Aspettando gli Oscar 2019 – Roma di Alfonso Cuaròn


Dopo un bel po’ di travaglio, sono finalmente riuscito a vedere il film di Alfonso Cuaròn, “Roma”, già premiato al Festival del Cinema di Venezia con il Leone d’Oro, pluricandidato all’Oscar.

Nel quartiere di “Roma”, Città del Messico, una famiglia benestante vive protetta all’interno delle proprie mura domestiche, incosciente e probabilmente ignara della violenza e della disumanità che si consumano all’esterno.

Sono gli anni del massacro “El Halconazo” ad opera di un gruppo paramilitare di estrema destra che, con il bene placido di parte della classe politica, armato di bastoni e di pistole, il 10 giugno 1971, massacrava 120 studenti riuniti in piazza per manifestare contro la privatizzazione dell’istituzione scolastico/universitaria.

Il contrasto fra la vita domestica e il fermento, la pericolosità del fuori tratteggia uno scenario di paurosa ed angosciante insicurezza per tutta la durata della pellicola.

Alfonso Cuaròn (Gravity, Y tu Mama Tambien, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban) è il pittore che affresca a tinte bianco e nere un momento chiave della storia del proprio Paese attraverso gli occhi e la dignità di una giovane indios, Cleo, domestica tuttofare, del tutto devota alla sua famiglia di “adozione”.

In ella rivive il dramma di un Continente (Ella ne è, in effetti, il manifesto) la cui storia violenta è figlia prima della Colonizzazione Europea e poi, di una globalizzazione selvaggia, tanto rapida e vorace quanto dannosa e alienante per il popolo indigeno.

Cleo porta sulle spalle il peso dell’innocenza di un mondo puro che per Cuaròn è essenza e cuore battente della propria terra natia. Lei che è stata sradicata dalla sua terra d’origine e gettata all’interno di una giungla urbana in cui sopravvive solamente chi è protetto dal denaro o chi come Cleo – perdonate l’eccesso – è protetta da un “padrone”.

Su di lei si regge l’equilibrio di una casa in cui la figura maschile (il padre) è del tutto assente e quella femminile (la madre) è troppa goffa e impreparata per crescere quattro creature e accudire un cane.

 

Cleo, la protagonista del film.

 

Una famiglia vittima di un sistema economico che spinge le persone a volere e ad acquistare troppo, senza poi fornirgli gli adeguati strumenti di gestione in caso di crisi. Una società quella in cui vivono i suoi sette componenti (madre, padre, nonna e quattro figli) di fortissime disuguaglianze sociali quello degli anni 70, dove essere donna, come accade a Cleo, significava davvero, per molte, trovarsi da sole e inascoltate, di fronte a una maggioranza maschile composta, per alcune parti, da uomini canaglia (come il compagno della stessa protagonista o, più di tutti, il Dottore “padre”).

Dobbiamo pensare a un mondo in cui il progresso scientifico (forse una delle più importanti conquiste dell’uomo contemporaneo) era del tutto inefficace perché non era a disposizione di tutti: a cosa serve un equipe medica specializzata, quando per raggiungere l’ospedale servono 2 ore di automobile e per la porta principale si passa soltanto grazie alle conoscenze? A cosa servono quartieri alberati e strade asfaltate, quando metà della popolazione vive nel fango e nelle baracche?

E’ cambiato qualcosa rispetto a oggi? Non conosco il Messico, ma visto che posso immaginare e comprendere le diseguaglianze del mio Paese di origine, posso senz’altro cogliere quelle di un Paese del quale la capitale è una megalopoli di 20 milioni di abitanti.

Pensiamo alle disuguaglianze che si colgono osservando i destini dei due coprotagonisti maschili.

Il primo, è un padre borghese colto e istruito che fugge dalla famiglia potendosi prendere la libertà di farsi una nuova vita all’estero con un’altra donna mentre l’altro è un giovane ignorante e povero e, dunque, facilmente manipolabile e del tutto impreparato al ruolo di padre.

Nelle immagini pittoriche di questo meraviglioso affresco cinematografico, l’equilibrio precario della vita, la lotta per la sopravvivenza, si colgono in ogni frangente (si pensi all’incendio nell’hacienda che la famiglia raggiunge per le vacanze natalizie, oppure la terribile scena del parto di Cleo) trovando nel finale il momento in cui la narrazione diventa epica del racconto.

La sequenza della spiaggia. Una scena che rimarrà nella storia del cinema contemporaneo.

Difficilmente ricordo un’ansia così grande, vedendo l’onda che si trascinava al largo la parte più bella, i protagonisti più belli, di questa storia. Ricordo di aver patito così tanto solo quando vidi la sequenza di un film (Babel) di un altro grande regista messicano, Inarritu, che, combinazione, vedeva protagonisti proprio dei bambini e una domestica.

In quell’istante, nella corsa di Cleo, la fotografia di Cuaròn compie un commovente piccolo miracolo cinematografico che rimarrà nella storia del cinema, ne sono certo. Non posso rivelare troppo a chi, mi auguro, ha intenzione di vedere o vedrà presto questo capolavoro.

Pienamente promossi (salvo qualche iniziale riserva) il realismo del bianco e nero e la tecnica del cinema-documentario che conferiscono un tratto neorealista e nostrano a questa pellicola a cui auguro ogni migliore fortuna anche in previsione dell’assegnazione dei Premi Oscar 2019.

Comprensibile il successo al Festival di Venezia. Chi meglio di noi può comprendere la violenza e la precarietà degli anni 70? Chi meglio di noi ha ricercato, per educazione o predisposizione, di indagare le complessità e le evoluzioni della famiglia nella società civile?

Roma è il mio favorito agli Oscar 2019 e ne consiglio la visione, anzi la impongo ai lettori, per l’importanza che assumerà nella cultura popolare e per coloro che, ancora oggi, storcono il naso quando si accenna alle fondamentali conquiste nei diritti civili degli ultimi 50 anni.

10 candidature al Premio Oscar fra cui miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura e fotografia (firmate entrambe dallo stesso regista Cuaròn), migliori attrici protagonista e non protagonista (Yalitza Aparicio, Cleo e Marina De Tavira, la madre famiglia)

Leone d’oro a Venezia e Golden Globe ad Alfonso Cuaròn come migliore regista.

Vi auguro davvero una buona visione, anche se su Netflix!

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