La battaglia di Khader Adnan


Khader Adnan è un panettiere di 33 anni, è sposato con due figlie e vive nei sobborghi di Jenin, città della West Bank.

Nella notte del 16 dicembre 2011 viene arrestato dai soldati israeliani che lo prelevano dalla sua abitazione e lo sottopongono a diciotto giorni di interrogatorio, durante il quale Khader è vittima di torture e umiliazioni inflitte dagli agenti delle forze di sicurezza dello Stato di Israele.

Il 10 gennaio viene sottoposto a quattro mesi detenzione amministrativa, pratica che prevede la reclusione sulla base di prove segrete (che non vengono rese note né agli interessati né ai loro avvocati) di attivisti palestinesi ritenuti una minaccia per la sicurezza israeliana per un periodo di quattro o sei mesi, trascorsi i quali il periodo di carcere può essere rinnovato a tempo indeterminato.
Questa forma di prigionia è ritenuta illegale dalla Convenzione di Ginevra, secondo la quale ogni individuo ha diritto a un processo equo, anche durante eventuali stati d’emergenza.

La colpa imputata a Khader Adnan è la sua militanza nel movimento della Jihad islamica, di cui per anni (ma non al momento dell’arresto) è stato portavoce nella West Bank, ma mai attivo all’interno dell’ala militare.

Dal giorno successivo al suo arresto Khader intraprende lo sciopero della fame, l’unica forma di resistenza a sua disposizione. Date le sue precarie condizioni di salute il 30 dicembre viene trasferito da un ospedale all’altro senza poter incontrare i familiari. Il 5 febbraio viene portato nell’ospedale Ziv nella città di Safed, nel nord di Israele, ancora più lontano dalla famiglia e dai suoi avvocati.  Il 19 febbraio i medici di Physicians for Human Rights – Israel denunciano che il prigioniero è incatenato a letto.

Dal momento dell’arresto sua moglie ha potuto fargli visita solo due volte per un totale di un’ora, sempre circondata da guardie armate. Ora è lei, che prima viveva nell’ombra del marito, a essere diventata sua portavoce nei rapporti con i media, gli amici e i familiari che chiedono notizie sulle condizioni di Khader.

Il caso di Khader Adnan ha sollevato poche proteste all’interno della società palestinese, una società abituata a funerali e martiri per cui la morte lenta del panettiere di Jenin risulta quasi un’anomalia. Solo degli attivisti di Ramallah, città della West Bank a 10 chilometri da Gerusalemme, attraverso i social network hanno fatto della vicenda di Khader una cause célèbre, denunciando le sue condizioni di prigionia su Twitter e altri canali della Rete.

In seguito anche alla denuncia di Addameer, ONG palestinese attiva nella difesa dei diritti dei palestinesi, Israele il 21 febbraio scorso ha preso la decisione di rilasciare  Khader il 17 aprile, al termine dei quattro mesi di detenzione amministrativa. Il prigioniero ha accettato di interrompere dopo 66 giorni il suo digiuno solo dopo aver avuto conferma che tutti i detenuti che avevano intrapreso a loro volta uno sciopero della fame come gesto di solidarietà nei suoi confronti, fossero stati informati della decisione presa dallo stato israeliano.

Il caso di Khader può essere considerata una prima piccola vittoria dei palestinesi contro una pratica illegale di cui al 31 dicembre 2011 risultano vittime 307 prigionieri, compresi 21 membri del Consiglio legislativo palestinese.

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