X – Men: Secondo avvento – Orgoglio e pregiudizio


downloadSe siete di quelli che seguono la filosofia di Umberto Eco (vecchia, perché in realtà da qualche anno pare aver corretto un po’ il tiro), secondo cui i fumetti si dividono in pochi di alta qualità per forme, linguaggio e contenuti, e molti di cultura bassa, allora questo articolo non fa per voi. Perché la saga di cui si parla qui non passerà mai alla storia per importanza dei fatti narrati, per stile raffinato dell’autore o per i mirabolanti disegni. Non è Watchmen, per dire, o Il ritorno del cavaliere oscuro, Superman: Red Son o V per Vendetta. O anche, restando alla Casa delle Idee, la pluripremiata Marvels o quella Civil war così tanto di successo tra i lettori e incensata dalla critica.

 

X – Men: Secondo avvento è una serie che parla innanzitutto di senso di appartenenza. Sì quella cosa lì, che è ancora particolarmente destabilizzante dalle nostre parti per ovvi (e grossolani) richiami con il fascismo, quando quest’ultimo ne è solo degenerazione estremizzata e non ragionata. La situazione, in breve: i mutanti, da sempre nel mondo Marvel fatti oggetto di discriminazione e tentate pulizie etniche, nel ciclo di Utopia si sono rifugiati su un’isola al largo di San Francisco che hanno eletto a terra libera e domicilio sicuro per tutti coloro che portano un gene X, sfidando l’autorità di Norman Osborn, momentaneamente a capo delle forze armate statunitensi. Le minacce, nonostante abbiano trovato finalmente un luogo lontano dall’odio della gente comune, sono ben lungi dall’essere finite. Infatti, tutti coloro che in quarant’anni (la parabola mutante è cominciata davvero nel 1975 con Giant-Size X-Men, dopo che il primo tentativo era stato insoddisfacente) hanno provato a sterminare la genia mutante uniscono forze e risorse per colpire duramente e definitivamente i tanto detestati avversari: Steven Lang, Bolivar Trask, William Stryker, Graydon Creed e Cameron Hodge, capeggiati dall’androide Bastion, approfittano della vulnerabilità dei mutanti e del loro essere concentrati in un unico luogo per dare inizio a quella che, come si diceva, è una vera e propria pulizia etnica.

 

download (1)In tutto questo, le figure centrali sono due, e portano entrambe lo stesso cognome, Summers. La prima, chiaramente, è Scott, lìder maximo della comunità insediata ad Utopia, alle cui direttive stanno anche Wolverine e Namor, non esattamente due a cui dare ordini è immediato. La seconda, forse la più importante, è Hope, quella che viene chiamata la Messia mutante, la prima nata con il gene X dopo l’M – day, quando nella leggendaria saga House of M una Wanda Maximoff preda di una follia incontrollabile con tre semplici parole (“No more mutants”) lUTasciò solo duecento figli dell’atomo sulla faccia della Terra, togliendo le capacità extraumane a tutti gli altri. Venuta alla luce in Alaska, immediatamente braccata alla nascita per la sua genia sia dall’organizzazione paramilitare razzista nota come i Purificatori che dal mutante Alfiere proveniente dal futuro, Hope viene tratta in salvo da Cable, che all’anagrafe è Nathan Summers, il figlio proprio di Scott e di un clone di Jean Grey. Hope fugge con lui nel futuro, e lui la addestra a combattere per far fronte a chi la perseguiterà. E proprio l’intempestivo ritorno di Cable nel presente e il contemporaneo attacco alla civiltà mutante si intersecano per dare vita a una storyline di rara bellezza.

 

A coronare il tutto, alcune delle specialità della casa (delle Idee). I contrasti interni tra gli eroi, con Bestia che disconosce l’operato di Ciclope dopo che è venuta alla luce l’esistenza di X – Force, la squadra d’assalto segreta messa insieme dallo stesso leader mutante. Il rapporto conflittuale tra Hope e quest’ultimo, il quale nella battaglia decisiva la mette in panchina perché troppo importante, prima che convinca Rogue, che ha il compito di salvaguardarla, che è giusto che lei scenda in campo. Il dramma della stessa Hope, presentata come la Messia mutante che deve fare i conti con aspettative e speranze più grandi della sua giovane età. La redenzione di Magneto, inizialmente guardato storto dagli altri, vecchio e stanco in infermeria, eppure capace, nel momento decisivo, di infliggere un colpo letale agli avversari. Il consueto umorismo Marvel, con la citazione in chiave ironico – umoristica del Rorscach di Watchmen, e il Namor che, alla fine del conflitto, prova a giocare a pallacanestro ma lancia la palla troppo forte, sfonda il tabellone e la fa finire in mare. La ovvia morte di uno dei personaggi più amati, la cui resurrezione in futuro sarà molto… pittoresca. E infine la risoluzione del problema, con la ciliegina sulla torta di una nuova attivazione globale del gene X.

 

Tutto questo è X – Men: Secondo avvento, che presenta i disegni morbidi e suggestivi di Terry Dodson, quelli immaginifici di Esad Ribic e quelli realistici di Greg Land. Scrivono Matt Fraction e Mike Carey in prima battuta, ma danno il loro contributo anche Craig Kyle, Chris Yost e Zeb Wells, tutti addentro alle faccende mutanti. La saga colpisce per intensità: degli eventi, del ritmo, della narrazione, e per l’uppercut che gli eroi riescono a infliggere ai loro avversari dopo che questi li avevano messi pesantemente in difficoltà. Una storyline che tiene col fiato sospeso, in cui sappiamo in cuor nostro che i buoni ce la faranno perché ce la fanno sempre, ma a cui a un’analisi fredda e lucida non daremmo alcuna chance di sopravvivenza (altra parola chiave del racconto), fino all’inevitabile punto di svolta a loro favore. Non è un racconto che resterà nella storia del fumetto, ma resta nel cuore del lettore. E in fondo questo è l’importante, e su questo si fonda il greater good della Marvel.

 

 

 

 

 

 

 

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