Primavera palestinese?


Dal 17 aprile scorso circa 1200 detenuti palestinesi si sono uniti nella “Battaglia dello stomaco vuoto” annunciando l’inizio di uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni di vita nelle carceri israeliane e la pratica della detenzione amministrativa basata unicamente su indizi senza nessun processo. Ad oggi i detenuti palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane sono circa 4600. Tra questi, almeno 320 sono in detenzione amministrativa.

In una nota congiunta apparsa qualche giorno fa su Ajnet news i prigionieri affermano di aver utilizzato l’arma non-violenta dello sciopero della fame in quanto “unico mezzo del quale i detenuti palestinesi dispongono per vedere riconosciuti i loro diritti”.

La “Battaglia dello stomaco vuoto” ha avuto due precursori: Khader Adnan (vedi “La battaglia di Kahder Adnan”), che proprio il 17 aprile, come promesso in precedenza dal governo israeliano, dopo 66 giorni di completa astinenza da cibo è stato liberato, e Hana Shalabi, giovane donna del villaggio di Burqin (zona settentrionale della West Bank), che dopo 43 giorni di sciopero della fame è stata anch’essa rilasciata.

Ma in questo caso non si può parlare di vera liberazione: ad Hana infatti è stato imposto un “esilio interno” (definito tale in quanto trasferita con la forza da una zona all’altra dei territori occupati e non in un altro Stato) nella striscia di Gaza, lontana dalla sua famiglia che, date le severe restrizioni a cui deve sottostare qualora volesse spostarsi, non potrà farle visita.
L’arresto, la detenzione e la “liberazione” di Hana sono stati una violazione dell’articolo 27 della Convenzione di Ginevra, che così recita: “Le persone protette hanno diritto, in ogni circostanza, al rispetto della loro persona, del loro onore, dei loro diritti familiari, delle loro convinzioni e pratiche religiose, delle loro consuetudini e dei loro costumi.”

L’avvio allo sciopero della fame collettivo iniziato il 17 aprile è stato dato da 11 detenuti in detenzione amministrativa. Tra questi, due rifiutano cibo da 46 giorni: il ventisettenne Bilal Diab, in prigione dall’agosto scorso, e Tha’er Halahi, 34 anni, in detenzione da 22 mesi, pena che si va a sommare ad altre cinque scontate in precedenza.
Coloro che si sono uniti in questa battaglia hanno fatto proprie le parole pronunciate dal ministro per le questioni dei prigionieri dell’Autorità Palestinese Issa Qaraqi: “La situazione nelle prigioni israeliane si è fatta pericolosa e i prigionieri appartenenti alle diverse fazioni e organizzazioni devono fare fronte comune contro il Servizio delle Prigioni Israeliane“.
E così è stato: Fouad Khuffash, direttore di Ahrar Centre per gli Studi e di Diritti Umani dei Prigionieri ha dichiarato che “i  detenuti del partito politico di Fatah hanno deciso di partecipare allo sciopero della fame nelle carceri di Nichel, Ashkelon e Nafha e lo stesso vale per i detenuti di fazioni politiche quali Hamas, Islamic Jihad e PFLP. Si assisterà per la prima volta ad una larga unità tra fazioni.”

Qualcosa sembra essere cambiato tra il 2011 e il 2012: il rilascio farsa di un migliaio di detenuti palestinesi (metà di loro sono stati riacciuffati o deportati a Gaza) in cambio dell’unico soldato israeliano Gilad Shalit, le numerose campagne di protesta di diverse organizzazioni locali e internazionali dopo l’intensificarsi delle misure repressive adottate dal governo israeliano, quindi la battaglia coraggiosa di Khader Adnan e Hana Shalabi a difesa dei diritti dell’individuo e ora questo sciopero della fame collettivo. Tutti sembrano essere segnali di un “risveglio” della Palestina.

Gli attivisti Sam Bahour e Jafar Fahar, che vivono nella West Bank, hanno così riassunto l’attuale situazione: “Dopo le rivoluzioni arabe è cresciuta la consapevolezza dell’importanza della partecipazione popolare. Questa ha scosso i regimi arabi e ora sta spaventando il governo israeliano”.

Siamo forse all’alba di una “Primavera palestinese”?

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