Ma anche voi vi eravate scordati dell’esistenza di La solita commedia – Inferno?


Perché parlare di La solita commedia – Inferno dopo così tanto tempo dalla sua uscita? Beh, la ragione è semplice: perché il 2021 è l’anno di Dante Alighieri.

In realtà le celebrazioni in onore del Sommo Poeta sono cominciate già da un po’, e andranno avanti fino al giorno del 700esimo anniversario della sua scomparsa: Dante è infatti morto a Ravenna, in esilio, nella notte fra il 13 e il 14 settembre del 1321.

Anche qui su Discorsivo abbiamo deciso di onorarne la memoria, a modo nostro. Ieri sera abbiamo fatto una live sul nostro canale Twitch tutta dedicata all’Alighieri, dopodiché è uscito questo articolo e dopodomani ne uscirà uno di Eleonora Cecchini sul personaggio di Dante “visto” dallo storico Alessandro Barbero e dallo scrittore Luigi Garlando.

Ad ogni modo, tornando a noi, parliamo di La solita commedia – Inferno. Quello di Biggio e Mandelli è un film fondamentale da vedere, perché permette di leggere la Divina Commedia con occhi diversi: gli occhi di una persona che trova tra le sue terzine migliaia e migliaia di anime dilaniate da bestie fameliche, confinate in tombe avvolte dalle fiamme, immerse nel fango, nel ghiaccio o nel sangue bollente, e realizza che tutto sommato sono più fortunate di chi ha visto questo film.

La solita commedia – Inferno: storia di un flop inatteso

Sono sicuro che neanche vi ricordavate dell’esistenza di La solita commedia – Inferno. Uscito nel 2015, è il terzo film con protagonisti Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli dopo i due dedicati a I soliti idioti. Questa volta dietro la macchina da presa non c’è Enrico Lando (co-autore solo del soggetto) ma gli stessi Biggio e Mandelli, insieme a Martino Ferro.

All’uscita è stato un flop micidiale: 800mila euro di incasso a fronte di tre milioni spesi per la realizzazione.

Una vera sorpresa, visto che I soliti idioti e I 2 soliti idioti, usciti tra il 2011 e il 2012, erano andati molto bene, portando a casa poco più di 19 milioni di euro complessivi.

Francesco Mandelli nei panni di Armando Scabbia, covatore di rabbia

Francesco Mandelli nei panni di Armando Scabbia, covatore di rabbia, portatore di uno dei “nuovi peccati” secondo il film. Nuovissimo proprio (Credits: Wildside)

La ragione di un tonfo così pesante? Difficile a dirsi.

Forse il pubblico si è stancato della comicità del duo, basata su volgarità gratuite e tormentoni poco creativi. Oppure avrebbe preferito sentire volgarità gratuite e tormentoni poco creativi in bocca agli stessi personaggi dei film precedenti (come Gianluca e Ruggero De Ceglie) piuttosto che a qualcuno di nuovo.

È più probabile la seconda.

Di che parla La solita commedia – Inferno

Il soggetto di La solita commedia – Inferno non è neanche malaccio. Tutt’altro.

L’era contemporanea ha portato alla nascita di nuovi tipi di peccatori, e l’Inferno è nel caos. Così Dio decide di rispedire Dante Aligheri sulla Terra per 24 ore. La sua missione: osservare e catalogare i nuovi peccati per riorganizzare l’Oltretomba di conseguenza. Con lui ci sarà Virgilio, un tizio qualunque, omonimo del grande poeta che guidò Dante negli inferi.

Virgilio (Fabrizio Biggio) e Dante (Francesco Mandelli) in una scena di La solita commedia - Inferno

Virgilio scappa da Dante al loro primo incontro in La solita commedia – Inferno (Credits: Wildside)

In mano a gente come Roberto Benigni e Vincenzo Cerami, poteva venire fuori un gran film. Penso a loro perché le primissime interazioni tra Dante e Virgilio ricordano alla lontana quelle di Il piccolo diavolo, commedia del 1988 con lo stesso Benigni e un magistrale Walter Matthau. E sarebbe stato utile anche poter contare su un cast simile, con un duo carismatico, divertente e ben assortito.

