Olimpiadi 2012: Usa di nuovo d’ oro, la grande Argentina all’ ultimo tango


Cominciamo dalla fine. È giusto così, perché se c’ era una finale degna di essere giocata (e guardata: grazie a Dio qualche partita Mamma RAI alla fine l’ ha fatta vedere) era proprio quella che la Spagna e gli USA, poi vincitori, hanno messo in piedi. Onore agli iberici, che sono stati capaci di tenere in scacco la formazione a stelle e strisce per tre quarti e mezzo, anche se questo non fa dimenticare della partita con il Brasile. Riassumiamo l’ accaduto: dopo la sconfitta con la Russia nel girone, la squadra di Scariolo deve perdere con i verdeoro per non ritrovarsi gli Stati Uniti in un’ eventuale semifinale, invece che nell’ atto conclusivo. Un sondaggio sui media spagnoli dice che il 65.4% delle persone ritiene che si debba perdere con i carioca, e la cosa avviene, dopo che la Spagna era stata in vantaggio anche di una decina di punti. Che era comunque una signora squadra, ma insomma i dubbi rimangono. A questo episodio è deleterio concedere più spazio di quello che necessita, ma va pur sempre tenuto a mente, anche se non intacca il livello delle prestazioni della Roja nell’ arco del torneo. Il quale ha avuto una protagonista assoluta (gli Stati Uniti) e due coprotagoniste inattese, con percorsi e contesti differenti, ma che ora si trovano accomunate dalla necessità di ricostruire: una sicuramente (l’ Argentina), l’ altra forse (la Russia).

GOD BLESS AMERICA

Fino al 2006, non se lo sarebbe aspettato nessuno. Fino a quella maledetta sconfitta in semifinale contro la Grecia (ma c’ era stata anche quella contro l’ Argentina alle Olimpiadi del 2004), nessuno avrebbe potuto immaginare che i protagonisti delle finali NBA avrebbero dovuto ricorrere a tutto il loro talento per avere ragione della propria contendente nella finale del torneo olimpico. Impensabile. Ora però le cose sono cambiate. LeBron James e Kevin Durant fanno parte di una generazione di giocatori che ha visto la nazionale statunitense perdere contro squadre che sulla carta le erano inferiori, che ha dovuto rivedere le proprie convinzioni sulla visione egocentrica che il mondo a stelle e strisce aveva del basket. Ora agli avversari non ci si riferisce più indicandoli semplicemente col numero di maglia, ora persino loro hanno imparato a studiare chi si trovano di fronte, e ha prendere contromisure adeguate. “La Grecia? Non l’ abbiamo mai vista giocare, ma lo staff ci dirà cosa dobbiamo fare per vincere” ammetteva candidamente Dwyane Wade prima appunto di quella semifinale del Mondiale 2006, parole che richiamavano la profezia di Shawn Kemp della rassegna iridata del 1994: “Nella finale di domani con la Russia ci limiteremo a salutare Kukoc e Radja (che giocavano invece per la Croazia) e poi li distruggeremo”. Segno evidente che i tempi sono cambiati, che le sconfitte hanno fatto maturare i giocatori e hanno aumentato la sensibilità e la percezione verso quel basket che non sia il loro. Restano i migliori, ma non sono più invincibili, e la Spagna è andata vicinissimo a dimostrarlo ancora una volta. Anche se hanno vinto, però, anche a USA Basketball pare che qualcosa cambierà: dopo sette anni, si dice infatti che potrebbe lasciare Mike Kryszewsky . Che con la vittoria a Londra 2012 è diventato anche il coach più vincente nella storia delle competizioni internazionali: tre ori i suoi, contro i due di Gomelsky, Kanela (che hanno complessivamente però più medaglie) e Zeravica. Per sostituirlo, si sono fatti i nomi di Doc Rivers, Tom Izzo e Gregg Popovich. Staremo a vedere cosa accadrà. Intanto, però, Kryszewsky è già nella leggenda.

