Diritti violati


La questione delle carceri italiane, con i suoi 67.000 e oltre detenuti (circa 22.000 in più di quelli effettivamente ospitabili), è tornata alla ribalta l’estate scorsa. Dopo l’appello del presidente Giorgio Napolitano, che denunciava una “prepotente urgenza”, sollecitato dallo sciopero della fame del leader radicale Marco Pannella, la questione carceri ha iniziato ad avere una crescente visibilità mediatica.

Ma è solo il sovraffollamento il problema del sistema carceriario italiano?

Prima di tutto da questo derivano condizioni igieniche inadeguate e la silenziosa piaga dei suicidi; nel 2011 sono stati 66, più 23 per cause da accertare su un totale di 186 morti in carcere. (dati associazione Antigone)

A tutto questo va unito uno stato permanente di sottorganico degli operatori carcerari: polizia penitenziaria ma anche psicologi, psichiatri, infermieri; anch’essi vittime di un sistema che spesso li lascia in condizioni di lavoro inaccettabili dal punto di vista psicologico oltre che pericolose.

In un paese in cui si accetta il principio della presunzione di innocenza è poi curioso notare come i detenuti in attesa di primo giudizio al 30 settembre 2011 siano 14.639 mentre i detenuti con condanna definitiva siano soltanto 37.213 sul totale.

Al di la dei dati, quello che ci si domanda è se sia ancora valida l’idea che il carcere serva a rieducare o sia invece una sorta di discarica sociale in cui si cerchi di dimenticare gli indesiderabili. Solo 18.391 persone scontano la pena con misure alternative al carcere; misure che andrebbero potenziate nei confronti di chi si avvicina al fine pena, se davvero si vuole lavorare per favorire il rientro di queste persone nella società.

In questa direzione sembra andare il neo ministro della giustizia Paola Severino, con la sua proposta del decreto “svuota carceri”.

Di cosa si tratta? Della possibilità per i detenuti a cui restano gli ultimi 18 mesi di pena di trascorrerli ai domiciliari. Questo, si è calcolato, farebbe uscire tra le 3000 e le 3500 persone. Certo, ancora troppo poco per risolvere il problema, sarebbe giusto una boccata di ossigeno.

C’è poi lo scandalo rilevato, lo scorso giugno, da un’inchiesta parlamentare sugli ospedali psichiatrici giudiziari: strutture fatiscenti e inadeguate, condizioni di vita disumane e degradanti e il 40% degli internati trattenuto per deroga, cioè a pena già scaduta.

Queste strutture fortunatamente saranno definitivamente chiuse entro il 2013 e anche se i lavori della commissione non sono finiti, i primi provvedimenti, anche legali, sono già stati presi.

Se il livello della civiltà di un paese si comprende dalle sue carceri, c’è da domandarsi che tipo di paese siamo stati e cosa vogliamo diventare. Porsi il problema dello stato delle patrie galere non è solo un atto di civiltà, o di umanità; ma dobbiamo comprendere che è prima di tutto un atto di legalità; una legalità infranta che per troppo tempo non abbiamo voluto vedere, una violazione cosciente dei diritti umani per i quali, d’altro canto, ci siamo invece sempre, giustamente, battuti.

Il Gruppo EveryOne, per la cooperazione internazionale verso la cultura dei diritti umani chiede all’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, al Parlamento, alla Commissione e al Consiglio dell’Unione europea di attuare ogni misura politica e giuridica per evitare il prosieguo di una situazione che rappresenta una delle più tragiche violazione dei diritti della persona.

Una delle tante voci autorevoli che continua a dire come questo stato di cose sia insostenibile e indegno per il nostro paese.

Il dibattito ora è finalmente aperto, la maschera ipocrita del “non ci riguarda” è caduta: indulti, amnistie, riforma del codice penale, depenalizzazioni. Sono questi i punti salienti sui quali la società civile dovrà confrontarsi e il legislatore decidere, speriamo, saggiamente.

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