Afterhours – Intervista a Giorgio Prette


La conclusione della sedicesima edizione del Rock è Tratto coincide con l’inizio del Summer Tour degli Afterhours. Alla vigilia del concerto gratuito in Piazza Borghesi a Savignano di una delle più grandi rock band italiane, importuniamo un po’ il batterista Giorgio Prette, unico membro fisso della band insieme al leader Manuel Agnelli.
Così, per fare due chiacchiere…

Il Rock è Tratto è un contest tra giovani band emergenti. Quindi, facendo un passo indietro a quando tutto è cominciato, c’è stato un momento in cui avete capito esattamente che la musica sarebbe stata la vostra vita, il vostro lavoro?

«Sì, è un passaggio riconoscibile.
Mi fa piacere la domanda, perché non mi capita spesso, invece è importante. Quello è effettivamente uno snodo cruciale, indipendentemente dal fatto che si possa avere un percorso più o meno lungo, più o meno gratificante, più o meno appagante. Un momento chiave che io e Manuel abbiamo vissuto, anche se in modi diversi.

Abbiamo sempre fatto musica molto seriamente, indipendentemente dal fatto che potessimo viverci o che potesse diventare la nostra professione. Più vai avanti, più diventa difficile perché devi avere un lavoro che ti permetta di mantenerti e che contemporaneamente ti dia anche la libertà e l’autonomia di seguire il tuo percorso, che non è semplicissimo. Abbiamo quindi attraversato una fase intermedia di transizione poi il passo successivo è stato fare il salto. Non è semplice neppure questo, perché significa fare un salto nel buio. Come spesso accade nella vita, io sono stato agevolato da un evento traumatico: la mia vita si è ribaltata da un giorno all’altro e mi sono ritrovato a spasso senza il lavoro che avevo; un periodo un po’ buio. E in quel momento la mia ancora di salvezza, l’unica cosa solida che mi faceva stare bene era la musica. Erano gli Afterhours. Ho puntato tutto su quello.

Col senno di poi riconosco che sia stata una scommessa molto molto rischiosa. E ha continuato a esserlo. Ma nel frattempo è cambiato il mondo, bisogna dirlo. All’epoca noi rappresentavamo l’apice della precarietà del mondo lavorativo. Poi nel corso di 10-15 anni è cambiato tutto: non so se siamo stati assorbiti noi dal resto del sistema lavoro o il contrario. Penso che sia degenerato il sistema lavoro, perché la nostra precarietà  è diventata lo standard».

Continuando a parlare degli esordi,  avete avuto esperienze di supporto, o avete fatto da gruppo spalla ad artisti più affermati?

«No, non tanto, non c’era tanto in giro. Mi sa che il primo supporto che abbiamo fatto siano stati i R.E.M. a Bologna.

Sono passati già 12-13 anni, era il tour di Non è Per Sempre, quindi non eravamo più sconosciuti. Quando ero agli inizi non c’era una scena italiana con nomi forti; negli anni ’80 esistevano solo i Litfiba».

L’esperienza dei R.E.M. come la ricordi?

«Ah, molto bella! È stata una bellissima esperienza! Un bel concerto, ci siamo divertiti tantissimo e siamo rimasti particolarmente colpiti da loro.

Era la prima volta che avevamo a che fare con artisti stranieri di quel livello e siamo rimasti impressionati dalla loro naturalezza e normalità. Sono venuti nei camerini prima che salissimo sul palco a incoraggiarci e salutarci. Il bassista e il chitarrista sono addirittura saliti sul palco ad ascoltarci. Abbiamo riconosciuto in loro la nostra stessa attitudine, e non è una cosa scontata.

Ricordo che ero dovuto partire per Milano prima della fine del loro concerto e mi telefonò Manuel dicendomi che i R.E.M. ci avevano dedicato una canzone nel bis».

E oggi siete ancora qua, pronti per nuovi concerti e per una nuova uscita discografica. Che cosa vi spinge a continuare, a suonare, a spostarvi di città in città e incontrare gli appassionati?

