Estopia capitolo XI – Il Volo


Capitolo precedente: La Mendicante

 

Il Volo di A. Antonioni

L’azzurro intenso e il vento freddo le facevano credere di trovarsi in cima al picco di Lys in una chiara mattina di inizio inverno. Sentiva i capelli sferzare sulla sua schiena e la veste attraversata dall’aria gelida che le tagliava il viso e le riempiva mani e polmoni. La luce le impediva di aprire gli occhi e rimase per un lunghissimo momento con le palpebre serrate contro il bianco abbagliante.

Ad un tratto, provò una sensazione strana, come se stesse dormendo e qualcuno cercasse di svegliarla; si fece forza e aprì una fessura: da dove veniva tutto quel vento? Forse davvero era sul picco di Lys e fino a quel momento, aveva solo sognato.

Con sua enorme sorpresa, aprendo gli occhi, Freyja vide un’immensa distesa di azzurro misto a vapore che le turbinava incontro ad una velocità sorprendente. Sollevò le mani e fu come metterle a contatto con un’intensa corrente d’acqua. Era possibile che…?

Abbassò lo sguardo e si accorse che sotto di lei, un enorme figura argentea sfrecciava tra le nuvole, quasi inconsapevole della presenza di Freyja sul suo dorso.

Freyja lanciò un grido ma l’aria sibilava con tale violenza che non riuscì a sentire la propria voce.

La udì il drago, invece, che per un momento ruotò la grossa testa rivolgendole uno sguardo con le sue pupille di ghiaccio. Freyja trasalì.

“Hai paura Freyja?” Il drago guardava di nuovo dinnanzi a sé, puntando una meta invisibile per Freyja, che non osò rispondere.

“Hai paura?” La grossa bestia provò di nuovo a voltarsi e Freyja finalmente gridò.

“Chi sei?! Dove…dove mi trovo? Dov’è Lidia?!”

Il drago rispose.

“La tua amica ti ha quasi ucciso, ora io ti sto salvando, riconducendo l’anima al tuo corpo.”

“Non voleva farmi del male…voleva proteggermi!” Protestò Freyja.

“La tua amica ha uno strano modo di proteggerti.” Freyja tacque.

“Chi sei?”

“Tu mi temi, fanciulla, sento la tua paura ma io sono la cosa più vicina ad una vera protezione in cui ti imbatterai per molto tempo…scegli con attenzione dove riporre amore e fiducia. Non tutto quello che crediamo degno di questi sentimenti lo è veramente.”

“Vuoi dire che non dovrei fidarmi di Lidia? Per l’attacco che ho subito? Ma tu non sai chi è, non la conosci…”

“Tu, invece, sì? Credi davvero di conoscere la tua amica?”

“Lidia è vicina al mio cuore sin da quando ero solo una bambina…il suo potere è grande, ma io so che mi ama, so che mi protegge.” Sentì il peso familiare dell’orecchino tremolarle sulla guancia e il collo. “L’orecchino che mi ha donato, è un oggetto magico che ha un grande potere e anche se non so capirlo, Lidia me l’ha dato perché vegliasse su di me…perché le segnalasse quando sono in pericolo…”.

“Ciò che dici è vero: quello è un oggetto pericoloso e molto antico il cui potere risale alla creazione della terra di Henn. Il cristallo che vi risplende è un Hòddmimir nativo, una pietra che possiede facoltà enormi, così molteplici che nemmeno io posso enumerarle tutte. Essa può captare i tuoi stati d’animo e amplificarli. In un modo arcano e sconosciuto, è un indicatore dei tuoi sentimenti e permette alla tua amica, che è in grado di catalizzarne l’energia e di controllarla, di avere una visione parallela alla tua. Quella pietra che, senz’altro, ti sta proteggendo, offre anche a chi te l’ha donata un’ampia panoramica di ciò che provi, di quello che senti e…sì, mia ingenua fanciulla, di quello che pensi.”

Fu come se la mente di Freyja venisse penetrata dal vento ghiacciato che le frustava il corpo. Era vero quello che stava dicendo quell’essere mostruoso? Era davvero così che Lidia leggeva la sua mente? Ma…perché? Perché mai avrebbe dovuto farlo? Perché le mentiva?

