Lehman Brothers, il grande crack dieci anni dopo


Il 15 settembre 2008 falliva il colosso finanziario Lehman Brothers, dando avvio di fatto alla crisi economica che non ha ancora finito di sconvolgere il mondo intero. Come si arrivò a quel clamoroso tracollo? Con un mix di spregiudicatezza e miopia, decisioni sbagliate, regole insufficienti e assenza di controlli. Che oggi vale la pena studiare a fondo per capire quanto ancora siamo esposti a rischi del genere.

L’inizio della fine

Il crack Lehman Brothers affonda le radici nel terreno melmoso dei mutui subprime, prestiti per l’acquisto della casa concessi a chi non era in grado di offrire garanzie sulla restituzione dell’importo. Il rischio collegato a questo tipo di operazioni, accuratamente scomposto in piccole parti, era poi rivenduto sotto forma di titoli derivati di vario genere a banche e risparmiatori di tutto il mondo, che a loro volta guadagnavano “scommettendo” sul rischio stesso.

Questo meccanismo – ampiamente utilizzato da numerosi istituti finanziari – comincia a scricchiolare quando nel 2004 la Federal Reserve (banca centrale americana) inizia ad alzare i tassi rendendo più difficile il pagamento delle rate dei mutui. Nel giro di qualche anno, con un’accelerazione nel biennio 2007-2008, la situazione diventa insostenibile: le banche entrano in crisi, tanto da costringere il governo Bush a diverse operazioni di salvataggio utilizzando denaro pubblico.

La fiducia dei mercati vacilla, ma nessuno crede davvero che un gigante come Lehman Brothers possa cadere: in ambito finanziario, infatti, vige la regola non scritta che alcuni istituti siano troppo grandi per fallire. Le cose vanno diversamente: dopo mesi di avventurosa gestione dei bilanci da parte di un managment sempre più tracotante, avallata dalla connivenza dei controllori, gli ultimi giorni di fibrillazione e una risposta pubblica tutto sommato inadeguata non bastano a evitare la bancarotta.

L’impatto sull’Italia

Nel giro di pochi giorni la crisi si allarga a macchia d’olio: il mercato finanziario crolla, migliaia di posti di lavoro e miliardi di risparmi evaporano senza scampo. Nonostante le ripercussioni sull’economia reale che porteranno il pianeta alla peggior recessione dal 1929, inizialmente le banche italiane ostentano tranquillità, ostinandosi a nascondere la polvere sotto il tappeto.

Il conto arriverà salato anche in Italia, con vittime eccellenti come Mps ed Etruria. Ma nel frattempo succede di tutto, dalla resa del governo Berlusconi nel 2011 – con lo spread Btp/Bund ben oltre quota 500 dopo che il rapporto deficit/Pil aveva superato il 5% – alla svolta globale verso la destra populista, con la Brexit e Trump a inaugurare la serie.

Come accadde negli anni tra le due guerre mondiali, la crisi ha cambiato irreversibilmente la nostra percezione della realtà, accompagnata dall’accelerazione impressa alle nostre vite dalla rivoluzione digitale. Con le identità locali messe in crisi dalla globalizzazione, la perdita della sicurezza economica ha sbriciolato definitivamente ogni orizzonte di riferimento.

Quello che (non) è cambiato

Mentre il mondo intorno si trasformava, almeno per la finanza globale possiamo parlare di lezione imparata? Macché. Le poche misure timidamente introdotte da Obama all’indomani della crisi sono state recentemente revocate da Trump, che peraltro continua a incendiare il terreno con guerre commerciali che creano ulteriore insicurezza.

Negli Stati Uniti – epicentro della crisi – si fanno ancora più affari con i derivati, prodotti finanziari scarsamente o per nulla legati all’economia reale. I manager perseverano nella politica del rischio, ricevendo in cambio lauti compensi. Le grandi banche diventano sempre più grandi, e questo anche in Europa dove pure i controlli sono più severi e puntuali.

I suggerimenti dagli esperti per migliorare la situazione non mancano, dalla creazione di un vero fondo di garanzia sui depositi dei risparmiatori a livello europeo fino a una separazione più netta tra banche e istituti di vigilanza addetti all’attività di controllo, passando per la necessità di una formazione anche morale per i professionisti del settore finanzario.

Suggerimenti che purtroppo sembrano lontani dall’essere messi in pratica. E mentre il tempo passa, l’economia dà deboli segnali di ripresa e si affievolisce l’indignazione popolare per le cause della crisi, l’esigenza non più rinviabile di regolamentare la finanza a livello globale assomiglia sempre più a un’utopia senza futuro.

Crack Lehman Brothers: i dieci anni che hanno cambiato il modno (RaiNews)

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