Brasile, corruzione e lotte di potere: è la fine del governo Rousseff?


Impeachment. Questa la parola che più di qualsiasi altra sta rimbalzando tra le mura dei palazzi governativi, gli studi televisivi e le principali piazze del Brasile.

Dilma Rousseff, attuale presidente della Repubblica brasiliana e rappresentante del Partito dei Lavoratori (PT), nelle prossime settimane rischia di essere destituita su richiesta dei deputati dell’opposizione. La motivazione? Un’operazione di cosiddetto “maquillage fiscale”: la Rouseff ha investito denaro della Cassa Economica Federale in programmi sociali, per poter chiudere i conti e, l’anno successivo, ha restituito tale denaro alla Cassa senza ottenere alcun beneficio personale.

Ma questa non è che la punta dell’iceberg, non è che il pretesto per allontanare l’attuale presidente, giudicata responsabile della profonda crisi politica ed economica che il Paese sta attraversando.

Nel 2014 infatti il Brasile, dopo anni di crescita sostenuta, è entrato in recessione e ciò ha provocato un crollo della credibilità di Dilma Rousseff. Credibilità che ha accusato un altro grave colpo con lo scoppio, nel marzo 2014, dello scandalo Petrobras, che ha riportato alla ribalta ancora una volta il tema della corruzione, probabilmente male primario del Paese che attanaglia tutto il sistema politico e non solo.

Petrobras è l’azienda petrolifera nazionale, responsabile del 10% del PIL del Paese, che, insieme alle principali società di costruzioni e lavori pubblici (Btp) è accusata di aver gonfiato le spese degli appalti per creare fondi e finanziamenti illeciti (per un totale di più di 7,4 milioni di euro) destinati ai partiti della coalizione dell’allora governo Lula e in primis al partito del presidente, il Partito dei Lavoratori.

dLuiz Inacio Lula da Silva, alla guida del Paese dal 2003 al 2011, a inizio marzo 2016 è stato interrogato in quanto sospettato di riciclaggio di denaro, corruzione e sospetto occultamento di beni, ma non incriminato. Fra gli indagati figurano invece la moglie, Marisa Leticia, i figli Sandro Luis, Fabio Luis, Marcos Claudio e Luis Claudio. Insieme a loro altre figure vicine al PT tra cui il direttore dell’Istituto Lula, Paulo Okamotto. L’accusa: aver tratto benefici dal sistema corruttivo che vedeva protagonista Petrobras, ottenendo vantaggi personali e per il partito.

La Rouseff, probabilmente nel tentativo di mettere al riparo il suo predecessore da un eventuale arresto, aveva assegnato a Lula il ruolo di capo di gabinetto al fine di garantirgli l’immunità. La nomina è stata però annullata lo scorso 18 marzo da una sentenza del giudice Gilmar Mendes del Tribunale Supremo Federale che ha successivamente rilasciato una dichiarazione scagliandosi contro un sistema di corruzione installatosi nell’esecutivo negli ultimi 15 anni e di cui il PT è uno di principali responsabili.

A fronte di questi fatti il 17 marzo il Congresso del Brasile ha eletto i 65 membri della commissione speciale a cui spetterà di decidere se ci sono i presupposti giuridici per proseguire la procedura di impeachment a carico di Dilma Rouseff, la quale ha già parlato di colpo di Stato in quanto non coinvolta in prima persona nello scandalo Petrobras. Non c’è inoltre accordo da un punto di vista giuridico sul fatto che ritoccare i conti dello Stato possa costituire una violazione passibile di destituzione.

La commissione speciale dovrà preparare ora una relazione che sarà presentata al Congresso, dove sarà necessaria una maggioranza dei due terzi (342 deputati su 513) per approvarla e passarla al Senato; qui invece per l’approvazione basterà una maggioranza semplice. In caso di via libera l’attuale presidente verrà sospesa temporaneamente a al suo posto subentrerà il vice presidente Michel Temer, esponente del Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB) che proprio nei giorni scorsi (29 marzo) ha deciso di togliere il suo sostegno al governo, di cui era principale alleato politico.

Un dettaglio è bene che non venga tralasciato: dei 65 membri della commissione 37 sono indagati per corruzione.

La corruzione è probabilmente l’ombra che più oscura la “giovane” democrazia brasiliana, nata solo 30 anni fa con la fine della dittatura militare imposta dal 1964 al 1985.

Il Partito dei Lavoratori era nato con l’obiettivo di porre fine alle ingiustizie sociali che caratterizzano una popolazione, quella brasiliana, profondamente divisa tra pochi ricchi e grandi masse di poveri. E’ incontestabile che le politiche sociali attuate da Lula e proseguite dalla Rousseff hanno permesso a milioni di persone di uscire dalla miseria e ottenere benefici minimi. Esponenti importanti del PT hanno però poi ceduto alla logica della corruzione e sono diventati così bersaglio di una giustizia che a parere di Leonardo Boff, teologo e scrittore brasiliano impegnato nella difesa dei diritti dei più deboli, si è mostrata però in più occasioni parziale.

Una parzialità che caratterizza anche il sistema d’informazione del Paese, totalmente privato e in mano a grandi gruppi ostili al governo, che negli ultimi mesi hanno dato voce e visibilità quasi esclusivamente alle forze politiche di opposizione e alle manifestazioni a loro sostegno a cui hanno partecipato in primis i bianchi delle classi benestanti, fortemente classisti ed eredità di un passato coloniale che relegava poveri e neri a una condizione di inferiorità sociale.

Questi ultimi sono stati i primi beneficiari delle politiche del PT ora colpevole di essersi fatto contaminare dal sistema corruttivo che dilaga in tutto il Paese. E solo nelle prossime settimane si- saprà se la Presidente eletta dal popolo sarà costretta alle dimissioni o se prevarrà una forte mobilitazione popolare in difesa della democrazia.

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