Recensioni – Going Clear: Scientology e la prigione della fede


Poster film " Goin Clear" (2015)Going Clear: Scientology e la prigione della fede

di Alex Gibney

Il regista di Taxi to the Dark Side (2008) incontra e racconta la Chiesa di Scientology nelle parole di coloro che ne sono fuoriusciti: tra gli intervistati ci sono Paul Haggis (Oscar alla regia  per Crash) e  Sylvia “Spanky” Taylor, che era stata il punto di riferimento di John Travolta nell’organizzazione religiosa. Ne emerge il quadro inquietante di un ambiente settario repressivo e violento.

Nel 2009 quando il regista di Crash Paul Haggis lasciò Scientology dopo ben 35 anni di appartenenza, le ragioni del suo allontanamento dalla chiesa furono raccolte da Lawrence Wright( Premio Pulizter per Le Altissime Torri, sull’attentato alle Torri Gemelle ) per il New Yorker e successivamente riportate in un libro-inchiesta uscito nel 2013 e intitolato Going Clear – Scientology, Hollywood and the Prison of Belief. Il libro di Wright costituisce l’ossatura e l’anima del lavoro cinematografico di Alex Gibney, che ritorna alla tematica ” religiosa” dopo che nel 2012 con Mea Maxima Culpa: Silenzio nella casa di Dio, si era occupato dei casi di pedofilia nella Chiesa Cattolica.

Going Clear scorre su due binari paralleli: da un lato raccoglie le testimonianze di ex adepti di Scientology  (alcuni dei quali famosi al di fuori dell’organizzazione, altri ex dirigenti della stessa ) e dall’altro ricostruisce la vita del fondatore della Chiesa, L. Ron Hubbard. Come in Mea Maxima Culpa, la materia trattata da Gibney è principalmente quella del racconto e del ricordo da parte dei testimoni: giocando con l’idea dell’audit , la pratica di Scientology a metà tra la seduta psicologica e un test con la macchina della verità, il regista fa ricostruire ai soggetti intervistati il percorso che li ha portati ad entrare della chiesa, a subirne gli abusi psicologici e fisici, persino a mentire per essa, fino alla dolorosa presa di coscienza di aver riposto fiducia nelle persone sbagliate e di dover cambiare vita. 

Risulta particolarmente disturbante  proprio il paragone con la vicenda di Hubbard: allo spettatore appare chiara sin dall’inizio la distorsione dei fatti,  tra come il fondatore e la sua Chiesa  venivano e vengono tutt’ora visti dai fedeli e la realtà dei fatti. E così come Hubbard si presentava come un eroe di guerra senza esserlo, come un invalido senza aver mai avuto altro che la congiuntivite e negava addirittura di aver avuto una seconda moglie  (che invece è esistita, eccome), allo stesso modo John Travolta può affermare (credendoci) che Scientology sia un’organizzazione che mira a portare gioia nel mondo, ad aiutare il prossimo, a far crescere moralmente l’umanità, mentre Silvya Taylor ricorda bene di essere stata rinchiusa per punizione e costretta a lavorare 30 ore al giorno durante la sua seconda gravidanza.

Le malefatte di Scientology non si fermano qui: emergono violazioni della privacy dei membri, minacce e ricatti a chi critica la Chiesa e/o vuole uscirne, discriminazioni in base all’orientamento sessuale, pestaggi punitivi ed il ricorso alla tortura nei confronti dei membri dissidenti. Il documentario tutto è un crescendo, emotivamente coinvolgente (ma forse, per i più informati, non così soprendente) delle violazioni dei diritti umani compiute da Scientology . Sullo sfondo si delinea appena la figura l’attuale leader della Chiesa, David Miscavige,  di cui non ci viene detto nulla o quasi: una figura fredda e distante che fa da contraltare umano all’idea che Gibney sembra avere di  Scientology come di una macchina infernale, composta da crudeli ingranaggi e messa in moto una volta per tutte da un folle. 

Se una critica a questo film si deve fare, si trova proprio in quest’ultimo punto: in due ore di documentario, Gibney non indaga mai i meccanismi sociali e psicologici che si celano dietro Hubbard e Scientology. Le ragioni che portano alcuni ad entrare a far parte della Chiesa, a credere alle bugie, ad ignorare i fatti, sono lasciate alle motivazioni, umanissime peraltro, dei singoli. Il sottotesto rimanda alle debolezze e alle fragilità dell’animo umano: e tuttavia forse qualcosa di più si poteva dire perchè il rischio è di fare di Scientology un fenomeno allarmante ma esotico, estraneo a chi guarda. 

In questo senso Going Clear assomiglia più ad un’inchiesta televisiva che ad un documentario per il grande schermo: non è detto che questo comunque sia un male in senso assoluto. In fondo, un certo gusto per la ” sensazione” rende il film più godibile e coinvolgente nonostante la sua lunghezza.

Da vedere.

 

 

 

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