Psicologia dell’obbedienza – L’uomo nell’alto castello e l’esperimento di Milgram


Durante le ferie ho visto L’uomo nell’alto castello. Sì, lo so, sono sempre in ritardo con le serie tv. Che posso dire? Sono una donna impegnata. La visione mi ha comunque fatto venire in mente una riflessione sul rapporto tra psicologia e obbedienza, ben evidenziato dagli studi di Stanley Milgram.

Vediamo di che si tratta, cominciando da una rapida occhiata ai temi di L’uomo nell’alto castello.

L’uomo nell’alto castello – La psicologia, l’obbedienza e l’uomo comune

La serie è un originale Amazon Prime Video conclusasi nel 2019 ed è tratta dal libro La svastica sul sole, di Philip K. Dick. Il libro esplora un mondo in cui l’Asse, quindi in questo scenario Germania e Giappone, ha vinto la Seconda guerra mondiale. In questo mondo alternativo, l’ideologia del Reich conquista i cinque continenti in alleanza con l’impero del Sol Levante.

La serie di Amazon Prime approfondisce questo mondo distopico narrando la storia di diversi personaggi, un tempo statunitensi e ora appartenenti agli Stati occidentali (occupati dal Giappone) e al Reich americano degli Stati dell’est. Tra questi personaggi, uno spicca per fascino e complessità: l’obergruppenführer John Smith, interpretato da uno spettacolare Rufus Sewell.

John ha un nome che è l’equivalente italiano di Mario Rossi. È l’americano medio, con un lavoro nel Governo, una moglie perfetta e tre figli che lo amano come fosse un eroe. John è anche un nazista.

La famiglia Smith nella serie L'uomo nell'alto castello, che ci aiuta a capire il rapporto tra psicologia e obbedienza

La perfetta, nazifamiglia Smith. Lo sguardo del cane, tuttavia, ci racconta qualcosa di diverso. (Fonte: Amazon)

Il comandante Smith viene introdotto al pubblico in modo esattamente opposto a come l’ho descritto io. Viene prima di tutto stabilito che John è un soldato che ha tradito la sua patria a stelle e strisce per diventare uno dei comandanti più spietati del Reich. È solo in un secondo momento che lo vediamo sotto una luce diversa, umana.

Gradualmente scopriamo che John è un personaggio complesso, che non si sbottona mai, obbedisce sempre agli ordini e non fa trapelare nulla dei suoi intelligenti sotterfugi. John sembra sempre essere un passo avanti allo spettatore e ai personaggi stessi. Ma ha un punto debole: la sua famiglia.

Spoiler alert! Le motivazioni di John e la sua dualità

Da qui in avanti, mi raccomando, attenzione agli spoiler!

Scopriamo, infatti, che John, in accordo con la moglie, ha deciso di unirsi alle SS dopo la sconfitta degli Usa perché quello era il percorso secondo lui più sicuro per proteggere la sua famiglia. In fondo, non essendo ebrei, afroamericani, nativi americani, disabili o appartenenti alla comunita Lgbtq+, erano parte del gruppo che più sarebbe stato al sicuro nel Reich. Che fortuna eh?

Rufus Sewell interpreta John Smith

L’immagine di padre modello e amorevole è rapidamente sostituita dallo spietato e scaltro comandante nazista (Fonte: Amazon)

Il motto di John durante le quattro stagioni della serie sembra essere “Non abbiamo scelta”. È con questo mantra che l’uomo arriva a compiere crimini sempre più efferati, fino all’ordine finale di attaccare le città della costa occidentale con le bombe atomiche e progettare nuovi campi di concentramento.

Alla supplica della moglie di fermarsi, l’ormai Reichsführer dell’intera America settentrionale risponde “Non so come”.

Ma come ha potuto un padre di famiglia, un brav’uomo, diventare un nuovo genocida?

La banalità del male e l’esperimento di Milgram sulla psicologia dell’obbedienza

La cosa importante da capire è proprio questa: il male è umano.

Di fronte a episodi di cronaca nera particolarmente efferati, tendiamo a dire che l’assassino è un mostro, un animale, non può essere umano. Eppure lo è, e la psicologia della moralità ci ha dato parecchi esempi di quanto questo sia vero.

