Recensioni – Non sposate le mie figlie!


50965Non sposate le mie figlie!

di Philippe de Chauveron, con Chantal Lauby, Christian Clavier, Ary Abittan, Medi Saoun ,Noom Diawara, Frederic Chaudi

Claude e Marie Verneuil  sono le due metà di un’anziana coppia francese, borghese e ligia alle tradizioni nazionali e religiose, che ha visto a malincuore le prime tre figlie contrarre matrimoni ” multietnici”:  Isabelle ha sposato Rashid (arabo), Odile è la moglie di David (ebreo), Segolene è coniugata a  Chao (cinese). Quando la quarta figlia, Laure, annuncia che sposerà  il cattolico Charles, i Verneuil sono al settimo cielo. Peccato che Charles abbia origini ivoriane e una famiglia ostile ai francesi in ricordo dell’epoca coloniale…

Per il grande successo (in patria e all’estero)  Non sposate le mie figlie, sono stati scomodati molti paragoni sia con le commedie francesi che con quelle americane. Il più scontato (ma forse anche il più eclatante) è quello con Indovina chi viene a cena di Stanley Kramer che nel 1967 raccontava con simpatia la storia d’amore tra la giovane bianca Joey e il medico afroamericano John (e le difficoltà dei rapporti tra le rispettive famiglie). Qualcuno forse ricorderà anche il malriuscito tentativo di remake  intitolato Indovina Chi (2005), che vedeva le parti invertirsi: la sposa (Zoe Saldana) era di colore, mentre lo sposo che doveva affrontare il giudizio familiare era il bianchissimo Ashton Kutcher.

La pellicola francese di quest’anno si colloca a metà tra il gioiellino di Kramer e il rifacimento pasticciato degli anni duemila. Senza dubbio il tema è attuale: l’Europa non è più patria solo dell’uomo caucasico, ma un melting pot di culture spesso in conflitto tra loro. Di sicuro la situazione è anche più complessa del dualismo bianco/nero dell’America della fine degli anni 60: De Chauveron tenta di risolvere il problema della convivenza prendendo la strada della battuta e dell’equivoco, cercando di mostrare la doppia faccia del razzismo. Le diffidenze verso ” l’altro” non appartengono infatti solo ai Verneuil, ma anche ai genitori di Charles e agli altri tre generi. Il regista francese , qui alla sua opera prima, condivide con Kramer la prospettiva borghese: ma proprio su questo punto il film finisce per infrangersi.

Non è più il 1967: il confronto con la piacevole ironia di Quasi Amici è inevitabile e lascia l’amaro in bocca. I generi dei Verneuil non vengono certo dalle banlieu, ma sono ricchi e di successo: per analogia la commedia di De Chauveron è furba, allegra e un po’ buonista, senza neanche un accenno ” graffiante”. Il sentimentalismo appiana differenze che non vengono nè risolte nè comprese: un certo tono autocelebrativo infine, distanzia Non sposate le mie figlie anche dal brillante e autoironico Giù al Nord  (2008). Forse  un paragone più azzeccato potrebbe essere quello con i bizzarri equivoci de  Ti presento i miei (2000).

Per carità, con Non sposate le mie figlie si ride, eccome: di una comicità qualche volta banale, che fa leva sul razzista (ed il sessista) che è in ognuno di noi, ma che funziona molto bene grazie ad attori all’altezza e al giusto ritmo. Da una prospettiva italiana poi, dove commedia e commedianti non riescono a superare il tema dell’amore/odio fra nord e sud,  il film di De Chauveron sembra quasi una boccata d’aria fresca e speriamo sia d’ispirazione per produrre finalmente qualcosa di nuovo.

 

Da vedere, per una serata non impegnativa.

 

 

 

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