Estopia – Capitolo XVII – La Regina


Capitolo precedente: Il Re

 

Una folla numerosa e variopinta era raccolta nella spianata rettangolare antistante il tempio dell’acqua: aspettava che il nuovo sovrano di Estopia venisse incoronato dal Sommo Sacerdote della città. Poche ore erano trascorse da quando avevano assistito allo scontro nel cielo tra Lidia e il Dökk infernale e da quando l’usurpatore era stato annientato dal legittimo re ma il sollievo aveva trasfigurato le vie della città, colorandole di stendardi variopinti e bandiere e inondandole di musica gioiosa. I cittadini, oppressi da più di un decennio di vessazioni celebravano con entusiasmo l’avvento di una nuova era. Sapevano che il nuovo re avrebbe messo fine a quella pioggia incessante che li costringeva ad una esistenza al limite, ad una sopravvivenza equiparabile a quella dei vermi di una palude e desideravano acclamarlo e vederlo indossare la corona di Estopia. Nessuno, nemmeno i più vecchi avevano mai assistito al sacrificio del Ren Løfte, non sapevano come il sovrano avrebbe sigillato le nuvole ma erano pronti a sostenerlo con la promessa della loro fedeltà, in nome della sua promessa di un futuro radioso.All’interno del Tempio, nella sala alle spalle della statua del dio Flóð, Luthen attendeva l’inizio del rito. I suoi capelli erano trattenuti sulla nuca da una fibbia di sottilissimi fili d’argento intrecciati a steli d’erba, sopra una tunica di seta azzurra e dorata indossava la leggera armatura cerimoniale, fatta di cuoio indurito al fuoco delle fornaci poste sotto il monte Nitbjorg. Il cuoio scuro era decorato con antiche incisioni ed era talmente sottile che Luthen a malapena ne percepiva il peso. Alla vita, dentro un fodero incrostato di pietre spirituali, indossava la preziosa spada appartenuta al primo re di Estopia. Sotto di essa aveva annodato la sciarpa azzurra, ricamata da Astipalea. La fanciulla aveva chiesto di incontrarlo la sera precedente e, inginocchiandosi di fronte a lui, gli aveva comunicato di aver rinchiuso il Ren Løfte in una grotta sotto la montagna. Lo aveva fissato con occhi adoranti e luminosi mentre gli consegnava l’orecchino che Lidia aveva donato a Freyja. Luthen aveva preso il pendente e aveva ricompensato la giovane con parole di plauso e riconoscimento ma, stringendo l’orecchino nella mano, il suo cuore aveva mancato un battito. Quella mattina, dopo aver compiuto il complesso rituale di purificazione che precedeva l’incoronazione, non aveva saputo resistere all’impulso di appuntare l’orecchino alla fascia azzurra che gli cingeva la vita, appena sopra la spada.  Osservava assente le tavolette votive offerte al tempio mentre aspettava il Vate Tystnad si recasse da lui per condurlo all’altare maggiore, quando Lidia fece il suo ingresso tra le alte colonne del tempio. Luthen la udì poco prima che varcasse la porta della sala e si voltò per accoglierla. Si stupì vedendo che anche Lidia indossava un’armatura come la sua e che il suo viso appariva diverso dal solito: era disperazione, che Luthen ricollegò all’imminente sacrificio di Freyja e che lo spaventò, quella che aleggiava intorno alla figura slanciata della sorella. I lunghi capelli di Lidia erano stati tagliati ed ora le ciocche disordinate rendevano la somiglianza tra i due fratelli impressionante. La luce decisa negli occhi di Lidia avrebbe dovuto allarmare Luthen ma, in qualche modo, il peso dell’orecchino di Freyja al suo fianco affaticava la mente del giovane re e lo distraeva. Si limitò ad osservare la sorella senza però riuscire a metterla completamente a fuoco, senza riuscire a leggerla.