PROGETTO HOPE – Addestramento


Scoprimmo presto che la vita da potenziali supereroi non era una passeggiata. Passate due settimane da quel fatidico meeting, ci riunirono in quello che era a tutti gli effetti un campo di allenamento. Ognuno di noi aveva capacità specifiche, e ciò rendeva un vero rompicapo la predisposizione degli esercizi. Il lavoro da fare, ci spiegarono, andava in due direzioni: da una parte la completa padronanza dei nostri poteri, dall’ altra l’ utilizzo degli stessi in un contesto di squadra, in cui i movimenti e le azioni devono essere comunque sincronizzate. Io, come già raccontato, avevo scoperto di essere una specie di fusione tra Hulk e Capitan America, e tuttavia scoprii presto che anche gli altri ragazzi in quanto a doti erano ben forniti.

kult-srpski-filmovi_620x0Novica Jankovic era un ragazzo serbo, poco più grande di noi altri quattro. Aveva ventidue anni ed laureato in economia all’università di Belgrado e un anno prima aveva scoperto di possedere un atletismo che quasi sfidava le leggi della gravità. Veniva da una famiglia benestante, e la sua compagnia irradiava intorno un’aura di istantanea calma e sicurezza. Non faticò a diventare ben presto il leader del nostro gruppo, e nei momenti di maggiore sconforto durante gli allenamenti (che ci furono, non sto qui a raccontarli, ma più volte qualcuno fu tentato di andarsene) fu lui a tenere tranquillizzarci e a incoraggiarci.

Mary – Ann Wilkins, australiana, era invece un po’ la mamma di tutti noi. Lei di anni ne aveva diciannove, ma dimostrava la maturità di una trentenne. Per essere più precisi, dopo un mese aveva quasi accettato questo ruolo materno che le avevamo implicitamente affidato e vi si era calata alla perfezione. Forte, spiritosa, affettuosa o dura a seconda della necessità, di solito quando si aveva bisogno di una confidenza personale ci si rivolgeva a lei. Lei era una era dotata di una super – velocità, anche se i livelli raggiunti da Flash nei fumetti erano ovviamente ben lontani dai massimi che poteva raggiungere. Ciò non toglie però che più di una volta (tre o quattro, se non ricordo male) il contachilometri si bloccò quando cercarono di calcolarne la massima accelerazione.

L’ obiettivo dei suoi rimproveri era Yuto Sasaki, vent’ anni, di che a dispetto dell’ origine giapponese era abbastanza anarchico. Certo, su certe cose rimaneva rigido e anzi quasi maniacale, me per il resto faceva molto di testa sua. Più volte durante le simulazioni di battaglia non si attenne al piano ma andò per i fatti suoi, me mentre Novica non diceva nulla Mary – Ann si lanciava contro in sfuriate davvero temibili. A parte questo, però, era un ragazzo d’oro. Capiva al volo ogni input, e quando gli si spiegava dove avesse sbagliato il più delle volte rispondeva “Lo so”, dimostrando così intelligenza e consapevolezza delle proprie azioni. Sospetto che si fosse segretamente innamorato di Mary – Ann, e che il più delle volte non rispettasse le consegne allo scopo di attirare la sua attenzione. Tramite il proprio tocco lui era in grado di rilasciare scariche elettriche di varia intensità sui corpi fisici attorno, fossero essi oggetti o persone.

Io dal canto mio mi trovavo molto bene con Novica e Yuto, mentre il mio sentimento verso Mary – Ann era un misto di venerazione e timore. Le attenzioni e le preoccupazioni di tutti noi erano per Elena Gomez, la diciottenne argentina che per ultima aveva deciso di unirsi al gruppo. Figlia unica di una famiglia normale, ci raccontò che i suoi avevano fatto una fatica immane per avere bambini, e che da quando era venuta al mondo era cresciuta in un contesto iperprotettivo. Chi le stava più vicino eravamo io e Novica, mentre Mary – Ann sembrava quasi mal sopportare il carattere timido e quasi spaurito di Elena. In realtà, come mi confermò la stessa australiana poco tempo dopo, si comportava così perché non sentiva di non riuscire a darle un aiuto concreto, e questo la frustrava e la spazientiva. Elena, dal canto suo, era molto attenta a quello che diceva Mary – Ann, e questo a dispetto del fatti che di tutti era quella che riusciva maggiormente a controllare i suoi poteri, che consistevano nella telecinesi.

Stavamo formando un bel gruppo, sotto la supervisione di David e Joan. Non ci sembrò mai un campo militare: avevamo orari di allenamento normali (8 – 13 e 14 – 19) ma alla fine di questi eravamo abbastanza liberi. Ci riunivamo spesso in Sala Ristoro e lì o giocavamo a poker o a Risiko. Spesso io e Novica facevamo gare di tiro a basket, e qualche volta si univa anche Mary – Ann. Ci dividevamo equamente le specialità: da buon serbo, Novi prediligeva il gioco sotto canestro, mentre io ero più bravo a tirare dalla media distanza. La prima volta che la bionda australiana si unì a noi, la sfidammo invece nel tiro da tre punti. Ci massacrò, letteralmente.

In generale, era impegnativo ma ci divertivamo. Sapevamo che l’ organizzazione aveva provveduto a creare delle coperture per tutti noi, anche se non eravamo a conoscenza di quali. Certo, sapevamo che, visto il compito che avevamo accettato, prima o poi avremmo dovuto andare su un vero campo di battaglia. Ma, durante l’ addestramento, quel pensiero era lontano anni luce.

(4 – continua)

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