Chiacchierate in Stile Libero: gli Home


Quando parlano si sovrappongono. E lo fanno in maniera disordinata. Così le voci si coprono, e non sai dove guardare, chi ascoltare.
Quando suonano si sovrappongono. Ma in questo caso, lo fanno perfettamente, creando un impasto piacevolissimo dal quale emergono la chitarra dai tratti hardrock di Michele Ottaviani, la potenza di Matteo Zerbinati – che batte energicamente su piatti e tamburi senza che la correttezza del suo cantato ne risenta –  e la compostezza di Nicola Finezzo a completare la parte ritmica.
Questi tre pazzi provenienti da Verona sono gli Home, arrivati al Sidro Club di Savignano sul Rubicone lo scorso 21 gennaio – per una serata realizzata in collaborazione con Monogawa Back to Gawa – per presentare il loro ultimo disco, Eleven, uscito per la Tannen Records. Un lavoro che come i precedenti sfugge a  classificazioni di genere, facendo della mancanza di riferimenti musicali precisi il loro stile personale.

Prima dell’elettrizzante live abbiamo scambiato qualche battuta sul nuovo disco, l’approccio alla musica, insomma: sul loro mondo. Il tutto andato in onda nel corso della 47esima puntata di Stile Libero, programma di approfondimento musicale di Radio Icaro Rubicone, riascoltabile in  podcast.
Ma ecco nel dettaglio ciò che ci siamo detti.

 

Vi va di presentarmi “Eleven”? Spiegandomi anche la ricorrenza del numero 11, nel titolo, nella data di pubblicazione…

Nicola: Quando finimmo di registare “Eleven” avevamo 11 pezzi – 10 canzoni nostre più la cover – senza un’idea precisa sul titolo. Poi col ragazzo dell’etichetta, la Tannen Records, è saltata fuori l’idea di pubblicarlo l’11 novembre 2011 – 11/11/11 – quindi ci siamo detti: perché non titolarlo “Eleven”?

Michele: Abbiamo trovato carino e geniale risolvere il dubbio sul titolo così, perché non si tratta di un concept album: è semplicemente una raccolta di 11 pezzi. E si ricollega anche al modo in cui è stato registrato. Non essendo stato lavorato e prodotto molto, le 11 canzoni sono nate così di fila. Quindi, come se le si stesse semplicemente enumerando, ci stava chiamarlo “Eleven”.

Matteo: Sì, così ha visto la luce il disco. In presa diretta, su nastro come una volta. Due, tre take al massimo e abbiamo visto che tutto scorreva liscio.
Aggiungo semplicemente che la durata dell’album è 33 minuti, che è un multiplo di 11. Fatalità!

Michele: E l’11 nella cabala napoletana corrisponde ai topi. Che non c’entra niente. Però come i topi, che si sanno adattare molto bene, anche noi riusciamo a sopravvivere a tutto.
Poi a pochi giorni dall’uscita abbiamo saputo che anche la Pausini faceva uscire il suo disco l’11/11/11 e volevamo ritrattare.

Matteo: Esatto, pubblicandolo il giorno dopo per poi chiamarlo Twelve, o il giorno prima. Solo che Ten lo avevano già fatto il Pearl Jam. Sai, un disco da nulla…

 

Mi pare di capire che avete un approccio molto istintivo alla musica. Nel crearla e farla. Quindi immagino che tra “Eleven” e “The Right Way” – il disco precedente – abbiate soprattutto suonato in giro, più che dedicato tempo alla lavorazione del disco.

Nicola: Esatto, non ci siamo fermati. Suoniamo ogni settimana. Abbiamo fatto una pausa di soli due mesi per il disco.

Matteo: A differenza di “The Right Way”, che abbiamo registrato a Tavernago allElfo Studio e che ha richiesto un anno e mezzo di lavorazione tra preproduzione, stampa, registrazioni, suoni, voci, tutto curatissimo, “Eleven” è estremamente diverso. In due settimane di lavorazione, diventate due mesi globali, abbiamo fatto tutto.

Nicola: E tutto in analogico! Non abbiamo mai acceso il computer, anche perché non c’era proprio. Abbiamo fatto quasi tutto in presa diretta. Un po’ alla vecchia.

 

Parto da una constatazione felice: nella nostra zona la musica dal vivo è valorizzata, sicuramente più che altrove. La programmazione è intensa, i locali sono abbastanza attivi… un esempio può essere quello che vi ospita stasera, ma ce ne sono altri. Siccome girate molto, vi chiedo secondo la vostra esperienza quanto sia difficile fare il vostro genere, in Italia.