“Chi sei tu?” Ripeté Freyja, in un sussurro.

“Io sono un custode. Sono il potere sprigionato dall’ Hòddmimir e obbedendo all’incantesimo di colei che mi ha evocato, veglio sul tuo viaggio.

Ella è combattuta, quando davvero giungerà il momento della resa dei conti, non giudicarla solo per quello che vedi.

Ella è combattuta e affronta una lotta costante che la sfianca nel corpo e nella mente. Quando il momento sarà giunto, non giudicarla per quello che vedi perché ella pagherà per te un prezzo molto alto”.

Pronunciando queste parole, l’essere gigantesco sfrecciò tra due nuvole spesse. Quando le ebbero attraversate, la visione che sì rivelò ai suoi occhi lasciò Freyja senza parole.

Sospeso nell’aria, tra nembi imponenti e nubi di pioggia, stava un gigantesco masso sulla cui sommità risplendeva imponente una scintillante fortezza di pietra. Freyja non aveva mai nemmeno immaginato niente del genere e dovette aggrapparsi alla pelle squamosa dell’animale per non precipitare nel vuoto.

L’enorme visione sembrava avanzare verso di loro, anche se, in realtà, era il drago a volarle incontro. Nonostante la velocità sorprendente a cui si avvicinavano, Freyja riusciva a distinguere i possenti merli e i bastioni di pietra della fortezza. Vide le alte guglie del castello che troneggiava al centro della costruzione risplendere, sbucando tra le nuvole ammassate sulla sua cima: sembravano luccicare, colare oro puro. Quando furono ancora più vicini e Freyja temette che avrebbero finito per schiantarsi su quelle mura poderose, vide che il castello e la fortezza erano avvolti da una nebbia iridescente che ne rendeva i contorni indefiniti e, quando una ventata più intensa delle altre le rovesciò sul viso la una quantità di piccole gocce luminose, Freyja comprese che la nebbia non era altro che pioggia: sulla gigantesca sagoma sospesa nel cielo si stavano riversando tonnellate d’acqua, ettolitri di pioggia sferzante. Una visione che, fino a quel momento, Freyja non avrebbe nemmeno saputo immaginare.

In un attimo, fu sopraffatta dal panico e gridò, o tentò di farlo, abbassandosi col viso fino a sfiorare le squame fredde del drago.

“Fermati, fermati!” Implorò.

Ora volavano più bassi, puntando le mura del castello. Sfrecciarono attraverso un gruppo di nubi nere che si stagliarono ad impedirle la visuale. Freyja non riusciva a respirare, sentiva le scariche dell’elettricità contenuta nelle nuvole gonfiarle i capelli, sfiorarle il viso come un velo…

Una volta usciti dal mucchio di nubi Freyja intravide, sull’imponente parete del castello, un’apertura che si ingrandiva, come una finestra. Nonostante la paura, riconobbe in quella scena qualcosa di familiare. Sollevò un poco la testa aguzzando lo sguardo. C’era qualcosa…quella finestra…

Il drago divenne improvvisamente più scuro, la sua pelle, le sue squame argentee divennero grigie; Freyja fissò intensamente di fronte a sé…all’improvviso mise a fuoco una minuscola figura che si muoveva all’interno della finestra spalancata e…

“Aaaaaaaaaaahhhhhhh!” Gridò con tutto il fiato che le rimaneva nei polmoni dopo quel volo che sembrava non dover finire mai.

Un’altra Freyja, piccola, terrorizzata in una misera camicia da notte, stava fissando il drago, attraverso l’apertura nel muro della sua camera di Belafois. Fu un attimo, l’attimo dopo, la figura alta di Lidia…no!

Non era Lidia, era Luthen che avanzava verso il drago, stendeva le braccia e dalle sue mani scaturivano lampi verdi…

Freyja lanciò un altro grido, acuto, lancinante e, improvvisamente, spalancò gli occhi.

