G20 2017, un’analisi


Argentina, Australia, Brasile, Cina, Germania, Francia, Regno Unito, India, Indonesia, Italia, Giappone, Canada, Corea del Sud, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica, Turchia, Stati Uniti e Unione Europea venerdì 6 e domenica 8 ad Amburgo (Germania) si sono seduti ad un unico tavolo per discutere la situazione mondiale. Potrebbe sembrare la scena del trailer di un film apocalittico o storico-fantascientifico, se non fosse per le pieghe fin troppo reali (quasi deludenti) che l’evento ha preso, considerando critiche, scompigli vari e scandali facili.

Si tratta del G20, uno degli incontri annuali più importanti, che oggi riunisce i 19 paesi più industrializzati al mondo, più l’Unione Europea, per un totale di 20 potenze economiche, che rappresentano quasi l’80 % del PIL mondiale. Dal 1999 fino al 2008 il G20 mantenne uno stampo economico, chiamando in causa solo i ministri delle finanze dei vari paesi e tralasciando tematiche di altro genere che non fosse economico, per poi assumere invece una natura più varia e complessa dopo la crisi economica del 2008, lasciando spazio alla politica, ai capi di stato e a tutte le questioni legate alle relazioni internazionali. A suo merito, in questa breve introduzione storica non si può tralasciare il fatto che il G20 sia uno dei tentativi di dialogo più inclusivi, sicuramente più del G7 o del G8, che comprendono solamente i paesi più ricchi al mondo. Questo senza mai dimenticare il piccolo particolare che questi 20 partecipanti non rappresentano che il 0,974% di tutti i paesi del mondo.

I presupposti di questo incontro sono sempre stati onorevoli e promettenti. L’ordine del giorno di quest’anno includeva fare il punto della situazione sugli accordi per il cambio climatico, trattare le questioni dell’immigrazione, della parità di diritti di genere, della disoccupazione ed anche, soprattutto per quanto riguarda Putin e Trump che per la prima volta si incontrano al G20, discutere e pensare a delle soluzioni per i danni causati in Ucraina e Siria. Fra gli argomenti più caldi sicuramente il cambio climatico: secondo una dichiarazione della cancelliera Merkel, il dialogo è stato fin da subito molto difficile, anche per la posizione irremovibile degli USA contro l’accordo di Parigi, da cui si sono tirati indietro recentemente, e l’atteggiamento poco collaborativo, da “America first”, del presidente Trump.

Le conclusioni di questo G20 rimangono poco chiare, così come la decisione di eventuali misure per affrontare le questioni sopraelencate. Ciò che sì, invece, è arrivato alle orecchie e agli occhi di tutti è la confusione provocata dalle proteste degli anti-capitalisti che hanno causato decine e decine di feriti sia fra le loro file, sia fra le forze di polizia, e messo a ferro e fuoco la città, letteralmente, come dimostrano le foto di auto incendiate e vetrine rotte.

 

G20 Lo scandalo ugualmente non poteva mancare: molti, soprattutto nella stampa russa, sono rimasti indignati dalla scelta del presidente Trump di nominare un famigliare, la figlia Ivanka come rappresentante nel caso il presidente non potesse essere presente ad alcuni incontri. Inaspettatamente, Angela Merkel ha cercato di togliere importanza all’accaduto affermando che spetta alle delegazioni dei vari paesi partecipanti decidere un vice-rappresentante, e che quella di Trump sia stata una scelta legittima poiché è noto, fra l’altro, che Ivanka abbia lavorato alla Casa Bianca.

Fra le critiche più forti quella del primo ministro australiano Malcom Turnbull, che ha denunciato l’incapacità del gruppo di riuscire ad arrivare a formulare una accusa condivisa alla Corea del Nord per il recente lancio di un missile. Il ministro si è rivolto in particolare alla Cina, che a questo riguardo, è il paese che avrebbe potuto avere maggiore influenza sia nel sollevare la questione, sia nel lanciare un messaggio d’impatto a Pyongyang. Un’altra critica emersa riguarda la prevalenza di negoziazioni bilaterali (Trump-Putin, Putin -Turchia etc) a scapito di una cooperazione multilaterale. Una osservazione preoccupante che sottolinea il diffondersi di una tendenza autoritaria, egoistica e chissà nazionalista, invece di uno spirito unitario e più democratico.

Approfondendo bene la questione del G20, quindi, è facile accorgersi che non si tratta della scena di un film, è facile anche accorgersi che molte critiche a questo incontro sono giustificate, e che né nel tempo di un film, né in questi due giorni di incontri è possibile confrontarsi e arrivare ad avere soluzioni per molti problemi attuali. Rimane il fatto che il dialogo internazionale è necessario e deve essere un punto di partenza per decisioni future nazionali ed internazionali, seppur con le limitazioni del G20.

 

PS. Ora che questo G20 e questo articolo sono giunti alla proprio conclusione, per chi si volesse cimentare in un breve ed interessante test in inglese sul G20 pubblicato dal New York Times per provare le proprie conoscenze, qua trovate il link. “Buon divertimento!”

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