“Luthen, tra poche ore sarai re e avrai il potere di decidere: le tue parole saranno legge e anche il Vate Tystnad con i suoi miti e le sue profezie sarà costretto ad avallare le tue decisioni. Ti prego, fratello, risparmia la vita di Freyja, cerca con me una via alternativa e io ti sosterrò e ti difenderò finché avrò respiro.”“Sembra quasi che tu mi stia minacciando di privarmi del tuo sostegno, sorella, dopo tutto quello che hai fatto per condurmi fino a qui.” Lidia non rispose e Luthen sospirò.“Il nostro destino è scritto, Lidia, e io l’ho veduto. Niente di quello che io e te desideriamo può in alcun modo cambiarlo. Soffro anche io a pensare a cosa mi aspetta ma ho deciso di accollarmi la responsabilità dell’essere un sovrano e i doveri legati a questo ruolo annullano inevitabilmente i desideri dell’individuo.”Lidia si avvicinò al fratello e cadde in ginocchio ai suoi piedi. Poi, sollevando il viso rigato di lacrime lo guardò con un amore ed una devozione che Luthen non le aveva mai visto manifestare apertamente.“Luthen, io non posso…ti prego di comprendere: io non riesco ad accettare questo che tu chiami dovere. Ti imploro, ascoltami, sii al mio fianco nonostante tutto e tutti come è stato durante la nostra intera esistenza. Lo sai, fratello, che nessun uomo è in grado di opporsi al nostro potere. Nessun sacerdote, nessun soldato, nessun demone…Noi due soltanto possiamo controllare noi stessi. Non è mai esistito nessuno come noi in questa terra e solo noi siamo in grado di contenere questa enorme forza senza lasciare che si trasformi in distruzione. Tu sai quello che deve essere il futuro di Estopia, nessuna visione indotta da alcun vecchio morente ha valore di fronte all’immensità che io e te conteniamo. Risparmia Freyja, Luthen, e io volerò fin nel più alto dei cieli a sigillare la nuvole per te e se non riuscirò a fermare la pioggia, altererò l’equilibrio del mondo per riportare Estopia nel mezzo di Henn. Io e te attraverseremo fianco a fianco tutte le regioni che compongono Henn e impediremo ai governatori di provocare una guerra. Tutti sapranno che un nuovo, divino sovrano siede sul trono di Estopia e sapranno che questo sovrano è così forte da non piegarsi di fronte a niente, meno che mai ai dettami di alcuna bestiale superstizione.” Allungò una mano e sfiorò la tunica del giovane re. “Risparmia Freyja, Luthen e io non ti abbandonerò mai.”Gli occhi neri del giovane erano fissi sul volto pallido della sorella e per un lunghissimo momento Luthen esitò. Poi, improvvisamente il suono di un gong riecheggiò tra le pareti ed il colonnato ed il Vate Tystnad entrò nell’opistodomo. Sembrò sorpreso dalla scena che si trovò davanti, con Lidia inginocchiata davanti al giovane re ma si limitò a dire: “E’ tutto pronto, maestà…”Luthen si scosse e parve tornare padrone del proprio contegno. Si chinò ad afferrare le mani di Lidia e la aiutò ad alzarsi. “Rimani al mio fianco, sorella mia. Non tradirmi mai, così come io non tradisco i miei doveri.” E detto ciò, la baciò sulla guancia e lasciò la sala, seguito dal vecchio sacerdote. Uscendo dal tempio Luthen fu travolto dalle grida di entusiasmo della gente e dalle acclamazioni dei drappelli di soldati che, organizzati in un lungo schieramento a doppia fila tenevano la scalinata del tempio al riparo dalla folla. Di fronte all’imponente altare del dio ardeva, incurante della pioggia, un fuoco rosso. Accanto ad esso, su un piedistallo riccamente decorato, la semplice corona del sovrano di Estopia attendeva di cingere la testa del legittimo erede al trono. Il Vate Tystnad fece un profondo inchino a Luthen e si avviò verso il piedistallo. Prima che riuscisse a raggiungerlo però un tuono poderoso squarciò l’aria. Il sacerdote si immobilizzò e Luthen si voltò verso il  tempio