Estopia capitolo X- La Mendicante


Capitolo precedente: Nella Città di Glossa

 

La Mendicante di A.Antonioni

Il giorno dopo, all’alba, lasciarono la locanda avviandosi alla Porta Ovest della città. Quando vi giunsero, una lunga fila di carri era allineata in attesa di attraversarla.

“Dove vanno tutte queste persone, Luthen?” Freyja aveva assunto di nuovo le sembianze di un ragazzo e trotterellava silenziosa al fianco dell’amica. Era una mattinata limpida.

“Sono mercanti, suppongo che vadano a vendere le loro merci nei paesi vicini…o forse vanno a rifornirsi di cianfrusaglie…Stammi vicino, non voglio perderti in questo caos!”

Freyja afferrò un lembo del mantello di Luthen e continuò a guardarsi intorno incuriosita. Non aveva mai visto carri dai colori tanto sgargianti a Belafois.

Ad un tratto, tra la folla le sembrò di scorgere un viso familiare.

Aguzzò lo sguardo…sì: era il giovane soldato! Il cuore di Freyja fece una capriola, davvero non sperava che avrebbe rincontrato la bella Guardia, soprattutto dopo il modo in cui Luthen l’aveva congedato.

Oggi però il giovane non indossava abiti militari, anzi…visto così lo si sarebbe detto un saltimbanco, un artista girovago. Aveva lo stesso mantello scarlatto del giorno precedente, sotto però, anziché la tunica e gli aderenti calzoni della divisa, portava una giacca ocra e dei pantaloni variopinti e il tutto era completato da un buffo berretto floscio con una lunga piuma. Visto nel dettaglio, il suo abbigliamento avrebbe potuto risultare eccessivo ma, nell’insieme, Freyja decise che aveva un che di affascinante: di ipnotico quasi.

Il giovane si accorse dello sguardo di Freyja e accennò un lieve inchino tra la folla, portandosi contemporaneamente l’indice alla bocca. Freyja comprese che la Guardia non voleva essere riconosciuta da Lidia e, interpretando quel desiderio come prudenza e paura, decise di assecondare la sua volontà così, increspando impercettibilmente le labbra in un sorriso, agitò piano la mano in segno di saluto.

“A chi sorridi?” Freyja trasalì: la voce di Luthen, oltre a suonare vicinissima, le era sembrata dura.

“A…a nessuno! Luthen, mi hai spaventato…”

“Smettila di guardarti intorno e cammina più svelta, dobbiamo attraversare la Porta senza dare nell’occhio.”

Freyja obbedì e presto furono completamente circondati dalla folla in movimento.

Le strade traboccavano di suoni e colori ma tra i mercanti e i viandanti Freyja non poteva ignorare anche testimonianze di dolore e sofferenza. Bambini denutriti si rincorrevano tra rigagnoli di sporcizia e cani pulciosi, donne discinte occhieggiavano ai passanti con fare lascivo, gli abiti dalle ampie scollature e dai molti rattoppi. L’attenzione di Freyja fu attirata da una vecchia cieca che sembrava un sacco nero posato in terra e chiedeva l’elemosina all’ingresso di uno stretto vicolo, con un bambino accovacciato a fianco. Lo sguardo del bambino esprimeva una tristezza ed una rassegnazione che Freyja non aveva mai nemmeno immaginato e, senza rendersene conto, si avvicinò di qualche passo. Il bambino stringeva tra le piccole mani quella che doveva essere stata una figurina intagliata e che ora era soltanto un logoro pezzo di legno. Quando Freyja si avvicinò ed incontrò i suoi occhi, il piccolo sussultò.

“Nonna, nonna! E’ venuta a salvarci!” Esclamò balzando in piedi e strattonando la gonna della vecchia. La mendicante rivolse a Freyja due occhi appannati. Il bambino, che poteva avere forse cinque anni, continuò rivolgendosi a Freyja.

“Divina Jörð, ti supplico, aiuta mia nonna che è cieca! Non abbiamo una casa, non abbiamo cibo, siamo soli io e lei…” Il bambino corse ad abbracciare le ginocchia di Freyja.

La fanciulla arretrò istintivamente, cercando di evitare quel contatto e volgendo lo sguardo indietro per cercare Lidia ma il piccolo mendicante insistette. “Divina Jörð aiutaci, cura mia nonna! Aiutaci!”