«Finché abbiamo stimoli e cose nuove da fare, da pensare e realizzare non possiamo farne a meno. Nella stessa misura in cui può succedere che ci svegliamo una mattina, ci rendiamo conto di non vivere più in assonanza con questo mondo e non possiamo fare a meno di cambiare vita».

Ci sono canzoni che durante i concerti vi rendete conto siano particolarmente apprezzate e significative per chi vi segue? Più di altre, almeno.

«Sì sì, ci sono. Sicuramente ci sono alcuni cavalli di battaglia, e poi altre canzoni che hanno un testo molto evocativo. Una fra tutte è sicuramente Quello Che Non C’è».

A livello di composizione dei brani, qual è il tuo contributo come batterista? In che modo prendono forma le canzoni? Prima nasce la musica?

«Non esiste un regola fissa. Dipende molto come si lavora nella fase di preparazione e scrittura delle nuove canzoni. Normalmente il mio apporto iniziale, dal punto di vista creativo, è più facile che si verifichi se facciamo dell’improvvisazione. Quindi mi viene un’idea, e magari dal mio tempo di batteria partono gli altri e nasce il pezzo. Quando lavoriamo separatamente invece è più difficile perché dipende un po’ come sei organizzato.

Per quanto riguarda il metodo di composizione normalmente nasce sempre prima la musica delle parole».

Che prospettive hanno i giovani che intendono fare musica seriamente, oggi, in Italia? L’estero dà più opportunità?

«È molto difficile rispondere, perché la percezione è soggettiva: faccio fatica a immaginare cosa farei o cosa penserei se avessi vent’anni di meno, calato nel contesto attuale della musica italiana. Per me quello che conta e fa la differenza è la motivazione per cui si agisce. Le prospettive dipendono dall’attitudine, da quello che si cerca.

Non so se augurerei mai a qualcuno di fare della musica il proprio mestiere, soprattutto se l’obiettivo è quello di raggiungere risultati, avere un pubblico: è un percorso pieno di ostacoli e insidie. All’esterno si vedono solo le gioie, ma i dolori sono tanti e nascosti.

Noi siamo cresciuti in un periodo in cui opportunità nel mondo musicale non c’erano, quindi se facevi un percorso artistico era perché non potevi farne a meno, non perché avessi l’ambizione di raggiungere fama e risultati. Cosa che non ha mai significato suonare con atteggiamento hobbystico.

Forse guardare all’estero potrebbe essere una soluzione, perché no. In Italia ci sono tantissimi artisti e gruppi che hanno cose molto interessanti da dire, più che altrove».

Sappiamo che il nuovo disco è in lavorazione. A che punto siete?

« Sì. Abbiamo iniziato a registrare questo inverno. Ora la lavorazione subirà uno stop di quattro mesi perché siamo in tour, e riprenderemo a lavorare al disco in ottobre.
Dovrebbe uscire per marzo 2012».

In attesa della prossima primavera, siamo pronti a riempire la piazza, con orecchie e cuori bene aperti.

Un ringraziamento speciale a Francesco e Davide per il supporto.

4 Comments

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  1. Ilaria Virgili

    Ciao Alessia,
    grazie mille per i complimenti!
    È stato molto emozionante come suggerivi tu. Una bella esperienza, formativa.
    E allargando il discorso, penso sia stata una memorabile edizione del Rock è Tratto nella sua globalità. Ha mostrato i suoi punti deboli, ma alla fine ha avuto ragione.

  2. Alessia Pulelli

    Il concerto ha rappresentato secondo me un punto di arrivo importante per Il rock è tratto. Gli ha conferito ancora più onore e dignità. Tra l’altro, bravissimi anche i Nadiè. Penso che ci ricorderemo di quest’avvenimento negli anni a venire, soprattutto noi che lo abbiamo vissuto un po’ più da dentro… A presto!!!

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