Matteo: Estremamente difficile adesso. Non solo per il periodo di crisi che stiamo vivendo – locali in cui abbiamo suonato un paio di anni fa ora hanno chiuso. Ma anche perché c’è più spazio per un’altra scena musicale. Soprattutto considerando che cantiamo in inglese, è un po’ più difficile trovare spazio. Però c’è. Stiamo sgambettando un po’ come fanno i topi, tornando al riferimento alla cabala.

Michele: Io credo sia questione di inquadrarci, etichettarci. Se facessimo garage, suoneremmo nei posti dove fanno solo garage. Noi non ci atteniamo a un solo genere. Ci piacciono tante cose, siamo istintivi anche in questo. Possiamo fare un disco molto più pop, o ancor più grezzo di quest’ultimo. Non abbiamo un canale preciso in cui indirizzarci. E questo ci riporta alla difficoltà con i locali. Noi dobbiamo girare parecchio, perché a Verona non c’è tanto spazio dove esibirsi. Andando in giro per l’Italia ci accorgiamo che effettivamente, non appartenendo a un genere preciso, non siamo inquadrati dal pubblico. Non facciamo serate da 2000 persone, come può farle un gruppo settoriale, seguito da tutti gli amanti di quel determinato genere.
Gli Home sono un po’ una scoperta.

Nicola: Questo da un certo punto di vista è positivo, perché l’album poi viene recepito dalla gente e dalla critica come un lavoro personale. Non rispettando canoni di un genere preciso, emerge molto la nostra personalità.
Poi concordo con Matteo quando dice che adesso le tendenze sono altre. Molti scelgono di usare l’italiano. Noi non lo facciamo perché non ce la sentiamo, e tante volte la scelta dell’italiano è sforzata, secondo me.

Matteo: Noi non abbiamo mai avuto fretta di fare successo per forza. Non perché non siamo bravi a provare a buttar giù un giro di chitarra un po’ cantautorale o un testo impegnato in lingua italiana, ma siamo portati a fare altro, che è ciò che ci riesce meglio. Si può virare per opportunismo, o per l’attuale periodo nero, o per vocazione. Ma noi continuiamo il nostro percorso, e alla lunga questa scelta verrà premiata, secondo me. Noi stiamo puntando su questo. È vero che c’è il web, che dà una mano col tam-tam, però noi non ce la sentiamo di star tutto il giorno su twitter.Siamo molto diversi.
Ci vuole tempo per gli Home.

 

La musica è la vostra vita, immagino. Ma riuscite a guadagnarvi da vivere con la musica?

Michele: È quello che ci siamo prefissati di fare, ma ancora non ci guadagniamo da vivere così. Facciamo un lavoro che non ci piace, ma è pur sempre un lavoro.

Nicola: Questa è la nostra vita anche perché ci conosciamo da una vita. Sono 15 anni che suoniamo insieme. La nostra vita è stare sempre insieme, andare ai concerti insieme, andare a suonare insieme, andare a mangiare insieme… come i mafiosi: stanno sempre tra di loro!

Matteo: Per noi far parte di una band non è solo fare le prove e stare sul palco quelle 2 o 3 volte al mese, come un sacco di band fanno. Noi siamo completamente diversi. Noi stiamo insieme anche nella vita, perché ci piace.

 

Quale, tra le esperienze vissute finora come band, ricordate con maggior piacere?

Matteo: La prima volta che abbiamo suonato insieme. Era il 1997, e Michele e Nicola vennero da me in una specie di lavanderia sotto casa, diventata poi la nostra attuale sala prove. In quell’occasione suonammo un po’ più seriamente del solito, e da lì è nacque tutto.

Nicola: Il primo pezzo suonato insieme fu Red Baron di Billy Cobham.
Lì partì tutto. È la particella di dio che sta cercando il CERN.

Michele: Per me l’esperienza migliore in assoluto è stata quella a Liverpool. Noi siamo appassionati di Beatles, ma al di là di questo l’ambiente del Cavern fu fantastico, un agglomerato di gruppi che venivano da tutta Europa. Quella è stata una belle esperienze più belle, forse la più bella che abbiamo fatto fino ad adesso, per me.

 

Mi piace che abbiate citato esperienze vostre individuali come band, piuttosto che l’apertura di gruppi importanti, o la partecipazione a festival.

Matteo: Noi non puntiamo sul palmares. La biografia, o il sito, riportano che abbiamo suonato con Iggy Pop, con i Queens of the Stone Age, con i Mudhoney, i Black Rebel Motorcycle Club, però a noi non interessa. Stiamo lavorando per il nostro futuro. Per un sano contratto discografico. Per il nostro lavoro, che vorrei tanto che fosse questo.
Cioè bere, fumare e suonare!

Nicola. E fare interviste e far diventar pazza l’intervistatrice.

 

Bel modo di diventare pazzi, non trovate?

Un ringraziamento speciale a Leo

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