Mission to Mars: How humans could spoil the Utopia


The rockets and engineers are gearing up for departure, but with the technological challenges in mind we easily forget that the true obstacle of going to Mars is human nature. Are we really ready for the red planet?

The run-up to US presidential elections tends to be a time of big promises, most of which can probably be seen as far-fetched and negligible. When Hillary Clinton declared on a rally that her administration would support American aerospace industry to “make human exploration of Mars a reality”, only few took notice of her remark, but those who did saw a dream come close to realisation. A presidential candidate has made a commitment to settle on the red planet: Martians, rejoice!

What might appear to be an impossible undertaking to citizens who even struggle with “ordinary” life in a familiar place (read: on Earth) is actually an affirmation of what has been in the planning for the past decade. Apart from the public entity NASA, Elon Musk’s SpaceX programme has been developing sophisticated concepts to bring people up to the red planet by 2024. Another project, MarsOne, is even running a casting to find the most suitable settlers.

However, one should not get distracted by what seems like a reality TV show – colonization will be long and arduous. The one-way journey of at least six months is only the beginning, followed by an extensive period of establishing a colony and producing food and oxygen for the group. Temperatures are extreme, wandering around the planet without a space suit unthinkable, and an immediate return to Earth impossible. As the Scottish astrobiologist Charles Cockell put it, “Mars is an awful place to live”.

In an environment of hostile climatic conditions and heavy human interdependence, one fundamental issue is too often overlooked: Which form will social relations take? Will the settlers be able to enjoy an extensive degree of freedom such as on Earth? Who commands, who obeys?

One for all

Hierarchy is key to success, as is obedience. Once the first colonizers get on the shuttle with the destination of Mars, they enter an unequal relationship of leaders and settlers. For the explorers, this is obvious. After all, they are part of an elaborate blueprint, or Utopia, which ought to ensure the realisation of the project and the stability of the group. In that plan, social and political roles have to be clearly defined and every aspect of human life has to be adapted to outer space.

Such encompassing blueprints may appear indispensable since the project is not just about establishing a settlement on Mars but also about ensuring the survival of a group of people in an uncertain terrain. This would require a high degree of coordination. However, to think that utopian approaches are unchallenged would be far from the truth.

One of the greatest philosophers of the 20th century, Karl Popper, was a fierce adversary of any kind of holistic planning, such as it would be required in a human colony on the red planet. For him, drafting an entire social structure is dangerous, oppressive and violent – a path to serfdom and subjugation. The centralized power of the provider would “likely lead to dictatorship”, he wrote in 1945. Looking at the Martian case in 2016, his point is not completely irrelevant.

Final destination

Take the difficulty of returning to Earth for example. Knowing that they will not have the possibility of aborting their mission at any immediate point, the Martians crucially rely on the resources supplied by NASA or SpaceX. Food, clothes, oxygen, transportation – in order to survive they depend on the infrastructure of the companies. The economic fundamentals of buying, selling or exchanging goods are extremely limited, which fosters the reliance even more.

This is why going to Mars takes a lot of commitment and the willingness to give up a high degree of independence and decision-making power, as Popper would have predicted. Freedom of choice? The company decides for you. Personal property? There is only little space for it. No desire to continue? Better prepare for permanent residence. If the prestige of being a Martian colonizer can really compensate for such drawbacks is left for everyone to answer individually.

Of course Popper’s view is a particularly liberal one, and one that can be attacked on several grounds, but it helps us grasp the complexity of going to Mars. Setting up an extra-terrestrial colony is not just a technical endeavour but first and foremost a challenge to the human desire for self-determination. In late August, a group of six scientists successfully completed a year-long isolation on Hawaii to simulate human life on Mars. Yet, the real life project with a one-way ticket will be different – both mentally and physically.

After all, Mars is an awful place to live, and Popper has rarely been proven wrong.


(versione italiana)

Missione su Marte: come gli umani potrebbero rovinare l’Utopia.

I razzi e gli ingegneri si stanno attrezzando per la partenza, ma con le ambizioni tecnologiche in mente, dimentichiamo facilmente che il vero ostacolo alla realizzazione del sogno di andare su Marte è la natura umana. Siamo realmente pronti per il pianeta rosso?

La corsa alle elezioni presidenziali negli US tende ad essere un tempo di grandi promesse, molte delle quali probabilmente possono essere considerate forzate e trascurabili. Quando Hillary Clinton dichiarò durante un comizio che la sua amministrazione avrebbe finanziato l’industria aerospaziale americana per “fare dell’esplorazione umana su Marte una realtà” solo alcuni hanno preso atto del suo commento, quelli che vedevano un sogno a punto di avverarsi. Un candidato presidenziale si è impegnato per portare la razza umana su Marte: gioite, Marziani!

