Aspettando il film… Lo Hobbit a fumetti!


«In un buco del terreno viveva uno Hobbit». Da questa frase è cominciato tutto. La Terra di Mezzo, Il Silmarillion, Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli: in pratica l’intera saga di John Ronald Reuel Tolkien ambientata nel mondo di Arda. Una frase semplice quanto evocativa, diventata poi con un leggero aggiustamento l’incipit dello Hobbit.

Dopo 75 anni dalla sua pubblicazione, l’opera che nel 1937 inaugurò il ciclo fantasy tolkeniano è diventata un film diretto dall’ormai collaudato Peter Jackson. A meno di una settimana dall’uscita nelle sale di tutto il pianeta, perché non recuperare l’adattamento a fumetti del libro per prepararsi a una delle pellicole più attese dell’anno?

Ma torniamo un momento dove tutto è cominciato, cioè al romanzo. Lo Hobbit, pur contenendo richiami comprensibili a fondo solo conoscendo le restanti opere tolkeniane, è sostanzialmente un racconto fiabesco destinato a un pubblico infantile. Ed è subito evidente che l’adattamento a fumetti non solo riproduce, ma enfatizza questa caratteristica. Nella rappresentazione grafica di David Wenzel, infatti, Gandalf sembra più un mago delle favole che un saggio stregone. Il protagonista del racconto – lo hobbit Bilbo Baggins – è un paffuto signore di mezza età, mentre i nani che lo accompagnano sfoggiano cappucci e vestiti coloratissimi.

Fin qui niente di nuovo: chi ha letto il libro sa perfettamente che i personaggi citati sono descritti esattamente in questi termini anche in quelle pagine. Eppure, una caratterizzazione così fedele al libro segna una profonda differenza tra il fumetto e il film in uscita la prossima settimana, che già dal trailer evidenzia il tentativo di conferire maggior dignità ai personaggi attraverso una rappresentazione meno fiabesca. La scelta di Peter Jackson, coerente con quanto visto nel Signore degli Anelli, non sembra però voler disperdere quello straordinario patrimonio di ironia che attraversa il libro e ancor di più il fumetto, dove le immagini accrescono il senso di divertita complicità del lettore con le disavventure – e conseguenti lamentele – di Bilbo Baggins.

Sempre per ciò che riguarda la fedeltà del fumetto al libro, da sottolineare anche il pregevole tentativo dei responsabili dell’adattamento dei testi, Sean Deming e Chuck Dixon (da ricordare la sua run su Batman negli anni ’90), di non rivoluzionare il testo tolkeniano, adattandolo dove necessario ma lasciando inalterati interi brani. Grazie a questo pregevole modus operandi viene mantenuta una linea narrativa pressocché identica a quella del romanzo, con l’unica controindicazione di appesantire molto la lettura del fumetto, che per propria natura è abitualmente più scorrevole. Lunghe didascalie e balloon straripanti di testo sono le naturali conseguenze di un difetto comune a molti adattamenti fumettistici di testi letterari, spesso riprodotti senza tener conto delle diverse modalità comunicative dei due media.

Uscita negli Stati Uniti in tre volumi targati Eclipse Comic nel 1989, l’opera è stata pubblicata in Italia da Rusconi nel 1997, per poi passare a Bompiani a partire dal 2000. Lo Hobbit a fumetti è senz’altro l’adattamento a vignette più celebre e riuscito tra quelli dei romanzi di Tolkien, probabilmente perché l’unico attuabile in maniera compiuta. Il romanzo, infatti, non ha una trama intricata e complessa come quella del Signore degli Anelli, ma si svolge seguendo il classico schema della quest, la ricerca di un tesoro o di un obiettivo ignoto ma altrettanto fondamentale. Dalla sua avventura, ad esempio, più che la ricchezza materiale Bilbo otterrà un bagaglio di esperienze indispensabili per la sua crescita personale.

Oltre che una fiaba e un romanzo di formazione in salsa fantasy, però, Lo Hobbit è soprattutto una porta per l’universo tolkeniano. Non sfavillante come Il Signore degli Anelli, eppure più immediata e accessibile. Allo Hobbit va il merito, infatti, di introdurre il lettore alle affascinanti vicende della Terra di Mezzo con una leggerezza unica e irripetibile, che l’adattamento a fumetti ha il pregio di conservare fedelmente.

Lo Hobbit a fumetti, anzi, facilita ulteriormente l’ingresso ad Arda, rivolgendosi a un pubblico ancora più giovane rispetto al libro (il disegnatore dell’opera, non a caso, è un illustratore di libri per bambini). Ma un adattamento resta un adattamento: il consiglio è di leggere il libro, prima del film ma anche del fumetto. Che pure assolve più che dignitosamente la sua funzione, scegliendo la linea della fedeltà all’opera in sé piuttosto che la coerenza con il suo inserimento nel ciclo fantasy tolkeniano.

Una scelta forse non originale ma vincente, che produce sostanzialmente una trasposizione del libro in immagini più che un fumetto tratto dal romanzo. Lasciando inalterate le emozioni che quest’ultimo – come speriamo saprà fare il film – era ed è in grado di suscitare nel lettore: «In te c’è più di quanto tu non sappia, figlio dell’Occidente cortese. Coraggio e saggezza, in giusta misura mischiati. Se un maggior numero di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra dei tesori d’oro, questo sarebbe un mondo più lieto. Ma triste o lieto, ora debbo lasciarlo. Addio!».

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