Estopia capitolo V – Tempi passati


Capitolo precedente: Il Temporale

 

L’Hòddmimir di A.Antonioni

 

La signora Jennings afferrò il lungo ago e lo depose nel braciere, Freyja la fissava preoccupata.

“Non posso dirti molto, bambina, gli anni sono passati anche per me e non ho più la forza di un tempo. Inoltre non conosco tutta la storia della famiglia di Lidia ma, effettivamente, lei non è nata a Belafois”.

Freyja spalancò gli occhi: allora era vero, Lidia non era sempre vissuta lì!

“Arrivarono qui in cinque, con una bambina di quattro o cinque anni, nel cuore della notte: i due coniugi Imberdrop, una coppia di domestici e una quinta figura che sparì subito. Alcuni, sostengono che non ci fosse affatto una quinta persona ma io so che c’era, la…percepii.

Sono passati quasi tredici anni, ormai, io all’epoca già avevo smesso di insegnare nella scuola e tu eri la mia ultima allieva privata ma il povero signor Jennings gestiva ancora il negozio. Si trasferirono nella casa sulla collina, quella che conosci, e pochi giorni dopo il loro arrivo uno dei due camerieri venne in negozio e ordinò al signor Jennings un enorme pianoforte a coda che tenevamo ormai da più di qualche anno senza alcuna speranza di venderlo. Quando si trattò di consegnarlo, il padrone di casa chiese a mio marito di dimostrargli le virtù dello strumento ed io lo accompagnai, un pomeriggio, nella villa sulla collina per suonare quel piano meraviglioso un’ultima volta prima che cambiasse proprietario. La costruzione era enorme e sinistra, ma questo lo sapevo già: quando ero ancora una bambina ero andata spesso a giocare nel grande parco che la circondava. I proprietari che vi si erano succeduti erano sempre stati gente molto riservata e, detto tra noi, con qualche rotella fuori posto. Ma erano anni che non ci tornavo e, ad onor del vero, non avevo mai varcato la soglia della casa, perciò, quel pomeriggio accompagnare il signor Jennings mi sembrò un evento particolarmente solenne.

L’interno della villa era sorprendentemente ricco, ci fecero entrare in un salone degno di un palazzo reale e mio marito si produsse in alcune celebri sonate. Ricordo che eseguimmo anche alcuni brani a quattro mani. I signori Imberdrop sembravano contenti e rimanemmo a parlare con loro. La madre di Lidia era una donna fragile e depressa ma si affezionò a me e dopo quel giorno, mi recai di tanto in tanto nella casa a suonare con lei o a ricamare o solo a riferirle qualche chiacchiera del villaggio. Anche loro erano gente schiva e raramente scendevano in paese.

Lidia era una bambina silenziosa e ambigua: nonostante la sua giovanissima età, era in grado con la sua presenza, il suo sguardo serio e le poche domande impertinenti, di mettere a disagio anche un adulto. Anche me.”

Qui la signora Jennings fece una pausa e guardò Freyja sospirando. Poi sollevò l’ago dal braciere e vi soffiò sopra.

“Forse ormai l’hai capito, bambina mia, ma sono sicura che prima del nostro incontro della scorsa settimana non ne hai mai avuto il sospetto: quando ero ancora molto giovane, l’istitutrice che si occupò della mia educazione fu una vecchia amica di mia madre che aveva dedicato la sua vita allo studio della natura e dei suoi cicli. Oggi qualche malalingua la definirebbe una fattucchiera, ma la cara maestra Ewone era tutto tranne che una malvagia, vecchia megera. Era una donna intelligente e colta che mi insegnò con amore buona parte di quello che aveva imparato dal suo maestro e dall’esperienza di una vita vissuta in armonia con il cosmo. Per fartela breve, Freyja, anch’io in quegli anni appresi mote tecniche che i più definirebbero, impropriamente, magiche e continuai a studiarle anche dopo che fui tornata a casa, seguitando a coltivarle fin dopo il mio matrimonio, con somma soddisfazione del signor Jennings e dei suoi vari acciacchi. Ma io non sono una maga, Freyja, non c’è magia in me, diciamo che sono un’incantatrice dei fenomeni della natura, un’illusionista delle regole della fisica…una persona che sa ascoltare quello che l’universo le vuole comunicare.”

Si fermò di nuovo, avvicinandosi a Freyja.

“Non c’è magia in me, ma nel momento in cui misi piede nella casa degli Imberdrop mi resi conto che lì ce ne era, e tanta. E non appena vidi la piccola Lidia, non appena i suoi occhi verdi incrociarono i miei, capii che molta della magia che avvolgeva la casa proveniva da lei.

Non credo di aver mai compreso interamente il mistero di quella ragazza, anche se l’età e gli strani sogni che mi hanno visitato da quando quella famiglia si è trasferita qui, mi fanno supporre di aver sfiorato, a volte, la verità, ma quando mi raccontasti che una bambina, a scuola, ti aveva salvata dalla tempesta e compresi che era stata Lidia, capii che il vostro incontro non era stato frutto del caso.