da cui era appena uscito, nel momento in cui la figura di Lidia sbucava dalle colonne allineate. Il suo viso era ancora bagnato per le lacrime versate ma i suoi occhi erano completamente assenti, risucchiati nel verde innaturale di quelle iridi luminose. “Non oserai, Lidia!” Tuonò Luthen. Per tutta risposta, Lidia tese in avanti la sua mano destra, rivolgendo il palmo verso l’altare e liberando un lampo di energia che si schiantò esattamente nel punto in cui il sommo sacerdote aveva interrotto la sua avanzata verso la corona. In una attimo il corpo del vecchio si accasciò a terra ed un grido femminile risuonò nel silenzio che era sceso sulla folla. Astipalea corse verso la figura  esanime del padre gridando, solo per schiantarsi a terra a metà del tragitto, colpita a sua volta.“No!” La voce di Luthen esplose dal suo corpo con uno schianto ed un drappello di soldati si staccò dallo schieramento per correre a proteggere il sovrano. “No! Fermi!” Gridò nuovamente Luthen ma Lidia aveva liberato una terza ondata di energia che si era abbattuta sui soldati, incenerendoli. Improvvisamente un coro di grida si levò dalla folla e ognuno cercò di fuggire dal luogo dello scontro. Il giovane si volse a guardare la sorella che però non sembrava in sé, i corti capelli ritti sulla testa ed un’espressione spietata sul viso che esprimeva la fine del tempo per le parole. Con un balzo Lidia fu accanto al fratello e, afferratolo per i polsi, fissò i suoi occhi profondamente dentro quelli di Luthen iniziando a spingere. Luthen la sentì irrompere, sempre più giù, con violenza, penetrare nella sua mente e nella sua coscienza. E nel suo corpo. Il giovane cercò di ribellarsi: Lidia voleva irrompere nella della sua mente per annientarlo dall’interno. Voleva intrappolarlo di nuovo dentro al proprio corpo per poi liberarsi di lui come si fa con un figlio sgradito? Luthen annaspò, era come se il suo potere rifiutasse di destarsi per opporsi alla sorella: sapeva di poter reagire, di poter combattere ma il peso dell’Hòddmimir al suo fianco minacciava di schiacciarlo e, improvvisamente, una sensazione di sollievo parve avvolgerlo. Forse…forse…Nessuno seppe mai se Luthen soccombette alla sorella volontariamente o se il potere di lei fu in grado di sopraffarlo o se, più semplicemente, il giovane re lasciò che Lidia si facesse di nuovo carico della responsabilità legata all’esistenza di entrambi per tornare a rifugiarsi dentro di lei. I due giovani si confrontarono, avvolti in un vortice di vento e fulmini, per un tempo incerto mentre la piazza davanti al tempio era rimasta deserta. Alla fine della tensione, lei lo sentì isolarsi, farsi più piccolo e sottile, scuro,  invisibile; vagò con la sua energia attraverso i propri muscoli, lungo le proprie arterie cacciandolo laddove incontrava tracce della sua coscienza. Poi trovò il suo cuore e lo avvolse in una morsa inviolabile e mentre lacrime trasparenti rigavano il volto della giovane, Luthen smise di esistere. Improvvisamente, il vento si calmò e le scariche di elettricità si dileguarono. Sulla piattaforma era rimasta solamente Lidia, poco distanti, i cadaveri dei soldati che aveva colpito con il fulmine giacevano, inzuppati dalla pioggia. Così pure la figura del Vate Tystnad e della giovane Astipalea, con la sua chioma fiammeggiante, erano stati sbalzati ai piedi della bassa scalinata che separava il tempio dalla spianata antistante. Lidia osservò la scena che aveva provocato per un lungo istante, poi, risolutamente, si volse ed iniziò a correre verso la città di Estopia. Appena fuori dal recinto del tempio incontrò una fila di Jashae bardati con gli stemmi del casato reale e rapidissima, montò in sella ad uno.