La coppia Biggio e Mandelli, invece, è decisamente troppo anonima per lasciare il segno. Non è del tutto un problema di interpretazione, però: incide di più il fatto che La solita commedia – Inferno cucia insieme un’infinità di scenette mosce e senza senso e qualche sporadica interazione tra Dante e Virgilio, di cui a stento ci si ricorda, in maniera casuale e senza una vera direzione. La colpa, insomma, è più imputabile alla sceneggiatura.

Peccato che anche questa sia degli stessi Biggio e Mandelli, oltre che di Martino Ferro.

I (numerosi) problemi del film di Biggio e Mandelli

La prima (e quasi unica) scena di La solita commedia – Inferno in cui Dante e Virgilio si dedicano davvero alla loro missione arriva dopo cinquanta minuti di film. Cinquanta.

Un’infinità, preceduta e seguita da tantissime scene scollegate tra loro che vorrebbero rappresentare nuovi peccati e nuovi peccatori ma che falliscono sia dal punto di vista della critica sociale che nello strappare una risata.

Nessun peccato è veramente un peccato nuovo, tanto per cominciare. O davvero un peccato.

Sul serio l’hacker è tanto diverso da un ladro? Lasciarsi andare a un attacco di rabbia è un peccato nuovo? O sfogarsi con un conoscente dopo essere diventati vedovi è realmente un peccato, in generale?

L'incredibilmente originale doppio senso "Da noi CHIAVI a metà prezzo" sul furgoncino di Virgilio

Un doppio senso incredibilmente fresco ed esilarante (Credits: Wildside)

Stesso discorso per i cosiddetti nuovi gironi infernali: con l’eccezione del condominio e parzialmente della pubblicità invasiva, sono praticamente tutti uguali. Dal bar delle 8 del mattino alla movida, passando per il traffico all’ora di punta, praticamente la gag è sempre la stessa.

Vero che anche la Divina Commedia descrive gironi pieni zeppi di anime dannate in cui cambiano solo la tipologia di peccato e il contrappasso, ma l’opera di Dante Alighieri non è un film comico. E nemmeno un film. La ripetitività in un film comico può essere molto divertente, se c’è un criterio.

Non è questo il caso.

Le cose più assurde di La solita commedia – Inferno

Personalmente adoro il nonsense e le assurdità nei film. A patto di intuire almeno lontanamente quale sia il loro scopo.

Vedere santi che usano il turpiloquio e cantano Portaci in Europa come se fossero allo stadio, oppure Dio che soffre di ipertensione, ansia e quant’altro può anche essere interessante e divertente, se fatto bene. Ma il tutto, per come viene usato in questo film, lascia solo un senso di confusione e perplessità.

Un po’ come l’improvviso europeismo di Matteo Salvini.

Virgilio (Fabrizio Biggio) e Dante (Francesco Mandelli) in una scena di La solita commedia - Inferno

Virgilio (Fabrizio Biggio) e Dante (Francesco Mandelli) in una scena del film (Credits: Wildside)

Idem per le scenette con i vari “nuovi peccatori”, il cui culmine dovrebbe essere scoprire che il nome del personaggio fa rima con il peccato di cui si macchia. Se devo sorbirmi minuti interi di scenette in cui accadono robe a caso, preferirei che lo scopo non sia soltanto quello di farmi ridere svelandomi che il personaggio che ho appena visto si chiama “Mirella Lo Iodice, incapace contro il coniuge”.

Che manco fa rima. E non vedo come possa essere un peccato.

Tirando le somme

La solita commedia – Inferno è un film inutile, noioso, pigro e totalmente dimenticabile. Già la mattina dopo la visione avrei avuto enormi difficoltà a ricordarmelo se non avessi preso appunti mentre lo guardavo.

Non il massimo, per una commedia.

Fa quasi tenerezza vedere il finale, probabilmente tenuto aperto per eventuali sequel mai nati. Di questo film resta solo il ricordo di Dio che muore sul finale (anche qui: ok, ci sto, ma qual è il senso?), della sgangherata e sgasatissima critica ai poliziotti violenti e sempre impuniti, e la presenza di Tea Falco nel ruolo, tra gli altri, di Gesù Cristo.

Un Gesù che scende sulla Terra dal nulla, fa scomparire i genitali a Fabrizio Biggio ed esce di scena volando via in stile Neo della saga di Matrix.

Non riesco ancora a credere di aver scritto questa frase.

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