Officina Pasolini: a Bologna una mostra da non perdere


C’è ancora tempo fino al 28 marzo per vedere la mostra Officina Pasolini, allestita al MAMbo di Bologna nell’ambito del programma Più moderno di ogni moderno, dedicato all’artista dalla sua città natale nel quarantesimo anniversario della morte. E ne vale davvero la pena, perché il percorso realizzato dalla Cineteca in collaborazione con l’Università e l’Istituzione Bologna Musei è quanto di meglio si possa trovare per avvicinarsi a un autore così poliedrico e originale.

Il filo conduttore della mostra è proprio l’eclettismo di Pasolini, quell’urgenza espressiva che lo ha portato a servirsi di discipline molto diverse tra loro con efficacia sempre notevole: Officina Pasolini le esplora tutte, dalla poesia al cinema, dal romanzo alla scrittura giornalistica.

Prima di tutto però la mostra offre una panoramica sul Pasolini uomo: all’inizio del percorso espositivo, infatti, sono presentati alcuni documenti che raccontano i passaggi principali della sua vita, dall’atto di nascita alle pagelle scolastiche, passando per alcune pagine in cui l’autore tratteggia con lucida sincerità le figure più importanti per la sua formazione, a cominciare dal professore universitario e storico dell’arte Roberto Longhi.

Lo spazio successivo è l’ambiente centrale di Officina Pasolini: una grande sala dedicata alle principali tematiche che attraversano l’opera pasoliniana, definite simbolicamente Miti. Il Friuli, la madre, la figura di Cristo, la tragedia classica, le borgate e i popoli lontani diventano così le direttrici sulle quali è costruita un’esposizione potente, che calamita l’attenzione del visitatore in un continuo rimando tra immagini, parole da leggere e ascoltare, oggetti e costumi di scena.

Con il naso all’insù, in uno spazio effettivamente allestito come una cattedrale, ci si perde tra un’infinità di stimoli, per poi ritrovarsi nella coerenza della poetica di Pasolini, che emerge netta nonostante la complessità e la diversificazione della sua produzione artistica. Il merito è da attribuire senz’altro ai curatori Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli, che sono riusciti a realizzare un’esposizione in grado di parlare a tutti i pubblici senza per questo dover semplificare a forza il discorso pasoliniano.

Dalla sala dei Miti si accede a una serie di ambienti laterali più piccoli – le nicchie della cattedrale – che portano l’attenzione del visitatore sugli oggetti principali dell’analisi e della contestazione intellettuale di Pasolini: la società dei consumi, in una sala che ripercorre la sua attività di giornalista/saggista per il Corriere della Sera; le visioni, la borghesia e la televisione, in tre spazi ribattezzati gironi con un rimando evidente al film Salò o le 120 giornate di Sodoma.

Il coinvolgimento emotivo e inconscio della sala dei Miti diventa qui razionale, intellettuale: anche uno sguardo superficiale come quello reso possibile da una mostra apre uno squarcio sull’attualità delle intuizioni di Pasolini, sulla sua capacità – divenuta evidente e quindi riconosciuta dai più solo dopo il suo omicidio – non solo di spiegare con piglio antropologico, ma anche di anticipare cambiamenti sociali che si sarebbero verificati soltanto nei decenni successivi.

Prima di concludersi ricordando con sintesi estrema – e forse un po’ eccessiva – i nomi degli innumerevoli artisti che nel corso del tempo si sono ispirati a Pasolini o ne hanno fatto l’oggetto della loro opera, i curatori di Officina Pasolini invitano a entrare nel Laboratorio Petrolio, sala dedicata all’ultimo romanzo pasoliniano, rimasto incompiuto al pari del progetto cinematografico Porno-Teo-Kolossal.

In questo spazio, che occupa significativamente il posto dell’altare/cripta seguendo la metafora della cattedrale, il visitatore può fermarsi a riflettere sul parallelismo tra la vivacità dell’opera di Pasolini, in continuo divenire prima della brusca interruzione finale, e la sua capacità critica nei confronti della società, scandagliata nei suoi aspetti più oscuri e profondi con la forza dell’intuizione intellettuale.

Questa capacità di colpire nel segno, di denunciare apertamente il mutamento antropologico e la decadenza morale del nostro Paese e della sua classe dirigente è forse la principale eredità dell’artista, così come probabilmente è stata la causa della sua morte. Un intellettuale indipendente, feroce e nemico del potere era scomodo nell’Italia di allora come in quella di oggi, che tenta di fagocitarlo banalizzando i contenuti della sua opera. Ma la mostra Officina Pasolini va in direzione contraria, offrendo una visione complessiva, stimolante e pienamente all’altezza della produzione artistica pasoliniana. Da non perdere.

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