Quando venivi a prendere lezioni di musica, mi raccontavi delle favole di Lidia, mi raccontavi del Paese della Pioggia da cui diceva di provenire. Tu eri felice di aver trovato una nuova amica ed anche Lidia sembrava diversa in quel periodo. Continuavo ad andare a trovare la signora Imberdrop e quando anche tu eri nella casa, vedevo Lidia sorridere come non aveva mai fatto nei lunghi pomeriggi che avevo trascorso nella villa. Era chiaro che ti volesse bene, che ti fosse affezionata, ma io temevo…non potevo dimenticare la freddezza del suo sguardo di bambina, la completa assenza di sentimenti che sembrava trasmettere a volte…eravate talmente diverse! Ed io ti amavo molto, ti avevo subito amata, signorina, dal primo giorno in cui avevi messo piede in casa mia, insieme a tua madre. Ma questo ormai l’avrai capito, Freyja, tu possiedi un grande dono, quello di farti voler bene, risvegli nei cuori dalle persone con cui entri in contatto sentimenti caldi, confortevoli. Non ero stupita che anche Lidia avesse compreso il tuo potere ma temevo che il vuoto che sembrava avvolgerla ti contaminasse.

Eppure, così non fu: cresceste insieme da buone amiche senza che tu perdessi mai il tuo splendido sorriso. Lidia era protettiva, affettuosa con te e anch’io, piano piano, mi abituai a vedervi insieme e abbassai la guardia. Finché un giorno non venisti da me turbata, preoccupata e dicendomi di aver bisticciato con la tua amica. Mi dicesti di aver paura che lei non ti avrebbe perdonato e io cercai di tranquillizzarti ma qualcosa nella testa mi sussurrava che, forse, la vostra amicizia era arrivata ad un bivio. La signora Imberdrop confermò il mio sospetto quando mi raccontò che Lidia avrebbe completato la sua educazione presso una vecchia amica di famiglia che abitava fuori da Belafois. Pensai che la signorina Ludlum fosse la famosa quinta persona che era scesa dalla carrozza insieme agli Imberdrop, quella notte d’estate, per poi sparire subito in una casa tra i boschi sulle pendici delle Highstorm.

Non so niente di più preciso circa la famiglia della tua amica e sono certa che sarà la stessa Lidia a spiegarti, al momento giusto, quello che dovrai sapere in più. La storia che ti ho raccontato l’hai in parte vissuta e io non ho fatto altro che ricordatela. Non so nemmeno perché Lidia sia improvvisamente rientrata nella tua vita ma capisco che voi due siete legate. Non so se questo sia un bene, ma ormai sono una vecchia e nonostante desideri proteggerti, so che non posso impedirti di seguire il tuo destino. Spero che la vita abbia in serbo per te amore e felicità, ma non posso tenerti lontana dal dolore che dovrai affrontare se il fato vorrà che lo affronti.

Mi rendo conto che non riuscirò mai a comprendere del tutto chi sia Lidia Imberdrop e quale destino l’attenda, ma voglio aiutarti a fare luce su quello che hai deciso già da tempo dentro di te e che non riesci ancora a vedere con chiarezza.”

Freyja quasi non osava respirare, la signora Jennings la fece inginocchiare ai piedi della poltrona e le sfiorò il lobo destro con le dita rugose, poi sussurrò una parola a voce bassissima e affondò lo spillo nella carne.

Freyja strine i denti mentre un gocciolina di sangue precipitava sul corpetto rosa del suo abito, macchiandone il delicato merletto. La signora Jennings asciugò la minuscola ferita con un angolo del suo grembiule e un senso di sollievo sembrò diffondersi sopra il bruciore intenso. Dopo aver indugiato per un attimo sulla massa dei capelli biondi, la vecchia prese dalle mani di Freyja l’orecchino e lo scrutò con aria preoccupata. Ma fu questione di un secondo e non esitò oltre quando lo infilò, delicatamente, all’orecchio della ragazza. Freyja si rialzò stringendo le mani dell’anziana insegnante, restituendole un lungo sguardo in cui si condensarono affetto, comprensione e gratitudine, finché gli occhi della vecchia non si inumidirono, allora Freyja sorrise e si chinò ad abbracciare le gracili spalle della signora Jennings.

“Tornerò signora, tornerò e l’aiuterò a completare il suo racconto.” Ma avvertì chiaramente mentre le pronunciava che le sue parole non erano vere e sentì una stretta al cuore mentre baciava la vecchietta sulla guancia.

“Vai bambina e sii prudente. Non dimenticare mai che con un sorriso sai scaldare anche il cuore più freddo e puoi addolcire anche la mente più arida. Io sognerò di te e cercherò di esserti vicina.”

Senza aggiungere altro, Freyja si raddrizzò e uscì dall’accogliente salotto con la sensazione che non avrebbe rivisto la signora Jennings mai più.

La strada fino a casa sua la percorse come in sogno, e come in sogno salì le scale ed entrò nella sua camera. Prese dall’armadio il più pesante mantello che possedeva e lo appallottolò dentro la sacca che usava per i lavori di cucito, prese il piccolo ritratto della madre e del padre che teneva accanto al letto e niente altro. Prima di riscendere in strada, si sedette alla scrivania dove lasciò un foglio con poche righe in cui pregava, inutilmente, i genitori di non preoccuparsi per lei e in cui prometteva di tornare non appena avesse potuto.

Non tentò nemmeno di spiegare perché stesse andando via.

Con un nodo in gola e gli occhi colmi di lacrime richiuse la porta alle sue spalle, evitando accuratamente di passare davanti alla vetrina del negozio di dolci. Lungo la strada che conduceva fuori del paese, stranamente, non incontrò nessuno che le chiedesse dove stesse andando e quando si voltò per la prima volta, Belafois appariva come un dipinto nella cornice del dorato lago Appaloosa. Ma Freyja non si fermò nemmeno un attimo ad ammirare il panorama, si votò di nuovo e proseguì perché la strada fino al Picco di Lys era ancora lunga e lei, per la prima volta in tutta la sua vita, non aveva tempo per essere sentimentale.

 

Capitolo successivo: Ludlum

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