Quando penetrò nella caverna avvertì la flebile presenza di Freyja prima ancora di riuscire a vederla. Una volta che i suoi occhi si furono abituati all’oscurità perlustrò con lo sguardo lo spazio che la circondava. L’aria gelida e l’umidità rendevano denso il suo respiro e il sudore evaporava dal suo corpo in una bianca ombra evanescente. Mosse alcuni passi al buio prima di fermarsi a sussurrare una breve invocazione. La pietra che pendeva dal suo lobo sinistro sprigionò una luce ovattata che crebbe fino ad illuminare fiocamente le pareti della grotta.

Quando la vide, il suo cuore si fermò. Il corpo di Freyja era raggomitolato immobile in una nicchia in fondo alla grotta. Non sembrava attraversato nemmeno dal più debole barlume di energia. Lidia strappò via il pettorale e gli spallacci della sottile armatura che indossava incespicando verso la nicchia in cui Freyja si era rifugiata, forse per sfuggire al gelo. Lasciandosi cadere in ginocchio accanto all’amica, per un lungo minuto, non osò toccarla. Poi, raccogliendo tutto il suo coraggio per la seconda volta in quella lunga giornata, protese le mani, sfiorandola. Freyja non si muoveva e Lidia la afferrò e, gentilmente, la attirò a sé. La fanciulla era leggera e fragile come una statuina di filigrana, pronta a frantumarsi alla minima pressione. La testa scivolò indietro scoprendo il collo incrostato di sangue. La pelle candida era gelata e ferita, le mani scorticate erano rattrappite dal freddo, gli abiti strappati, i capelli ridotti ad una massa informe, le labbra socchiuse screpolate e disidratate. La catena dorata che la imprigionava aveva scavato una piaga nella caviglia sottile. Lidia pensò di essere arrivata tardi e i suoi occhi si riempirono di lacrime.

“Oh Freyja, non lasciarmi, ti prego.” Disse piano, stringendo a sé il corpo inerte dell’amica. “Ho sbagliato, ti ho tradita e ti ho messo in pericolo e non sono stata capace di proteggerti…ma ho combattuto con tutta la mia forza per liberarti.” La voce le mancò. “Freyja, non lasciarmi ora, non lasciarmi così…” Continuò in un bisbiglio.

La schiena di Lidia era curva, la sua testa bassa: sembrava che tutta la stanchezza dell’universo si fosse abbattuta sulla guerriera che da sola aveva affrontato e sconfitto un demone dell’antichità.

“Ho ucciso Luthen, Freyja. L’ho ucciso per te. Il mio unico fratello, la creatura che ho nascosto e custodito dentro il mio corpo per anni, l’erede al trono di Estopia, il custode della sapienza, l’ultimo vero Re: ho soffocato il suo cuore fino a cancellarlo dal mondo. Ho lasciato la mia terra senza una guida, l’ho condannata all’ira del dio Flóð e di suo padre, il Drago dalle quattro teste…” Si interruppe, sospirando e la sua voce divenne poco più che un sussurro. “Oggi ho distrutto le vite di giovani innocenti. Avrei annientato qualunque cosa si fosse frapposta tra di noi, Freyja. Io ho sfidato gli dei del cielo, ho maledetto il mio nome e lo farei altre mille volte per ritrovarti, per salvarti. Lascia che io ti salvi Freyja. Fai che i miei sforzi, oggi, siano serviti a trattenerti in questo corpo…divina Jörð.”

Così, supplicando, Lidia si sfilò l’orecchino rimastole, il gemello di quello che aveva donato a Freyja pochi mesi prima e che ora era disperso da qualche parte nella galassia della propria mente. La pietra era fredda e brillante. Lidia la depose nella palmo di Freyja, stringendo le sue dita intorno ad essa. Poi, sempre trattenendo la sua mano, si appoggiò con la schiena alla parete di roccia e attirando il corpo inerte dell’amica a sé, nella notte senza fine delle profondità del Monte Nitbjorg, Lidia chiuse gli occhi.

La luce diffusa dall’Hòddmimir nella mano di Freyja divenne più densa e, filtrando attraverso le dita chiuse, scivolò sul pavimento di pietra fino a prendere la forma di un guscio bianco che avvolse i corpi delle due fanciulle in una luminosa e calda alcova e nascondendoli al mondo circostante. Intorno, il silenzio divenne un muro invalicabile e la caverna fu perduta in uno spazio senza tempo, scomparendo dal mondo, inghiottita dal cielo, sprofondando fino a divenire nessun luogo.

In quel non luogo, nel bianco più abbagliante ed assoluto, la pietra nella mano di Freyja pulsò debolmente penetrando nel suo corpo, guarendolo e, finalmente, trasfigurandolo.

Quando l’energia della pietra si affievolì di nuovo, Freyja non era più Freyja ma la dea Jörð fulgida e splendente dopo centinaia di anni di esilio. La dea aprì gli occhi su Lidia e l’amore che traboccava dal suo sguardo avvolse la giovane guerriera.

In quel non luogo Lidia non fu più Lidia, il suo corpo non appartenne più alla maga e alla fanciulla, ma divenne quello di un essere magnifico e sconosciuto: non fanciulla, neppure ragazzo, la pelle bianca e radiosa, i capelli neri e lucenti. I suoi occhi profondi, ora ultraterreni, assunsero due diversi colori. Uno emanava il verde intenso dello sguardo di Lidia, l’altro rispecchiava l’oscurità dell’animo di Luthen.

