Maduro e la cattiva amministrazione, il Venezuela sul baratro


Mentre ad est dell’oceano Atlantico il mondo è in subbuglio per l’esito inaspettato del referendum che ha avverato la minaccia brexit, dall’altra parte del mondo, in America, un’altra congregazione di stati, anche se di natura diversa, si ritrova a ponderare scelte difficili e a confrontarsi con una situazione altrettanto complessa. È risaputo che giocare di squadra, anche a livello politico, porta vantaggi, ma trovare un equilibro, accontentare tutti non è un’impresa facile sul lungo periodo; men che meno, ottenere che tutti si impegnino con lo stesso sforzo e diano la stessa performance.

Il Venezuela è accusato a grandi linee di questo, di non voler fare gioco “democratico” di squadra a livello politico con gli altri stati americani. È noto il fatto che Maduro abbia sciolto l’Assemblea Nazionale controllata dall’opposizione e che continui a rinchiudere con grande facilità chiunque dissenta con il suo operato. Non solo, l’impasse economica sta facendo traballare anche la sua posizione all’interno dell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries).

L’origine della crisi secondo molti sarebbe da rintracciare nella cattiva amministrazione della ricchezza petrolifera del paese da parte del governo socialista di Maduro installatosi nel 2013 e alle pratiche antidemocratiche dello stesso, attraverso l’oppressione militare e la repressione sulla popolazione in occasioni di manifestazioni o proteste.

Per essere più specifici, secondo alcuni esperti politici, questa crisi economica si sarebbe aggravata grandemente proprio per colpa dell’incapacità di Maduro di continuare la politica socialista ed anti-imperialista del suo predecessore Chávez. Innegabile che ciò sia in parte imputabile alla sua impreparazione in campo economico: il passato d’autista di autobus prima e un’esperienza decennale in politica dopo, non si sono rivelate qualificazioni sufficienti per dare ad un paese come il Venezuela delle politiche economiche adatte a prosperare, anzi.

La situazione del Venezuela è davvero grave. Ad oggi, numerose compagnie aeree come Grupo Aeromexico o Lufthansa hanno sospeso i propri voli da e per il Venezuela, soprattutto per l’impossibilità di convertire il proprio ricavato nel paese in moneta forte, a causa della terribile inflazione. Ancora più sconvolgente il fatto che per i mesi di aprile e maggio si è deciso di ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni per provare a risparmiare quell’energia e salvare quelle poche risorse che il periodo di estrema siccità dovuta al fenomeno El Niño hanno messo in pericolo.

Tuttavia, sembra che i problemi del paese siano solo all’inizio: il Venezuela fa parte insieme ad altri 33 stati dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) che si propone di prevenire l’avvento di nuove dittature distruttive, specialmente nel sud America, e di preservare la democrazia. Però gli ultimi eventi e la crisi profonda in cui si trova il Venezuela hanno spinto il leader dell’OAS Luis Almagro a prendere seriamente in considerazione l’idea di presentare un rapporto al consiglio per proporre l’espulsione del Venezuela.

Non tutti sarebbero d’accordo, soprattutto fra i paesi del sud America. A detta dell’Economist, la ragione è chiara: nessun paese latino vuole interferire nelle questione politiche ed economiche dell’altro, perché non vuole comportarsi così come da sempre si sono comportati gli Stati Uniti con loro, ovvero con un atteggiamento fra il paternalistico, lo sdegnoso e l’opportunistico. Anche gli Stati Uniti vorrebbero evitare misure drastiche nei confronti del Venezuela: un meeting di qualche giorno fa con John Kerry promette un apertura de paese al sostegno internazionale e fa sperare in bene. Se sia stato davvero un passo significativo lo si scoprirà solo col tempo.

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