicatezza di un uomo senza ideali né carisma, taciturno e cardiopatico, che ha conquistato il seggio al congresso grazie alla moglie che ha fatto campagna elettorale per lui, per poi abbandonare l’ambizione di stare in prima fila dopo la scoperta dell’omosessualità della figlia minore, vissuta come una debolezza a livello elettorale.

C’è addirittura uno spassosissimo finto finale, con tanto di didascalie e titoli di coda, che mostra l’happy ending che avrebbero avuto i Cheney se avessero scelto di proteggere la loro famiglia abbandonando la rincorsa al potere, ma questo viene interrotto dalla telefonata di Bush Jr che offre a Dick il ticket come suo vicepresidente.

George W. Bush nel ritratto essenziale di Sam Rockwell

George W. Bush nel ritratto essenziale di Sam Rockwell

George W., nella credibile interpretazione di Sam Rockwell, viene da subito dipinto come un cretino, un uomo dalla volontà debole che abbocca all’amo dell’astuto vice all’istante e diventa il suo burattino.

Nell’accettare la candidatura Cheney intuisce che può prendere una carica vuota come quella di vicepresidente degli Stati Uniti, uno che fondamentalmente può esercitare il potere solo se il suo principale muore o si dimette, e farne ciò che vuole grazie alle informazioni di prima mano a cui può attingere e alla possibilità di piazzare i propri uomini in ruoli chiave.

In Vice riviviamo anche l’anomalo esito delle elezioni presidenziali del 2000, in cui la vittoria di Bush ai danni di Gore fu decisa per un pugno di voti dalla corte suprema, con la manina di un giudice repubblicano.

La manipolazione della realtà percepita messa in atto dal potente vice passa anche attraverso il canale televisivo di destra Fox News e le abili strategie comunicative con cui ha saputo dirottare l’attenzione dell’opinione pubblica dal surriscaldamento globale, chiamandolo più sobriamente “cambiamento climatico”, alla tassa di successione per i super ricchi fatta passare come ingiusta per tutti col nomignolo di “tassa sulla morte”.

Vicepresidente e Presidente, o vice-versa?

Vicepresidente e Presidente, o vice-versa?

Ma la sua strategia occulta non passava soltanto dalla comunicazione, ma soprattutto dall’interpretazione giuridica, trovando modi sempre più scaltri per poter aggirare le leggi, favorire multinazionali negli affari di Stato o rendere praticabili alcune forme di tortura di prigionieri politici.

Dato che Cheney era stato per anni amministratore delegato del colosso petrolifero Halliburton, egli era a conoscenza di quanto avrebbe potuto far loro fruttare l’accesso ai preziosi pozzi di oro nero dell’Iraq se avesse trovato il modo di far cadere il dittatore Saddam Hussein, così l’attacco di Al Quaeda alle Torri Gemelle è vissuto dai più lucidi consiglieri del presidente come un ottimo pretesto per muovere guerra in Medio Oriente.

Questa sequenza è rappresentata in modo spassoso da un mtre che illustra ai falchi repubblicani la tortura, il waterboarding e Guantanamo come fossero le succulente pietanze del menù di un ristorante.

Da che pulpito..

Da che pulpito..

La mossa di dirottare l’attenzione di tutti, pubblico e politici anche democratici a far la guerra all’Iraq, che non c’entrava palesemente nulla con le Twin Towers, grazie alla balla delle “armi di distruzione di massa” è stata il capolavoro di Cheney e del suo staff.

La voce fuori campo che narra i passaggi del film ci spiega in poche parole come tale ingerenza in Medio Oriente, per soli fini di lucro, abbia condizionato la nascita dell’Isis e delle cellule di terrorismo che hanno seminato morte in Occidente con tanti attentati negli anni successivi.

Vice è una pellicola spietata ma ha anche alcuni aspetti divertenti, come il mistero sul ruolo del narratore e il suo legame con Dick Cheney, che capirete solo verso il finale.

Il ritmo veloce e lo stile immediato della regia di Adam McKay, con moltissime brevi scene inserite l’una dentro l’altra come un flusso di coscienza, permettono di stemperare la pesantezza che potrebbe gravare su di una tale biografia.

Il regista, che ha maturato il proprio tocco graffiante in anni di Saturday Night Live, dopo molte commedie demenziali in cui ha diretto gli amici Will Ferrell e Steve Carrell, ha abbandonato la comicità e si è dedicato a tematiche più impegnate grazie alla sua vocazione liberal di voler smascherare gli inganni del potere, come ha fatto con l’esplosivo La Grande Scommessa, sulle cause della Crisi economica mondiale del 2008, e che gli è valso numerose candidature agli Oscar.

Questa seconda pellicola di denuncia, trascinata dall’interpretazione e dalla trasformazione di Christian Bale, ha già collezionato la vittoria del Golden Globe come miglior attore e le nomination agli Oscar come miglior protagonista maschile, miglior attrice per Amy Adams, migliore attore non protagonista per Rockwell, regia, sceneggiatura originale e anche come miglior film.

Più che sulla cattiveria, Vice è uno studio sul potere e sull’ambizione umana e rappresenta un durissimo atto di accusa alla politica americana per la guerra in Iraq e per come è stata condotta la lotta al terrorismo.

Nei suoi anni di potere occulto e lontano dalla ribalta, Dick Cheney ha contribuito a gettare le basi per l’attuale crisi della politica, contribuendo a creare le fake news ma la cosa peggiore è stata quella di essere convinto nel profondo di aver sempre fatto la cosa giusta e aver difeso e servito il proprio paese.

C’è da avere paura di simili individui, nuovi populisti che nascondono i propri interessi spregiudicati dietro le ragioni di stato e riescono a farla franca.

Il film ovviamente fa riferimenti nemmeno troppo velati alla situazione attuale negli Stati Uniti, ma può dire qualcosina anche a noi perché, se il presidente in carica non è altro che un fantoccio, può darsi che a tirare le fila del potere possa esserci un vice senza scrupoli.

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