Freyja si chinò verso di lui “Ti sbagli piccolo, non so con chi tu mi confonda ma io sono soltanto un viandante…”

“Tu sei la divina Jörð, cacciata dalla città degli dei! Mia nonna mi ha raccontato di te. Ti prego, Signora della Verità, aiutaci!”

“Ma non vedi che sono un ragazzo? Cosa dici?” Freyja cercava senza successo di liberarsi dalla presa del piccolo straccione. La gente intorno si voltava ad osservare la scena incuriosita da quel trambusto. Finalmente, la voce di Luthen mise a tacere il bambino, pronunciando la parola basta con grande autorità. Con un movimento deciso lo allontanò da Freyja.

“Ti sbagli piccolo. Dì a tua nonna che si sbaglia.” E abbassò gli occhi sulla vecchia che, segnandosi la fronte con un gesto antico, richiamò il nipote.

“Ma lei è Jörð, io la riconosco…” Piagnucolò il ragazzino. Luthen gli afferrò il polso e, inginocchiatosi presso di lui, lo costrinse a guardarlo negli occhi neri.

“Questo è il mio compagno di viaggio, si chiama Roderick. Non sappiamo chi sia questa Jörð di cui parli ma tu e tua nonna non meritate l’esistenza che gli dei vi hanno riservato.”

L’orecchino di Luthen mandava bagliori sommessi. Il giovane estrasse dalla tasca un sacchetto di pelle, si alzò e si avvicinò alla vecchia. “Appena fuori dalla città c’è un palazzo antico che conosci bene. I signori che lo abitavano lo hanno lasciato da anni e le finestre sono tutte serrate. Non importa, tu bussa tre volte alla porta principale e quando il guardiano del palazzo ti verrà ad aprire consegnagli questo sacchetto di terra e digli che la pioggia ha lavato via il velo che ti copriva gli occhi. Lui accoglierà te e tuo nipote e sua moglie si prenderà cura di voi.”

La vecchia tremò e parlò in un sussurro indicando Freyja con un dito nodoso. “E’ un peccato mortale, signore, agire in un modo che nuoce agli dei…”

“Poiché tu sei riuscita a vedere oltre il buio che ti circonda, vecchia, io salvo te e tuo nipote da un amaro destino. Purtroppo, tu non puoi fare lo stesso per me.” E, rialzatosi, afferrò Freyja per una mano e la trascinò via.

Oltrepassarono la Porta Ovest senza che nessuno altro tentasse di fermarli e, una volta fuori da Glossa, Freyja si sentì finalmente sollevata. Era contenta per almeno tre motivi, il primo era che la prudenza e la diffidenza esasperata di Luthen l’avevano suggestionata e quell’incontro fortuito con i due mendicanti l’aveva turbata ed era ben felice di lasciare quella città. Il secondo era che continuavano a camminare in mezzo ad una folta schiera di persone che, per quanto esotiche potessero apparirle, le ricordavano molto i mercanti che inondavano la piazza di Belafois ogni prima domenica del mese. Il terzo motivo era…beh, davvero Freyja non sperava di rincontrare il giovane soldato e vederlo lì tra quei volti sconosciuti era stata una sorpresa. Si interrogò rapidamente sullo strano effetto che quel giovane le faceva: avrebbe dovuto temerlo, in fondo le aveva attaccate e a Lidia – decisamente – non piaceva ma qualcosa nel suo sorriso regalava a Freyja un’insolita euforia. Freyja si concentrò di nuovo sul paesaggio che la circondava ripensando ai due mendicanti che Luthen aveva aiutato.

“Certo, è curioso…” Ridacchiò. Luthen la guardò con aria interrogativa e Freyja proseguì.

“Quel bambino è venuto a pregare questa divina Jörð e, in fondo, le sue preghiere sono state esaudite.” Alzò i suoi occhi azzurri su Luthen e continuò. “E’ vero, sei stato tu a salvare lui e sua nonna ma, in un certo senso, questa Jörð, chiunque essa sia, ha esaudito le loro preghiere.” Sorrise. “Cosa hai dato alla vecchia?”