Il cielo azzurro, la luce tiepida del sole, il verde delle cime di un gruppetto di alberi. Freyja comprese di essere distesa sulla schiena, provò a sollevarsi ma non trovò nessuna forza nel suo corpo. Mosse impercettibilmente la testa. In un attimo, il volto pallido di Luthen, su cui però spiccavano gli occhi verdi di Lidia pesantemente cerchiati, con i capelli più in disordine del solito ed un sorriso incerto, la scrutò a disagio.

“Sei tornata.”

Freyja immaginò di aver dormito per giorni. Sentiva Lidia curarla, lavarla, nutrirla, vegliarla recitando le sue strane litanie. Ma il sole sorse e tramontò più di una volta prima che lei riuscisse a tirarsi a sedere e poi ad alzarsi e a camminare. Capiva che Lidia aveva fretta di rimettersi in marcia e si chiese cosa, in fondo, la trattenesse dal ripartire. Freyja? Dopo la visione avuta nel coma, Freyja aveva compreso che il compito di Lidia era di una gravità che andava oltre la loro stessa amicizia, per quanto profonda questa potesse essere. La sua missione doveva compiersi, con o senza Freyja e lei stessa si stupì che l’amica non usasse su di lei uno di quegli incantesimi del sonno, che fanno addormentare senza mai svegliarsi, per poter procedere senza dover attendere la lenta ripresa di Freyja. Ma Lidia non se ne andò, si prese anzi cura di lei come nemmeno una madre avrebbe fatto. Freyja si chiese se fosse solo il rimorso di averla quasi uccisa…si chiese che fine avesse fatto la Guardia, ripensò al drago e alle sue parole ma quelle sembravano affondare in un luogo sempre più remoto della memoria. Seppe di aver visto la reggia di Lidia, nel Paese della Pioggia. Seppe di aver visitato sé stessa, indietro nel tempo prima ancora che partisse alla ricerca di Lidia. Il drago aveva viaggiato attraverso le dimensioni per ricondurre la sua anima al suo corpo prima che intraprendesse quel viaggio oscuro. Il drago, attirato dall’orecchino che Lidia le aveva donato e che lei la sera della tempesta a Belafois aveva sfiorato in cerca di conforto, aveva cercato di ricondurla indietro nel tempo, verso quel corpo che non era ancora partito e che, forse, forte della consapevolezza data dall’esperienza, non sarebbe partito mai. Il drago aveva cercato di offrirle una seconda opportunità: questo Freyja, forse trascesa ad un livello di consapevolezza superiore, riusciva a capirlo. Ciò che non capiva era perché Luthen si fosse opposto alla discesa del drago verso la Freyja di quella sera. Quella sera Freyja aveva avuto la certezza che Lidia l’avesse protetta dal drago ma ora che sapeva che il drago stava cercando di salvarla, non riusciva a capire perché Luthen lo avesse allontanato.

Non parlò mai, durante quella convalescenza. Sapeva che l’Hòddmimir permetteva a Lidia di percepire i suoi pensieri e lasciò che la sua amica leggesse da sola le domande, i dubbi ma anche la nuova consapevolezza che le attraversavano la mente.

Nemmeno Lidia – o Luthen – parlò mai, limitandosi a tenere Freyja in vita e cercando di rimetterla in piedi, recitando senza sosta i suoi incantesimi di guarigione.

E Freyja, lentamente, iniziò a guarire, almeno nel corpo. Appena fu in grado di rimettersi in viaggio, Lidia la fece ripartire.

Da quel momento, però, iniziarono a spostarsi solo col buio e, poiché Freyja non era in grado di camminare speditamente, Luthen la portava sulle spalle per lunghi tratti. Non aveva più tentato di mutarla in un giovane, aveva lasciato che conservasse il suo aspetto, forse, pensò Freyja, perché il suo corpo era troppo debole per subire una trasformazione. Tuttavia non chiese nulla e per molti giorni non fu in grado di agire autonomamente. Riusciva a tenere gli occhi aperti e a guardarsi intorno lungo il cammino, si teneva aggrappata debolmente alle spalle di Luthen mentre avanzavano nella boscaglia fitta. Quando l’alba spuntava, Luthen cercava un luogo riparato, ammucchiava un po’ di foglie e fiori per creare un giaciglio e ve la deponeva, lì Freyja dormiva a lungo, senza sognare perlopiù e, di rado, subendo visioni confuse e agitate. Spesso, si svegliava di soprassalto per trovare Luthen accovacciato accanto a lei intento a recitare la consueta, sommessa litania. Non seppe mai quanto a lungo rimase in quello stato, per Freyja quello fu un momento che sfuggì alla realtà. Fu come se soltanto una parte di lei si fosse destata e un’altra parte vagasse ancora in qualche luogo del suo inconscio. Freyja non vide più la Guardia e si convinse, infine, che Luthen l’avesse uccisa.