Jörð parlò con una voce senza suono ma che riecheggiava in mille gocce di pioggia come un’eco lontana, un ricordo o una promessa.

“Tu mi hai liberata dal mio castigo. Mi hai salvata da una condanna durata millenni. Conducendomi nella tua Terra e combattendo contro te stessa per me, hai espiato la mia colpa e mi hai riportato nella grazia di mio divino creatore. Adesso io posso tornare nell’empireo della grazia perché il mio destino si è compiuto.”

Sorrise e il suo volto fu la visione più celestiale che Lidia o Luthen avessero mai immaginato potesse esistere.

Le parole che Jörð  pronunciò dopo ebbero la solennità di un’investitura. “Non mi hai fatto alcun male e mi hai amata come nessuno aveva fatto da millenni. Tu sei il sovrano che regnerà su Estopia e su tutta la terra di Henn, sei colei che governerà la pioggia, tu sei l’incarnazione terrena del dio delle acque Flóð. Attraverso di te anche egli espia la propria colpa nei miei confronti ed oggi mi restituisce al cielo.” Detto ciò, Jörð sfiorò con una mano la fronte di Lidia e al posto del corpo della fanciulla apparve una figura possente e luminosa.

La dea proseguì: “Oggi, fratello, tu mi rendi libera di abbandonare questa prigione terrena e per questo io ti amo. Non sono stata la tua consorte mille anni fa, oggi sarò la tua sposa.” E così dicendo si accostò a Lidia, unendo le sue labbra a quelle della creatura che di nuovo e per sempre aveva riunito nel suo corpo l’essenza femminile e quella maschile, il dio delle acque Flóð che, per gelosia, aveva condannato la propria amata alla eterna espiazione.

Quando l’unione tra le due divinità si fu consumata, la caverna tornò all’interno della montagna Nitbjorg, nel reame di Estopia. Il guscio lucente che aveva avvolto Lidia e Freyja si dissolse a le due fanciulle si trovarono l’una nella braccia dell’altra cullate dal ricordo del miracolo che si era appena consumato. Gli occhi di Lidia erano rimasti uno verde ed uno nero ma il corpo era di nuovo il suo. Freyja giaceva, completamente risanata, tra le braccia dell’amante ed il suo sguardo conteneva tutto l’affetto e la gratitudine del mondo.

Lidia si chinò a fiorarle le labbra con un bacio.

“Addio.”

Freyja intrecciò le dita sottili ai corti capelli dell’amica di un tempo.

“Addio Lidia. Attraverso le ere e i reami, mi hai salvata dalla più crudele delle condanne. Ti troverò di nuovo, quando tornerà il nostro tempo e allora saremo unite, per sempre.”

La stretta di Lidia intorno alle spalle di Freyja aumentò e questa proseguì.

“Il nostro amore genererà una stirpe. Il seme che Flóð ha deposto oggi nel mio grembo crescerà dentro di te, amica mia e sovrana di questa terra. Esso sarà il frutto dell’unione di due immortali e le sue gesta verranno cantate nei secoli. Io veglierò su di lui e lo proteggerò, nell’attesa un giorno di riavere per me l’amato corpo che hai scelto, in questa vita, per liberarmi, fratello.”

Pronunciate queste parole, Freyja chiuse gli occhi e fu per sempre, sulla terra di Henn.

Quando Lidia uscì dalla caverna portando tra le braccia l’esanime incarnazione della dea, la luce del sole filtrava attraverso le nubi illuminando la pianura bagnata ai piedi della montagna tempestosa, Nitbjorg. I ruscelli riflettevano di bagliori dorati, le gocce sugli alberi erano gemme di cristallo e mille arcobaleni solcavano il cielo. La pioggia, quella pioggia eterna che aveva quasi cancellato la città di Estopia, era cessata.

La fanciulla accarezzò con sguardo commosso il panorama meraviglioso e respirò profondamente l’aria leggera che le scompigliava i corti capelli, recando la promessa di una nuova era. Montò in sella al grifone rimasto in attesa fuori dalla caverna e, con una lenta planata circolare, iniziò la discesa verso la reggia di Estopia, stringendo a sé il corpo dell’amica e dell’amata. Alle sue orecchie, due pietre allungate ondeggiavano nel vento e, a guardarle, sembrava che sottili draghi argentei guizzassero, minacciosi, al loro interno.

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