Dear White People


Se cercate uno show dai toni leggeri, con cui farvi qualche risata, Dear White People fa per voi. Ma attenzione! Ogni cosa ha un prezzo. E qui il prezzo per aver liberato un po’ di endorfine è riflettere un po’. Preparatevi perciò anche ad un sarcasmo pungente e ad un’esasperazione fastidiosa degli stereotipi di razza che, sì, vi faranno riflettere, ed anche arrabbiare.
Il punto forte della serie è rappresentare un’ iperbole della realtà, simpatica, quasi ridicola, nel microcosmo di un college americano, con alcune dinamiche e alcuni risvolti, invece, fin troppo reali. In dieci episodi di mezz’ora ciascuno, si mescolano l’umorismo dato dall’esagerazione dovuta alla finzione, alla forte denuncia del razzismo, un mix inusuale ed efficace firmato Justin Simien.

Come nel caso di un’altra serie di successo del momento, 13 Reasons Why, ogni personaggio ha un ruolo, una storia, dei complessi.  Ogni episodio (a volte più di uno) è dedicato a un personaggio: come con una lente d’ingrandimento, lo spettatore osserva da vicino la percezione della realtà di quel personaggio e soprattutto come reagisce alla stessa e come combatte la discriminazione.
C’è Sam, militante agguerrita dalla lingua tagliente, che con il suo programma radiofonico intitolato Dear White People (che da il nome alla serie) racconta episodi quotidiani in cui i bianchi si dimostrano superficiali, o dei perfetti idioti, se volessimo usare probabilmente le sue parole, nel non capire che il problema del razzismo è reale, e nel persistere a perpetuare stereotipi, linguaggio e comportamenti sbagliati.

C’è Lionel, che nel mezzo della sua lotta personale per definirsi ed accettarsi come gay, tenta di fare la sua parte scrivendo per il giornale della scuola di storie importanti ma scomode. C’è Troy, ricco e potente perché figlio del direttore del college, che vuole cambiare le cose dall’alto, mettendosi in politica e sfruttando la sua influenza, ma che in realtà è soggiogato all’autorità prepotente del padre. E ci sono tanti altri personaggi che rendono la serie varia su molti aspetti, oltre a quello della lotta alla discriminazione, come per esempio quello dei problemi dell’età giovane-adulta.

Fatto interessante è che attraverso l’esagerazione di ogni aspetto della storia, quindi anche dell’ingenuità e della inconsapevolezza dei bianchi della gravità della situazione, la serie agisce anche su un altro livello, a parte quello della denuncia della discriminazione, quello di criticare in maniera sottile quelli che si lamentano di una retorica “anti-bianco”, o che sia tutto un’esagerazione, che il problema non sia così grave.
Una serie per ridere? Sì, ma non solo. Perchè, ancora una volta l’umorismo risulta una delle migliore maniere per riflettere.

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