Ode ai Boston Red Sox


Nella notte tra il 29 ed il 30 ottobre dopo tre ore di gioco, al Dodger Stadium, i Boston Red Sox si sono laureati campioni MLB per la nona volta nella loro storia.
Lo strikeout finale di Chris Sale su Manny Machado ha completato una cavalcata trionfale che è partita dallo Spring Training ed è culminata con la vittoria delle World Series in cinque gare sui Los Angeles Dodgers.
Ci vuole fede, perseveranza e anche un briciolo di autoironia. Ed è quello che ha caratterizzato lo spirito dei tifosi dei Boston Red Sox in tutte le stagioni prima del 2004. 

Prendiamocela comoda e partiamo dai primi anni del 1900. Il baseball negli Stati Uniti ad inizio 1900 era già particolarmente seguito e la squadra che dominava era proprio quella di Boston. Il leader carismatico e sul diamante era Babe Ruth, il “bambino”. Ruth era un lanciatore/battitore che cambiò la storia del baseball. Ruth portò tanti fuoricampo al baseball tanto da diventare “l’attrazione” principale del batti e corri in quel periodo. Infatti nonostante fosse un buon lanciatore, si concentrò esclusivamente in battuta perché era li che il pubblico voleva vederlo.
L’allora proprietario dei Red Sox, Harry Frazee, imprenditore nel campo dello spettacolo teatrale, decise di cedere il proprio gioiello ai New York Yankees per finanziare un musical a Broadway.
Ruth, nel 1920 prima di andarsene alla volta della Grande Mela, dichiarò che senza di lui i Boston Red Sox non avrebbero mai più vinto un titolo. E così nacque la famosa “Maledizione del Bambino”. 

La “maledizione” fu una vera spada di Damocle per i Red Sox che effettivamente dopo aver vinto cinque World Series con Babe Ruth, per 86 lunghi anni rimasero a secco di vittorie con sconfitte anche particolarmente brucianti come per esempio quella del 1986 contro i New York Mets in cui Boston era ad un solo strike dalla conquista delle World Series.
Il fatto di non vincere per anni era ormai diventato un’abitudine per i tifosi Red Sox che hanno coniato anche qualche simpatica frase per “giustificare” i propri insuccessi. “Abbiamo scelto Red Sox perché perdono. Se tifi per qualcosa che perde per 86 anni, sei un ottimo tifoso. Non c’è bisogno di vincere tutto per essere fanatico di qualcosa.” Oppure: “Non importa quali e quante sconfitte arrivano in una determinata stagione, i Red Sox hanno sempre l’anno prossimo.

Poi nel 2004 ecco la svolta. Dopo 86 interminabili anni di digiuno, i Boston Red Sox conquistano le World Series sconfiggendo i St. Louis Cardinals interrompendo così l’odiata “maledizione”.
A Boston è delirio e – ancora oggi – quel momento è ricordato come uno dei più belli ed emozionanti della storia sportiva della città del Massachusetts.
Stephen King, nel 2004, fu costretto a cambiare completamente il finale del suo libro “Faithful”. S.K. infatti, noto tifoso dei Red Sox, voleva descrivere l’ennesima stagione a secco scrivendo un libro ironico sul fatto che Boston non riuscisse proprio a vincere quelle maledette World Series.  

Da quel 2004 è letteralmente cambiata la storia dei Boston Red Sox. Le “calzette rosse” infatti diventano la squadra di baseball più vincente del nuovo millennio bissando il successo del 2004 anche nel 2007, 2013 e ora nel 2018.
Delle quattro vittorie quest’ultima è stata quella più schiacciante e probabilmente meritata. L’executive manager dei Red Sox, Dave Dombrowski, lo scorso inverno decise di nominare manager Alex Cora, ex giocatore portoricano di Boston. Dubbi sull’efficacia della scelta? Tantissimi. Innanzitutto Cora era alla prima esperienza in carriera da manager e la sperimentava in una franchigia non certo facile come quella di Boston. Ma sin dallo Spring Training si è visto in tutta la squadra qualcosa di diverso rispetto al recente passato. La cosa che è saltata maggiormente all’occhio durante tutta la stagione è stata la solidità e la compattezza dello spogliatoio. Ed in questo Cora – uno dei manager meno pagati della lega (800 mila dollari all’anno e per fare un paragone Joe Maddon dei Chicago Cubs ne guadagna 6 milioni e mezzo) – è stato probabilmente l’artefice principale. 