“La mia famiglia un tempo possedeva palazzi in tutta la terra di Henn. Anche a Glossa c’era una dimora per noi e, anche se da moltissimi anni è disabitata, la custodiscono ancora una coppia di servitori fedeli alla mia stirpe. So che sono ancora nel palazzo e riconosceranno il sacchetto con l’emblema del Regno che ho dato a quella mendicante. Contiene la terra della mia città che ha un odore inconfondibile per chi appartiene ad essa. E quella vecchia, non era una stracciona qualunque. Era una fattucchiera e non credo nemmeno che fosse così tanto vecchia come appariva. Non mi stupirei se qualcuno le avesse lanciato un maleficio, condannando lei e quel bambino ad un’esistenza di stenti. Non posso rompere un maleficio che non so da chi sia stato lanciato ma posso immaginare per loro una via alternativa. È quello che ho fatto.”

“Forse questa divina Jörð sei tu, Lidia…” Sussurrò Freyja sorridendo all’amica. “Sono contenta comunque che tu li abbia aiutati.”

Luthen non rispose e la marcia proseguì nel consueto silenzio.

Per pranzo non si fermarono: Lidia, al contrario di Freyja, non sembrava affatto sollevata dall’idea che tante altre persone percorressero la loro stessa strada, quindi insistette per andare avanti anche quando quasi tutti i mercanti si accamparono per consumare il loro pasto.

Man mano che la folla si diradava, poi , Lidia iniziò a deviare un poco dal sentiero segnato, addentrandosi fra gli arbusti che lo costeggiavano.

“Luthen, ma…perché?” Si lamentò Freyja.

L’altro, ovviamente, non si prese il disturbo di rispondere e continuò ad avanzare tra i cespugli sempre più ingombranti.

Freyja ricominciò ad arrancare.

“Pensi davvero che camminare in mezzo ai mercanti possa essere così rischioso per noi?”

Silenzio.

“Nessuno ci ha rivolto nemmeno la parola!”

Luthen si voltò appena a guardare il suo compagno di sfuggita.

“Tutte queste domande sono inutili: io conosco la strada, io conosco i pericoli. Non sarà per un pagliaccio variopinto che gioca a fare il soldatino che metterò a rischio la mia missione.” Riprese a guardare avanti a sé.

“Davvero non pensavo che tu potessi essere così ingenua.” Concluse amaramente.

Freyja avvampò sentendosi colta in flagrante; come aveva fatto Lidia ad accorgersi che la Guardia le stava seguendo? Eppure era stata attenta a non guardarlo mai esplicitamente, a non cercarlo con lo sguardo, era sempre rimasta dietro a Luthen…Si sentì improvvisamente umiliata e molto in collera con l’amica che la trattava con tale, sprezzante, distacco. Prima che potesse controllare il movimento del suo collo, voltò la testa per avere l’amara conferma che il giovane soldato le aveva perse.

Fu un attimo ma fu certa che Lidia se ne fosse accorta perché sentì come un brivido sfiorarle la schiena.

Chissà quanto erano lontane dalla meta e chissà se la collera di Lidia si sarebbe prima o poi sfogata anche su di lei. Man mano che i giorni passavano Freyja la vedeva cambiare, diventare più cupa, più rigida. Era più severa del solito anche con lei, ove ciò potesse mai essere possibile! Freyja aveva avuto modo di sperimentare fin dove potessero spingersi i poteri dell’amica e come, a volte, sembrasse perdere contatto con la realtà: in fondo, se davvero l’avesse fatta infuriare, Lidia avrebbe potuto sbarazzarsi di lei senza tanti complimenti…

Una mattina, alcuni giorni dopo aver deviato dal sentiero principale, Freyja era immersa in questi pensieri nefasti. Ormai Lidia le parlava a stento e solo per impartirle qualche ordine. La lingua di Freyja era così fuori allenamento che a volte si ritrovava a parlare da sola…nella propria mente. Depressa e preoccupata rabbrividì al pensiero che l’amica potesse essersi pentita di averla condotta fin lì e decidesse di eliminarla. Immersa in tali foschi presagi, non si accorse che Luthen si era fermato e finì con l’andare a cozzare contro la sua schiena.

“Come puoi temere che ti farei del male, Freyja?” La voce di Luthen, dopo tante ore di inattività le sembrava più profonda.