 

Era un mattino insolitamente fresco quando per la prima volta dopo la lunga pausa, Freyja si sorprese di riuscire di nuovo ad articolare le parole. Erano accampati all’ingresso di una piccola grotta, nascosta dal sottobosco. Freyja giaceva distesa e vedeva la sagoma di Luthen contro la luce, all’imbocco della cavità. Per un momento le parve che il mantello che copriva le spalle del giovane fosse composto di sottili ciocche di capelli neri, alzando appena lo sguardo, ebbe la sensazione di vedere Lidia, intenta a scrutare la radura fuori.

“Lidia!” Udì la sua voce sussurrare, prima ancora di rendersene conto.

Con uno scatto, Luthen si voltò. Il suo viso appariva teso ma lui era calmo, o stanco. Freyja non riuscì a capirlo. Era felicissima di aver parlato!

Luthen si avvicinò. “Iniziavo a pensare che non volessi più rivolgermi la parola.” Scherzò accarezzandole piano i capelli.

Freyja cercò di sollevarsi a sedere, era ancora debole, lui la aiutò. Quindi, con grande concentrazione parlò di nuovo: “Luthen…anch’io…iniziavo a temere che mi avessi lanciato un maleficio perché non volevi più essere disturbato!” La sua voce era molto fioca ma era la sua voce e Freyja la riconobbe con commozione.

“Purtroppo queste non sono le condizioni adatte perché tu ti possa riprendere in fretta: dopo l’attacco che hai subito dovresti rimanere immobile, a riposo assoluto, curata con medicine e incantesimi che inducono il sonno ma io…non sono in grado di fermarmi ora e anche se potessimo, sarebbe troppo rischioso avventurarsi in una città adesso. Probabilmente sei più al sicuro con me e le mie maldestre cure. Tuttavia, tutto questo tempo…avevo paura che non saresti riuscita a riacquistare le tue energie: iniziavo a preoccuparmi.” Luthen aveva parlato d’un fiato e all’improvviso si interruppe e abbassò lo sguardo. “Freyja, perdonami, ti prego…avrei potuto ucciderti.”

Freyja posò delicatamente la sua mano su quella del giovane. “Luthen, non scusarti…volevi solo proteggermi, è stato un incidente.”

Socchiuse gli occhi, ricordava poco di quel giorno ma c’era qualcosa che l’aveva colpita profondamente, qualcosa che non riusciva a mettere a fuoco…qualcosa di cui doveva parlare a Lidia.

D’un tratto ricordò.

“Luthen! Quando sono svenuta ho fatto uno strano sogno, ero a cavallo di un drago parlante e volavo tra le nuvole verso la notte del diluvio a Belafois, la notte prima che partissi per venire a cercarti, al Picco di Lys. Quella notte, ricordi, tu – Lidia – ricacciasti quella visione mostruosa apparsa tra le nuvole…io ero convinta che mi avessi salvato ma ora so che il drago non voleva nuocermi! Che strano sogno ho fatto, Luthen! E’ stato come osservarmi dal di fuori, ho perfino sentito la mia voce!” Le guance di Freyja si erano colorite, mentre parlava, quelle di Luthen, invece, erano più pallide.

“Hai subito un urto d’energia molto intenso, Freyja, non lasciarti impressionare dalle sensazioni che hai provato in quei momenti, non eri in te, credimi.”

Luthen parlò piano, scandendo con cura le parole. Con il dito indice disegnò per tutta la sua lunghezza il sopracciglio sinistro di Freyja ed improvvisamente il drago e quel volo da togliere il fiato sembrarono pensieri di nessunissima importanza.

 

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Illustrazione originale di Antonella Antonioni per Estopia, diritti riservati.

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