DALLA RUSSIA CON AMORE

Se il movimento cestistico russo, che all’ inizio del nuovo millennio era scivolato in una sorta di aurea mediocritas, è rinato dalle sue ceneri fino a conquistare la prima medaglia olimpica dal lontano 1988, il merito va dato soprattutto a David Blatt. Da quando ha preso la guida della selezione di Mosca nel 2006, ha condotto la squadra a un oro e un bronzo europeo, e a un bronzo olimpico. “Adesso sono stanco, ho allenato oltre 130 partite in questa stagione, voglio dormire due settimane prima di prendere una decisione sul futuro” ha risposto dopo la finale per il terzo e quarto posto a chi gli chiedeva se continuerà il suo impegno con la selezione russa. Poco prima aveva ricordato: “Al mio primo anno con la Russia persi in Belgio una partita di qualificazione all’ Europeo. Non sapevo se mi avrebbero appeso per le dita dei piedi al Cremlino o se avrei dovuto pagarmi il biglietto per tornare in Israele. Ora sono qui, con una medaglia olimpica al collo, che vale più di quella dell’ oro europeo del 2007”. Divertente David Blatt, l’ uomo che da noi vinse lo scudetto a Treviso l’ anno prima che iniziasse il dominio senese che ancora continua, l’ uomo che ha allenato dovunque (in Russia, in Turchia, in Grecia, fra le altre) e che ora guida la squadra più rappresentativa della sua patria adottiva, il Maccabi Tel- Aviv. Soprattutto, però, Blatt ha ridato credibilità a tutto il basket russo, fino addirittura a prenderne le parti al Mondiale 2010, quando contestò la versione americana della finale di Monaco 1972, quella dei tre tentativi dati all’ allora Unione Sovietica per vincere l’ oro olimpico. Lui, americano del Massachussets, ha superato le barriere che del pregiudizio ed è arrivato a farsi amare anche dai russi. Questa è una storia che vale la pena di essere raccontata. Indipendentemente se finisca o meno dopo i Giochi Olimpici.

ULTIMO TANGO A LONDRA

Sono passati dieci anni, dal Mondiale Indianapolis 2002. Fu proprio lì, nella terra dove la pallacanestro è quasi una religione, che per la prima volta si rivelò al mondo la Generación de oro del basket argentino, anche se poi la finale venne vinta (con qualche fischio dubbio a favore) dalla Yugoslavia di Pesic. Come in una sorta di ideale passaggio di consegne, nella patria della palla a spicchi gli Stati Uniti cedevano temporaneamente lo scettro di prima potenza mondiale alla nazionale albiceleste. Per carità, se lo sono poi ripresi quasi subito (Olimpiadi 2008), ma per sei anni è stata l’ Argentina la nazionale da temere maggiormente nelle competizioni internazionali, un paradosso dato che i migliori atleti argentini giocavano (o avrebbero giocato) quasi tutti nella NBA. A Indianapolis emise il primo vagito quella che è da considerarsi una delle selezioni più forti di tutti i tempi: Ginobili, Nocioni, Oberto, Delfino, Pepe Sanchez, Herrmann, Scola, Wolkowisky, più Montecchia e Sconochini che vedemmo anche da noi, e Pablo Prigioni che si aggiunse al gruppo al Mondiale di Tokyo del 2006. Negli anni via via sono andati ritirandosi molti, ne sono arrivati altri che non hanno però le stesse qualità tecniche. A Londra sono stati Delfino, Scola e Ginobili a caricarsi la squadra sulle spalle, con Prigioni a ruota. Ora, con tutta probabilità, resteranno solo i primi due, che hanno ancora un’ età che gli consente di reggere gli impegni tra club e nazionali (Delfino fa i 30 anni fra poco, Scola ne ha già fatti 32), gli altri quasi sicuramente si ritireranno. Sarebbe stato bello vedere sul podio, per l’ ultima volta, tutti i protagonisti di questa storia che è arrivata all’ epilogo, ma la finale per il terzo e quarto posto ha deciso di premiare un’ altra bella storia, quella della Russia e di David Blatt. “Qui siamo tutti amici, siamo un bel gruppo, ma c’è chi non ha visto nascere una figlia per giocare in nazionale” ripete da anni Manu Ginobili, e allora capisci come la forza di questo gruppo sia stata nella testa, prima ancora che nelle qualità tecniche. L’ Argentina d’ oro, quella che paradossalmente si consacrò al mondo dopo che la sua economia statale era fallita (2001), è al canto del cigno. Probabilmente cederà lo scettro del Sud America al Brasile, nazionale più futuribile e allenata fino a quest’ anno da Ruben Magnano, ovvero colui che ha guidato l’ Albiceste al massimo traguardo raggiunto e raggiungibile di questi anni, l’ oro olimpico del 2004. E questo è l’ ennesimo paradosso, un tema fra l’ altro caro agli intellettuali dell’ America Latina. Forse è per questo che non stupisce che questa bellissima storia ne abbia presentati così tanti.

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