“Mi…mi hai letto nel pensiero!” Improvvisamente, uno slancio di amor proprio la fece trasalire, nonostante la prostrazione. Freyja aggirò l’amica e andò a piantarsi davanti a lei. “Non devi leggermi nel pensiero! Non farlo più, capito?! Non è giusto…”

Il pallore sulle guance di Luthen assunse per un attimo una sfumatura meno intensa e i suoi occhi sfiorarono il terreno. “Non volevo leggerti nel pensiero…scusami…a volte non me ne accorgo nemmeno, è come se i tuoi pensieri mi attraversassero la mente…a volte li confondo con i miei…”

“E’ così che hai capito che avevo visto il giovane che ci ha aiutato l’altro giorno!” Freyja alzò la voce, arrossendo.

Gli occhi di Luthen mandarono un lampo verde che Freyja aveva imparato a riconoscere: quando provava un’emozione difficile da controllare, sembrava che Lidia cercasse di liberarsi di quelle sembianze provvisorie.

“Come puoi pensare che potrei perdere il controllo al punto di farti del male?!” Luthen sembrava sinceramente turbato.

“Non lo penso sul serio…”. Cercò di mentire Freyja ma lo sguardo dell’amica la convinse a cambiare strategia: mentire con Lidia era assurdo, neanche Freyja si spiegava perché, ma sentiva che, con l’amica, l’unica arma di cui disponeva era la completa sincerità e la totale fiducia che si potevano leggere nei suoi occhi. Quindi smise di cercare di recitare.

“Non vorrei pensarlo, perché ti amo e so che anche tu mi vuoi molto bene. So che non mi faresti mai del male intenzionalmente, sono sicura che se potessi scegliere, sacrificheresti te stessa per evitare che mi venisse torto un capello…tuttavia…”. Alzò lo sguardo fino ad incontrare gli occhi di Luthen. “…a volte, solo ultimamente in realtà, però…mi è capitato di avere un paura di te.”

Abbassò di nuovo lo sguardo, mortificata. Sentiva di aver ferito l’amica e capiva di averlo fatto ingiustamente: Lidia l’aveva sempre, sempre protetta. Eppure ora, in certi momenti, le capitava di temere queste sue nuove sembianze. Era come una nuova versione di Lidia, che conservava solo alcune delle caratteristiche dell’originale e che ne aveva una quantità di sconosciute.

Si aspettava che Lidia la rimproverasse, si aspettava che le rinfacciasse la sua poca gratitudine o, semplicemente, che le riservasse uno dei suoi commenti infastiditi. Per questo, quando sentì le braccia di Luthen che le cingevano le spalle rimase senza fiato.

L’abbracciò per un interminabile minuto, fu l’abbraccio più lungo che Freyja avesse mai ricevuto, soprattutto da un ragazzo (anche se Luthen, in fondo, non era proprio un ragazzo) e Freyja ne fu talmente sorpresa che non riuscì a ricambiarlo.

“Detesto averti coinvolto in questa storia…non avrei mai dovuto portarti con me.” Continuò a stringerla. “So che hai paura, percepisco i tuoi pensieri, le tue emozioni…sono molto confuse ma le sento e, credimi – aggiunse giustificandosi – non lo faccio di proposito. Ho avvertito la tua paura, in questi giorni: è iniziato come timore per me ma ha finito per trasformarsi in timore di me ma questo è soprattutto perché sai molto poco di me, Freyja, e io non ti aiuto a fare chiarezza.” La scostò delicatamente per guardarla. “Però credimi, io mai e poi mai ti farei del male…” Una luce triste, dolorosa scaldava il nero degli occhi del giovane. Freyja ebbe la sensazione che fosse terribilmente stanco e, senza riflettere, prese quel viso fra le mani e lo avvicinò al suo finché le loro fronti si sfiorarono.

“Sono soltanto egoista…non voglio che tu debba preoccuparti dei miei assurdi capricci. Sento la tua stanchezza e non voglio aggravarla…non ho paura di te.” Le mani di Freyja scivolarono tra i capelli di Luthen e l’azzurro dei suoi occhi accolse, commosso, le emozioni sospese nello sguardo di lui.

Lentamente, senza che nessuno dei due capisse ciò che accadeva, i loro volti si accostarono di nuovo e, questa volta, gli occhi si chiusero lentamente mentre le labbra si univano, pianissimo.