“Il mio obiettivo per questa squadra sarà quello di prestare attenzione ai dettagli, competere ogni giorno e trarre vantaggio da situazioni difficili durante la partita. La chiave dell’attacco è quella di avere un approccio costante, “andare a caccia” dei lanci e “fare danni”.“ 

– Alex Cora nella conferenza di presentazione alla stampa in pre-season 

Ad inizio stagione e per tutti i playoff ha fatto scelte “non ortodosse”, non seguendo “il libro delle regole”, ma alla fine ha avuto sempre ragione. Si è preso tanti rischi come per esempio in postseason l’utilizzo di lanciatori partenti come rilievi (Nathan Eovaldi in gara3 ha fatto 97 lanci, nessuno come lui nelle World Series oppure la scelta di schierare Price senza riposo in gara5).
Cora è un manager che lavora molto sui numeri fidandosi dei dati che gli vengono forniti dagli analisti (Boston ne ha tra i migliori della lega, sul livello degli Oakland Athletics di Billy Bean) e assieme al suo staff (in particolare a Dana LeVangie, pitching coach) si è preso dei rischi che probabilmente i giocatori hanno apprezzato e seguito sin da subito. 

La cosa incredibile che i Red Sox quest’anno sono riusciti a compiere, non è soltanto l’aver vinto 108 partite in regular season, ma quella di aver eliminato in postseason due squadre che hanno vinto più di 100 partite: i New York Yankees (3-1) e gli Houston Astros (4-1), andando a vincere anche in trasferta. 

Una delle scelte che fece particolarmente discutere fu quella del taglio di Hanley Ramirez per l’acquisto di Steve Pearce in uscita dai Toronto Blue Jays. L’arrivo del 35enne Pearce inizialmente non fu condivisa da gran parte dei tifosi, ma poi si è rivelata la più vincente in assoluto: solidità nel box di battuta e meritato premio di MVP delle World Series.
I rilievi dei Red Sox per tutta la stagione sono stati il punto debole della squadra. Joe Kelly non è mai entrato in forma (prima delle W.S.), Carson Smith non è mai stato utilizzato e Tyler Thurnburg non si è rivelato all’altezza.
Cora e Dombrowski così si sono buttati sul mercato andando a pescare Nathan Eovaldi. Ecco la seconda scelta più discussa. Perché non prendere il più forte Zach Britton? L’ex Baltimore Orioles è poi andato agli Yankees, mentre Eovaldi è stata l’ennesima scommessa vinta da Cora e company.
Lo staff dei Red Sox ha dimostrato che non sempre la soluzione più logica possa essere per forza quella più giusta. Un altro esempio è quello di Ryan Brasier, relief pitcher. Brasier – da sempre tartassato dagli infortuni – è tornato negli Stati Uniti dopo un periodo in Giappone. Nonostante fosse destinato ad un ruolo nelle serie minori, si è saputo ritagliare uno spazio importante in Major League risultando il miglior rilievo per buona parte della stagione.
Non sempre Dave Dombrowski ha condiviso le scelte dei Alex Cora (affare Ramirez-Pearce su tutti), ma si è sempre fidato ed il portoricano ha ripagato la fiducia del suo executive. 

Le World Series sono stata un vero e proprio trionfo per i Boston Red Sox ed i Los Angeles Dodgers non hanno potuto far altro che inchinarsi allo strapotere del lineup di Cora e del solidità sul monte di lancio dei pitcher bostoniani (Chris Sale, David Price, Rick Porcello e Nathan Eovaldi oltre che Eduardo Rodriguez) .
Boston può festeggiare dunque il nono titolo di un’istituzione cittadina come i Red Sox.La strada intrapresa negli ultimi anni è quella giusta per creare una dinastia grazie ai numerosi giocatori giovani in roster.
I tifosi dei Red Sox infatti possono ben sperare per un futuro roseo e ricco di successi, senza però mai dimenticare le delusioni del passato.
I fan dei Red Sox sono stati spinti al limite nel corso degli anni, ma è proprio così che la fede si rafforza.

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