In ricordo di Rachel Corrie


Il 16 marzo è ricorso il nono anniversario della morte di Rachel Corrie, la studentessa americana originaria di Olympia (Washington) uccisa nel 2003 a Rafah, un villaggio nel sud della Striscia di Gaza, mentre protestava contro l’occupazione israeliana e, in forma nonviolenta usando il proprio corpo come scudo, cercava di impedire a un bulldozer dell’esercito di distruggere alcune abitazioni palestinesi.

Rachel era membro dell’ISM (International Solidarity Movement), movimento fondato nel 2001 da Ghassan Andoni, attivista palestinese, Neta Golan, attivista israeliana, Huwaida Arraf, palestinese-statunitense, George N. Rishmawi anch’egli palestinese, e Adam Shapiro, statunitense. Obiettivo dell’organizzazione senza scopo di lucro e nonviolenta è quello di supportare la causa palestinese in prima persona con atti di protesta nonviolenta contro l’esercito israeliano in Cisgiordania e a Gaza.

Rachel era una studentessa di Arte e Relazioni internazionali all’”Evergreen State College” ed era attiva nel Movimento per la Pace e la Giustizia nella sua città. Durante l’ultimo anno del college aveva fatto domanda per partecipare attivamente alla protesta nonviolenta nei territori palestinesi. Partita per Gaza il 18 gennaio 2003, al suo arrivo frequentò un corso di due giorni di addestrameto in filosofia e tecniche di resistenza nonviolenta e successivamente si impegnò in prima persona in diverse azioni: finto processo a George W. Bush per i crimini commessi nei confronti dei gazawi, dimostrazione contro la guerra in Iraq (parte della protesta globale del 15 febbraio) e occupazione delle aree circostanti i pozzi d’acqua locali, minacciati dall’esercito israeliano.

Il 16 marzo Rachel, insieme ad altri sei attivisti dell’ISM (tre inglesi e tre statunitensi) stava cercando di opporsi alla demolizione di alcune abitazioni di Rafah: bulldozer corazzati israeliani venivano usati per spianare gli edifici e la vegetazione vicini al confine tra Gaza e l’Egitto. Secondo l’esercito tale demolizioni avevano l’obiettivo di portare alla luce ordigni esplosivi, distruggere i tunnel dei contrabbandieri e disincentivare le attività terroristiche andando a distruggere le case dei kamikaze. Spesso alle famiglie venivano concessi solo pochi minuti per abbandonare l’abitazione.

Quel giorno di marzo gli attivisti erano impegnati già da due ore nel tentativo di fermare due bulldozer israeliani, appoggiati da un veicolo di combattimento Nagmachon (CEV), impegnati nella distruzione di alcune abitazioni. La tecnica dei volontari ISM consisteva nel posizionarsi sulla loro traiettoria e, utilizzando un megafono, gridare ai manovratori di fermare le macchine. Spesso gli attivisti salivano in cima al mucchio di terra che i bulldozer accatastavano davanti a loro mentre avanzavano. Così facendo si ponevano all’altezza della lama del bulldozer, facendosi vedere chiaramente da coloro che li guidavano.

Nel momento in cui Rachel si accorse che uno dei due bulldozer si stava dirigendo verso la casa di un dottore palestinese, la cui unica “colpa” era quella di abitare a 100 metri dal Muro allora in costruzione, adottò questa tecnica. Secondo le testimonianze dei suoi compagni attivisti, la ragazza in un primo momento si inginocchiò a 10-20 metri dal bulldozer, chiaramente visibile all’operatore che lo guidava. La macchina continuò comunque ad avanzare accumulando un mucchio di terra davanti a sè. A quel punto Rachel si arrampicò sul cumulo, arrivando a fissare negli occhi l’operatore stesso. Il bulldozer continuò la sua marcia facendo scivolare la ragazza e, ignorando le grida dei volontari che gli intimavano di fermarsi, la spinse prima sotto la lama, quindi sotto l’abitacolo. A quel punto si fermò qualche secondo, poi fece retromarcia tenenendo la lama abbassata e passando per la seconda volta sul corpo della ragazza.