Uno degli esperimenti più famosi ed emblematici in tema di psicologia e obbedienza è quello di Stanley Milgram, uno psicologo statunitense che studiava l’obbedienza. Milgram chiedeva ai volontari del suo esperimento di somministrare un compito di memoria a un partecipante, che però era complice di Milgram stesso. Al volontario ignaro veniva chiesto, se il partecipante sbagliava la risposta, di somministrargli delle scosse elettriche sempre più forti, mano a mano che gli errori aumentavano. I volontari, tutti uomini tra i 20 e i 50 anni, dovevano sostanzialmente obbedire all’ordine di una figura autoritaria – in questo caso lo sperimentatore – e compiere un’azione immorale.

Questo esperimento creò molto scalpore (perché contrariamente alle attese) più della metà dei soggetti arrivò a somministrare la scossa più estrema.

Gli ingredienti dell’obbedienza secondo la psicologia

Milgram identificò alcuni fattori che potevano influenzare l’aderenza del soggetto agli ordini dello sperimentatore:

  • l’autorità deve essere percepita come legittima;
  • il soggetto deve aderire in qualche modo a un sistema basato sull’autorità, per esempio se è stato educato a obbedire all’autorità (adulti, insegnanti, capi…) senza metterla in discussione;
  • la persona deve percepire una pressione sociale a evitare la disobbedienza e le sue conseguenze negative, per esempio per il quieto vivere o, nel caso di Milgram, per evitare di invalidare l’esperimento.

Anche la vicinanza alla vittima è importante, perché più il soggetto era mentalmente e fisicamente lontano da lei, più era probabile l’obbedienza estrema. Per esempio, se il volontario non poteva né vedere né sentire il partecipante, la percentuale di persone che arrivavano a somministrare la scossa più forte era del 65%.

La percentuale diminuiva se aumentava il contatto con la vittima, per esempio se il volontario poteva ascoltare i lamenti o vederla soffrire, fino ad arrivare a un 30% di persone disposte a mettere attivamente la mano del partecipante su una piastra elettrificata. Se ci pensate, il 30% è quasi una persona su tre.

Non poco.

Le motivazioni dell’uomo medio

Ed ecco che le motivazioni di John Smith in L’uomo nell’alto castello risultano più chiare. Il Reichsführer evidentemente riconosce l’Impero nazista come legittimo, chissà che forse un po’ ci creda alla filosofia della razza pura. John fa anche parte di un sistema (l’esercito americano) che di per sé si fonda sull’obbedienza indiscutibile. La pressione sociale di John è forse più una pressione familiare, quella paterna di protezione e sopravvivenza.

John, però, è stato molto vicino alle vittime. In molti flashback si intuisce come l’uomo abbia dovuto compiere in prima persona molti massacri. Tuttavia, più fa carriera nel partito, meno è a contatto con le conseguenze delle sue scelte, tanto da riuscire a dare un ordine genocida al telefono.

Locandina della 4 stagione dell'uomo nell'alto castello, che ci ha regalato lo spunto per parlare di psicologia e obbedienza

La locandina teaser della quarta e ultima stagione della serie intuisce una disfatta di Smith, nonostante tutti i suoi sforzi (Fonte: Amazon)

Ma la distanza dalla vittima, se non può essere ottenuta fisicamente, può essere giustificata a livello mentale. Se la vittima, per esempio, non è più un essere umano come me ma una creatura inferiore, un abominio, un essere malvagio, ecco che potrò tornare a obbedire agli ordini e mettergli la mano sulla piastra elettrificata. Nella serie, non è mai chiaro se John Smith creda veramente alla ideologia nazista. Eppure non sembra essere una persona intrinsecamente malvagia.

Come può quindi convivere con le sue scelte? Lo fa convincendosi di non avere una scelta, che quel che fa è un obbligo a cui non può mai sottrarsi. È una narrazione interna, un nuovo “Stavo solo eseguendo gli ordini“, che lo aiuta a mantenersi nella categoria del brav’uomo nonostante le sue azioni.

Locandina di L'uomo nell'alto castello

La locandina del telefilm original Amazon Prime L’uomo nell’alto castello (Fonte: Amazon)

Eppure (e qui di nuovo attenzione agli spoiler) nel momento in cui John si toglie la vita, il suo secondo in comando sceglie di annullare l’ordine di attacco e di togliersi la spilla con la svastica dall’uniforme. Il suo sottoposto, promosso sul campo alla morte di Smith, ha preso una decisione diversa in pochi secondi non appena ne ha avuto possibilità, salvando milioni di vite umane.

Perché John non ne è stato capace? È davvero un brav’uomo costretto a compiere azioni malvagie o è più simile a un Eichmann, burocrate superficiale con una reale idea nazista?

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