Nascosto tra i fusti degli alberi, la Guardia con i suoi abiti variopinti vide due figure abbracciate, una era la sagoma alta e scura di Luthen e l’altra era piccola e con una montagna di riccioli biondi che le ricadevano sulle spalle: era Freyja. Un sorriso troppo ampio, crudele attraversò il volto del giovane prima che la consueta, cordiale espressione si ricollocasse lì dove era stata per tutti i giorni precedenti.

“Bene, ci rincontriamo signori e prima di quanto avessi sperato!” Il soldato avanzò tra gli arbusti parlando a voce molto alta.

Freyja si staccò da Luthen bruscamente, solo per trovare nei suoi occhi un’espressione incredula e agitata. Fu un attimo, l’attimo dopo Luthen affrontava il nuovo arrivato con uno sguardo furioso.

Freyja abbassò gli occhi confusa e imbarazzata, portandosi le mani alla bocca. In tutto ciò, c’era qualcosa di strano, abbassò di più lo sguardo fissando il suo corpo…

“Luthen!” Gridò. “Guardami…guardami!”

Il compagno si voltò rapidamente e non poté che constatare che Freyja aveva recuperato le sue sembianze originarie.

“Temo che la vostra magia si stia indebolendo Messer Mago!” Lo apostrofò il giovane avanzando verso Freyja. “Io trovo che questa forma vi si addica molto di più madamigella.” E così dicendo fece un profondo inchino e prendendole la mano, la baciò delicatamente.

L’orecchino al lobo di Freyja mandò un lampo scuro e, guardando Luthen, Freyja comprese la profonda sconsideratezza del giovane paggio. Gli occhi di Luthen erano stati come risucchiati dal nero della notte, le pupille si erano fuse con l’iride, tutto era oscurità…era come se non ci fosse più niente, oltre quel corpo, come se il suo sguardo fosse vuoto. Istintivamente, senza che potesse opporsi a quella improvvisa volontà, Freyja si lanciò davanti alla Guardia, frapponendo il suo corpo tra il giovane sconosciuto e l’amico.

Dal corpo di Luthen si liberò qualcosa che somigliò a un’onda e che, per un momento, incrinò il mondo circostante. Freyja era pietrificata, in un attimo seppe che sarebbe morta.

Questo pensiero le attraversò la mente con inspiegabile distacco mentre, le spalle rivolte al giovane, fissava, con occhi sgranati, la gigantesca massa di energia che avanzava verso di lei.

Sarebbe morta e forse era una punizione giusta per tutto lo scompiglio che aveva creato. Tutto sembrava aver preso una piega assurda, e la rapidità di quella evoluzione la stordiva.

L’impatto dell’onda fu devastante, ma già il fatto di avvertirlo le fece capire che qualcosa di non previsto fosse accaduto. Mentre veniva proiettata a terra vide gli alberi che la circondavano evaporare: non bruciare, né frantumarsi, semplicemente: svanire. Cadde a terra e sentì il suono cupo dell’onda emanata da Luthen vibrare nelle profondità più ancestrali della terra. Chiuse gli occhi e aspettò che l’inevitabile la raggiungesse.

Ma a raggiungerla non fu altro se non la traballante figura di Luthen che si lasciò cadere in ginocchio accanto a lei. Sentì le sue mani sollevarla ma non riuscì a capire se i suoi occhi fossero davvero aperti o se stesse osservando la scena da un altro luogo. Lo sguardo di Luthen era una maschera inintelligibile: sembrava che avesse versato lacrime di colore nero perché le sue guance erano solcate da spesse tracce scure.

“Freyja, ti prego…” Luthen parlò nella lingua della sua magia ma Freyja, stranamente, la comprese. Per un attimo, nel buio dei suoi occhi, intravide lo sguardo di Lidia. “Ti prego…”

Senza capire come, Freyja sentì il suo corpo reagire a quel richiamo e sussultò. Sentì la stretta di Luthen e avvertì il gran calore che il suo corpo inginocchiato emanava. Ascoltò la sua voce profonda parlare la lingua antica che aveva già sentito da Lidia, immaginò una luce puntiforme, quasi una pioggia, si sentì come sospesa fuori dal tempo e avvertì, con una consapevolezza che la sorprese, una vita diversa scaturire da ogni parte del suo corpo. Poi, lentamente, tutto fu buio e Freyja non sentì più nulla.

 

Capitolo successivo: Il Volo

Illustrazione originale di Antonella Antonioni per Estopia, diritti riservati.

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