Quella che appare essere un’impresa impossibile ai cittadini che già faticano nella loro vita quotidiana in un posto familiare (vedi: la Terra) è in realtà una conferma di ciò che si sta pianificando già da un decennio. Oltre all’ente pubblico della NASA, il programma SpaceX di Elon Musk ha sviluppato modelli sofisticati per portare le persone sul pianeta rosso entro il 2024. Un altro progetto, MarsOne, sta perfino facendo casting per trovare i coloni marziali più adatti.

Tuttavia non dovremmo lasciarci distrarre da quello che sembra un reality show – la colonizzazione sarà lunga e ardua. Il viaggio di sola andata di almeno sei mesi è solo l’inizio, seguito da un periodo prolungato di instaurazione di una colonia e di produzione di cibo ed ossigeno per il gruppo. Le temperature sono estreme, girare per il pianeta senza una tuta spaziale impensabile, e un ritorno immediato alla Terra impossibile. Come commentò l’astrobiologo scozzese Charles Cockell, “Marte è un posto orribile dove vivere”.

In un ambiente di condizioni climatiche ostili e forte interdipendenza umana, viene troppo spesso trascurata una questione fondamentale: che forma prenderanno le relazioni sociali? Chi comanda, chi obbedisce?

Uno per tutti

La gerarchia è la chiave per il successo, così come lo è l’obbedienza. Una volta che i primi coloni montano sullo shuttle con destinazione Marte, entrano in una relazione diseguale fra leader e coloni. Per gli esploratori questo è ovvio. Dopotutto, loro sono parte di un programma elaborato, o Utopia, che dovrebbe assicurare la realizzazione di un progetto e la stabilità di un gruppo. In quel piano, i ruoli politici e sociali devono essere definiti chiaramente e ogni aspetto della vita umana deve essere adattato allo spazio.

Questi programmi comprensivi possono apparire indispensabili visto che il progetto non è solo stabilirsi su Marte ma anche assicurare la sopravvivenza de un gruppo di persone su una terra sconosciuta. Ciò richiede un alto grado di coordinazione. Tuttavia, pensare che approcci utopici non siano mai stati messi alla prova sarebbe lontano dalla verità.

Uno più grandi filosofi del XXesimo secolo, Karl Popper, fu avversario feroce di qualsiasi tipo di piano olistico, così come sarebbe richiesto in una colonia umana sul pianeta rosso. Secondo lui, abbozzare una struttura sociale intera è pericoloso, oppressivo e violento – una strada verso la servitù e il soggiogamento. Il potere centralizzato del leader “condurrebbe quasi certamente ad una dittatura”, scrisse nel 1945. Prendendo in considerazione la sfida marziana del 2016, il suo punto sembra tutt’altro che irrilevante.

Destinazione finale

Prendete la difficoltà di ritornare sulla Terra per esempio. Sapendo che non potranno avere la possibilità di interrompere la loro missione da un momento all’altro, i marziali dipendono in modo cruciale dalle risorse fornite dalla NASA o SpaceX. Cibo, vestiti, ossigeno, trasporto – per sopravvivere sono dipendenti dalle infrastrutture delle compagnie. I fondamenti economici del comprare, vendere o scambiare beni sono estremamente limitati, cosa che induce a una maggiore dipendenza.

Questo è perché andare su Marte presuppone l’impegno e la volontà di cedere un alto grado di indipendenza e potere decisionale, come Popper avrebbe predetto. Libertà di scelta? La compagnia decide per te. Proprietà personale? C’è solo uno spazio minimo per essa. Nessuna voglia di continuare.? Meglio prepararsi per una residenza permanente. Se il prestigio di essere un colono marziano possa davvero compensare tutti questi lati negativi è una questione su cui ognuno si deve interrogare individualmente.

Certo la visione di Popper è particolarmente liberale e può essere attaccata su diversi punti, ma ci aiuta a cogliere la complessità di un’avventura su Marte. Instaurare una colonia extraterrestre non è solo uno sforzo tecnico ma prima di tutto una sfida al desiderio umano di auto-determinazione. In agosto, un gruppo di sei scienziati ha completato con successo un anno di isolamento sulle Hawaii per simulare la vita umana su Marte. Ma il progetto di vita reale con un biglietto di sola andata sarà differente, sia mentalmente sia fisicamente.

Dopo tutto, Marte è un posto orribile dove vivere, e Popper raramente si è mai sbagliato.

(traduzione italiana di Giulia Rupi)

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