Per non dimenticare: Pio La Torre e Rosario Di Salvo, trent’anni dopo
Sono passati trent’anni da quel tragico 30 aprile 1982. La Mafia uccise Pio La Torre e Rosario Di Salvo, per ridurli al silenzio, per eliminare l’altra politica, quella onesta che denunciava già allora (ma era una voce nel deserto) le pericolose commistioni tra colletti bianchi e Cosa Nostra.
Pio La Torre, avendo vissuto la Mafia prima nelle occupazioni delle terre dei contadini siciliani per far applicare i decreti Gullo e poi nella camera del Lavoro di Corleone, successore di quel Placido Rizzotto di cui quest’anno sono state ritrovate le spoglie dopo oltre sessant’anni, conosceva meglio di altri sin dove poteva incunearsi il crimine organizzato e sapeva su quali amicizie poteva contare: Pio La Torre conosceva la Mafia, ma sapeva anche come contrastarla. Dal basso, insieme ai contadini che reclamavano i loro diritti; e dall’alto, nel Parlamento siciliano e in quello italiano, per un contrasto politico e non solo giudiziario-repressivo della mafia.
Per chi gli eventi del 1982 li ha letti solo sui libri di Storia, egli potrebbe apparire come uno politico come un altro sacrificato sull’altare dell’antimafia. In realtà, la sua eredità è immensa, tangibile ed estremamente ricca. Ricca di persone, lavoro e legalità. Quelle cooperative che ogni giorno, passo dopo passo, costruiscono un futuro diverso e un’alternativa di società sono il frutto della sua battaglia, della legge a lui intitolata, la legge Rognoni-La Torre, la quale per la prima volta istituisce il reato di associazione mafiosa nell’ordinamento italiano (art. 416 bis).
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