Quando Rachel venne soccorsa dai compagni (gli operatori israeliani e i soldati che osservavano la scena non intervennero) mostrava il volto sanguinante e segni di emoroggia cerebrale. Perse conoscenza velocemente e morì pochi minuti dopo essere stata caricata sull’ambulanza diretta all’ospedale.

Diversa la versione israeliana dell’accaduto: “Durante un’operazione di bonifica di un’area in cui erano nascosti congegni esplosivi, che i terroristi erano intenzionati ad utilizzare contro soldati e civili israeliani, un gruppo di membri dell’ISM è entrato nella zona delle operazioni cercando di bloccarle. I soldati israeliani hanno tentato di allontanare i dimostranti e nello stesso tempo hanno spostato il luogo delle operazioni per evitare incidenti. I manifestanti sono riusciti a mantenersi sempre in vicinanza ai luoghi dei lavori. Si precisa che questi avvenimenti si sono svolti al confine tra Israele ed Egitto, in un’area sotto il controllo israeliano, come stabilito dall’accordo di pace firmato dai due Paesi. Verso le 17 Rachel Corrie si trovava nascosta da un mucchio di terra, formato dal lavoro delle ruspe, alla vista del conducente, che ignaro ha proseguito nello svolgimento della sua attività. La giovane è quindi stata accidentalmente investita da un oggetto contundente. È stato chiesto immediatamente il soccorso di un’unità medica dell’esercito che si trovava nelle vicinanze, ma quando sono arrivati gli aiuti i compagni della ragazza avevano già provveduto a trasportarla nei Territori Palestinesi. Per far luce sui fatti di quel giorno, è stata condotta un’accurata indagine dai vertici dell’esercito. Il risultato delle investigazioni è stato che Rachel Corrie non è stata investita da un veicolo, ma piuttosto è stata travolta da un oggetto molto pesante, probabilmente una lastra di cemento, caduto per un cedimento del terreno causato dai lavori. Siamo davanti, quindi, ad un incidente che non ha avuto nulla d’intenzionale“.

Rachel non è stata l’unica vittima delle demolizioni a danno delle abitazioni palestinesi. Il 2 dicembre 2002 Ashur Salem (68 anni), sordo, perse la vita quando l’esercito israeliano fece crollare la sua casa con la dinamite mentre stava dormendo. Il 19 febbraio 2003 i fratelli Said e Ala Heloo persero la vita quando l’esercito fece saltare in aria un altro edificio nelle vicinanze, provocando il crollo della loro casa. Identica la dinamica della morte di Nuha Sweidan, 33 anni e incinta di nove mesi, avvenuta il 3 marzo 2003.

La demolizione di abitazioni di civili è un atto di violenza che viola gli Articoli 12 e 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e gli Articoli 33, 53 e 54 della Quarta Convenzione di Ginevra. Malgrado il divieto internazionale Israele ha proceduto a migliaia di demolizioni, privando migliaia di palestinesi innocenti di un’abitazione.

2 Comments

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  1. Manuela

    27 Febbraio 2003 (alla madre)

    “Vi voglio bene. Mi mancate davvero. Ho degli incubi terribili, sogno i carri armati e i bulldozer fuori dalla nostra casa, con me e voi dentro. Ho proprio paura per la gente qui. Ieri ho visto un padre che portava fuori i suoi bambini piccoli, tenendoli per mano, alla vista dei carri armati e di una torre di cecchini e di bulldozer e di jeep, perché pensava che stessero per fargli saltare in aria la casa”.

    • Arianna

      Per Rachel erano solo incubi, mentre per molti palestinesi, ancora oggi, questa è una crudele realtà fatta di ingiustizie e privazione della dignità. La nostra abitazione non è solo un cumulo di mattoni, ma anche un contenitore di ricordi. Molti palestinesi obbligati ad abbandonare le loro case portano ancora con sè la chiave, nella speranza che un giorno quella stessa chiave permetta loro di rientrare nelle loro abitazioni.

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