Meo un uomo oggi, e un Brindisi domani


sacchetti-coverBrindisi è una delle realtà più significative e importanti della palla a spicchi nostrana. Si è guadagnata la promozione in A nel 2010 con Sassari ma, al contrario dei sardi che dimostrarono da subito di essere solidi, è subito ridiscesa. Si è affidata alle mani sapienti di Pierluigi, per tutti Piero, Bucchi, è risalita nel 2012 è da allora non è più ridiscesa. Siccome però la volatilità dei (solo fantomatici e virtuali) progetti è proverbiale, nelle terre italiche, dopo cinque anni la storia tra il coach bolognese/riminese adottato e il club pugliese è giunta a conclusione. Al suo posto, con notevole colpo di mano o di teatro, il pres Fernando Marino si è accordato con quel Meo Sacchetti con la cui Dinamo aveva condiviso la prima promozione all’alba del secondo decennio del ventunesimo secolo.

Di Romeo Sacchetti si possono dire tante cose, ma non che sia uno a cui piace la poltrona comoda allenando con la paglia in bocca. Al contrario: Castelletto Ticino nel 2006, Capo d’Orlando nel 2007, Sassari nel 2009, erano chi più chi meno squadre sul campo potenzialmente scintillanti che dovevano fare a pugni con situazioni societarie traballanti. Le prime due sono saltate presto, dopo l’addio di Meo, la terza rischiava, se non ci fosse stato monsieur Sardara a salvare capra e cavoli. La stessa Udine, sulla cui panchina il coach di Altamura sedette per poco tempo e con discreta malasorte, avrebbe poi dimostrato che oltre all’impegno di Snaidero c’era poc’altro, finendo anch’essa poi sommersa nel mare di fallimenti che era e resta piaga inspiegabilmente inestinguibile del basket italiano.

Paradossalmente, per la prima volta da una decina d’anni a questa parte, Sacchetti si trova in una situazione inedita, ovvero iniziare in una squadra che ha ambizioni e risorse, e che chiede a lui il salto di qualità che con Bucchi è arrivato solo parzialmente. Proprio il pres Marino ha raccontato ai microfoni RAI un aneddoto riguardo al cambio della guardia (tecnica): il procuratore dei due coach è infatti lo stesso, e quando ha chiamato in sede Marino pensava fosse per estendere il contratto del predecessore, ma al contrario l’agente ha detto chiaro e tondo che Sacchetti era libero e sarebbe venuto molto volentieri a Brindisi. Il matrimonio così s’è fatto, con buona pace di Bucchi che dal canto suo ha poi trovato impiego a due passi da casa (Pesaro).

Meo è un uomo, prima ancora che allenatore, semplice, spontaneo, come il basket che incoraggia nei suoi uomini. Un basket fatto di corsa intelligente, attacco rapido, pick&roll con backdoor e penetra-e-scarica di matrice jugoslava, di difesa aggressiva e riapertura immediata dopo il rimbalzo catturato sotto le proprie plance. La sua filosofia in salsa brindisina al momento ha messo in luce M’baye, francese maturato ad Oklahoma, lungo verticale che sa indifferentemente partire da lontano per poi servire il compagno posizionato nei pressi del tabellone avversario o partire in palleggio, fintare, e segnare il piazzato.

Il guaio, avendo tanti americani e pochi europei “veri” (meglio se italiani), è che la squadra vive di folate. Così succede come a Pistoia nell’ultima giornata, quando dopo un cospicuo vantaggio iniziale Brindisi ha lasciato che i toscani, meglio organizzati, rosicchiassero lo svantaggio, rientrassero, impattassero e alla fine la spuntassero. Più o meno quello che contemporaneamente la Macedonia agguerrita stava permettendo all’Italia arruffona in quel di Skopje. La funzione equilibratoria che davano alla Dinamo i vari De Vecchi, Pinton, Vanuzzo, Sacchetti jr., al momento Spanghero, Cardillo e Sgobba non sono ancora rodati abbastanza per fornirla, o comunque non per controbattere formazioni pericolose come The Flexx di coach Esposito.

Sacchetti avrà rapidamente capito quali sono le ambizioni della piazza, forse ancora prima di firmare, e non sarà di sicuro spaventato. Lui che, per sua stessa ammissione nella sua autobiografia uscita nell’ultimo periodo, dalla vita si è sentito dire ben presto“Arrangiati”. Ergo, stiamo attenti all’Enel. Potrebbe dare gas prima di quanto immaginiamo. E lasciarci tutti indietro.

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